Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13348 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13348 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19886/2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F./P.IVA: P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’A vv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE ed elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) del Foro di Roma (fax: NUMERO_TELEFONO; pec: EMAIL);
-ricorrente –
contro
COMUNE DI RENDE (CS), C.F. 00276350782, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOMEC.F.: CODICE_FISCALE del Foro di Cosenza (PEC: EMAIL;
-controricorrente –
-avverso la sentenza n. 4427/2018 emessa dalla CTR Calabria in data
Avviso accertamento Tari – Notificazione a mezzo posta ordinaria
20/12/2018 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso una sentenza con la quale la CTP di Cosenza aveva dichiarato inammissibile, per essere tardivo, il ricorso da essa proposto contro un avviso di accertamento Tari per l’anno 2015.
La CTR della Calabria rigettava il gravame, affermando che la contribuente non aveva fornito la prova documentale della data in cui aveva ricevuto la notificazione dell’avviso di accertamento e che il timbro da essa apposto sulla prima pagina dell’avvis o non assumeva valenza probatoria, provenendo, appunto, dalla società, sicchè, a fronte di una data di emissione del 28.12.2015, la notifica del ricorso introduttivo effettuata in data 17.3.2016 si rivelava tardiva.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di tre motivi. Il Comune di Rende ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21, comma 1, e 22, comma 4, d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR ritenuto tardivo il ricorso introduttivo del giudizio, senza rendersi conto che, essendo l’atto impositivo stato notificato mediante posta ordinaria, essa non poteva fare altro che apporre il proprio timbro sull’atto nel giorno del suo ricevimento.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 23, comma 3, d.lgs. n. 546/1992 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR illegittimamente, a suo dire, inve rtito l’onere della prova, ponendo quella della data di notifica dell’atto impositivo a carico suo, anziché del Comune.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 10 l. n. 212/2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che il Comune aveva
optato per la notifica a mezzo posta ordinaria, che non garantisce l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati.
I tre motivi, da trattarsi congiuntamente, siccome strettamente connessi, sono infondati.
In tema di notificazioni a mezzo posta, il notificante deve provare il perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario mediante la produzione dell’avviso di ricevimento della raccomandata, unico documento idoneo ad attestare la consegna del plico e la data di questa, mentre, ove sia il destinatario a dover provare la data della notificazione, è sufficiente la produzione della busta che contiene il plico, in sé idonea ad attestare che prima della data risultante dal timbro postale apposto non poteva essere avvenuta la consegna (Cass., Sez. 6 – 2, Sentenza n. 4891 del 11/03/2015). In particolare, ai fini della tempestività dell’impugnazione, il termine decorre dalla notifica dell’atto impositivo, la quale, nell’ipotesi in cui abbia avuto luogo a mezzo del servizio postale, va desunta, in mancanza di altri elementi, dalla busta di spedizione, ove sul retro sia stata apposta la data di arrivo presso il destinatario, non potendo essere ricavata dal timbro apposto sul plico da parte dello stesso destinatario, pur recante il numero cronologico e la data, trattandosi di atti di organizzazione interna e nonostante la natura eventualmente pubblica del predetto soggetto (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 25753 del 10/12/2007; conf. Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 10136 del 09/05/2014).
Invero, premesso che grava sull’appellante l’onere di provare la tempestività dell’iniziativa giudiziaria intrapresa, anche in difetto della proposizione di eccezione nei termini dalla controparte, tale prova deve essere fornita mediante la produzione in giudizio della busta contenente il plico, recante i timbri dell’ufficio postale della data di spedizione e di quella di consegna, ferma restando per il destinatario dell’atto da notificarsi la regola del suo perfezionamento alla data di ricezione dell’atto (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 23026 del 26/10/2006).
Pertanto, la contribuente deve imputare a sua negligenza il non aver conservato la busta contenente l’atto impositivo notificatole, solo in tal
modo potendo provare, se del caso, che sulla stessa non fosse presente anche il timbro postale di consegna del plico.
Nessuna violazione del principio di ripartizione dell’onere probatorio è configurabile, se solo si consideri che nel processo tributario, ove la parte resistente contesti la tempestività del ricorso, è onere del contribuente allegare l’atto impugnato con la prova della data di avvenuta notifica, dalla quale decorre il termine per la proposizione del ricorso, salvo che si tratti di notifica nulla, ipotesi nella quale l’Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare il momento nel quale il ricorrente ha avuto effettiva conoscenza del predetto atto (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 10209 del 27/04/2018).
Da ultimo, non è in gioco nel presente giudizio l’effettiva conoscenza o meno, da parte della contribuente, dell’atto impositivo ad essa destinato (che il ricorso alla posta ordinaria ha comunque assicurato), bensì la tempestività con la quale lo stesso risulta essere stato impugnato.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 3.000,00 per compensi ed € 200,00 per spese, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Iva e Cap;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 29.4.2025.