Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9909 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9909 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 20681/2024, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale allegata al ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso il loro indirizzo di posta elettronica certificata
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-resistente –
avverso la sentenza n. 99/2/2024 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, depositata il 5 marzo 2024; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 aprile 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Dopo aver installato un impianto fotovoltaico sul tetto del proprio opificio industriale, nel 2014 la società RAGIONE_SOCIALE presentò un nuovo bilancio di esercizio per l’anno di imposta 2011 , assumendo che in tale anno l’impianto era stato realizzato , onde avvalersi delle disposizioni di cui all’art. 6 , commi da 13 a 19, della l. n. 388/2000 (cd. Tremonti ambiente ).
Seguì, in data 31 ottobre 2014, sulla base di una perizia asseverata, la presentazione di una dichiarazione integrativa per lo scomputo in diminuzione dal reddito del l’importo corrispondente all’investimento effettuato, che generava una perdita fiscale di € 229.503,00; tale perdita fu utilizzata dalla società nelle dichiarazioni degli anni successivi.
L’Agenzia delle entrate, disconosciuta la validità della dichiarazione integrativa in quanto tardiva, provvide alla liquidazione automatizzata ex art. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 dei redditi per gli anni 2015 e 2016, riducendo le perdite ed emettendo due cartelle di pagamento per gli importi corrispondenti.
Dette cartelle furono impugnate dalla società innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino, la quale, riuniti i ricorsi, li accolse, compensando le spese.
La decisione fu oggetto di appello erariale e di appello incidentale di CM3 sulle spese; la sentenza indicata in epigrafe accolse il gravame principale.
I giudici regionali, in dichiarata applicazione del criterio della ragione più liquida, osservarono che la contribuente non aveva assolto all’onere, connesso all’agevolazione fiscale richiesta, di dimostrare che l’intervento realizzato era un investimento ambientale, «ovvero che i costi sostenuti erano destinati allo scopo e che l’intervento era realizzato imperante il regime di salvaguardia»; a questo scopo, ritennero che non potesse aversi riguardo alla perizia asseverata con la quale la società aveva supportato la dichiarazione integrativa, né la circostanza poteva aversi come ammessa per effetto della mancata contestazione da parte dell’Amministrazione .
Specificarono, inoltre, che tale lacuna probatoria assumeva rilievo anche in relazione all’individuazione della data iniziale dell’intervento, onde stabilire se quest’ultimo ricadeva nell’ambito di applicazione temporale della norma agevolatrice.
La sentenza d’appello è stata impugnata da CM3 con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’amministrazione finanziaria ha depositato controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo, denunziando la nullità della sentenza per contrasto con gli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., la ricorrente lamenta che i giudici d’appello -omesso ogni esame dei motivi di gravame articolati dall’Ufficio e da lei opposti e ignorando la documentazione prodotta che attestava la realizzazione dell’investimento -avrebbero attribuito valore decisivo a una questione estranea ai motivi d’appello formulati dall’Agenzia delle entrate.
Sottolinea, peraltro, che quest’ ultima, nelle sue controdeduzioni in entrambi i gradi del giudizio di merito, aveva confermato la materiale realizzazione dell’impianto, rilevando unicamente che la disposizione
agevolatrice era stata nel frattempo abrogata dall’art. 23, comma 7, del d.l. n. 83/2012 (cd. decreto crescita ).
Anche con il secondo mezzo è dedotta nullità della sentenza.
La ricorrente assume che la Corte regionale avrebbe errato nel ritenere priva di valore probatorio la circostanza che l’Ufficio non avesse contestato l’effettiva realizzazione , da parte sua, di un intervento a destinazione ambientale, ricorrendo all’argomento in base al quale l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti.
Osserva, infatti, che sulla base delle stesse controdeduzioni erariali già evocate con il primo motivo doveva ritenersi che l’Ufficio fosse pienamente consapevole della circostanza dell’avvenuta realizzazione dell’impianto fotovoltaico e che, del resto, no n era stato contestato quanto asseverato dalla perizia tecnica.
3. Il primo motivo è infondato.
Nel decidere la questione ritenuta dirimente ai fini del giudizio, sia pur richiamando espressamente il « primo motivo proposto nelle controdeduzioni in primo grado dell’Ufficio (e non esaminato dalla commissione provinciale) » i giudici d’appello si sono pronunziati in ordine all’applicabilità della disposizione agevolatrice sotto il profilo temporale, oggetto del terzo motivo del gravame erariale.
Con tale motivo l’Ufficio lamentava l’omessa considerazione, da parte della C.T.P. di Torino, del fatto che alla data di entrata in vigore del cd. decreto crescita , abrogativo della norma agevolatrice, la società non aveva ancora avviato « il procedimento amministrativo diretto al riconoscimento della tassazione ambientale » (cfr. appello Agenzia delle entrate, pag. 17).
Prova ne sia il fatto che, in apertura dell’articolata argomentazione che sorregge il decisum , la sentenza impugnata afferma: « Dirimente per la soluzione del caso in giudizio è l’individuazione dell’iter del procedimento amministrativo e del relativo momento iniziale, da cui conseguono gli effetti previsti dalla norma »; e solo in tale ottica procede, poi, all’indagine circa il momento di effettiva realizzazione dell’impianto, che assume decisivo allo scopo.
Del resto, il fatto che la sentenza impugnata richiami in premessa l’esame di una controdeduzione svolta dall’appellante in primo grado, anziché un motivo da questa espressamente formulato in sede d’appello, non vale ad integrare il dedotto vizio di ultrapetizione; questa Corte, al riguardo, ha infatti affermato che il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante (così, fra le altre, Cass. n. 19002/2017; Cass. n. 21087/2015).
4. Anche il secondo motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha infatti ritenuto inoperante la regola della non contestazione in forza del principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui essa si applica solo ai fatti conosciuti o conoscibili dalla parte che può contestarli (si vedano, fra le altre, Cass. n. 23270/2023; Cass. n. 12064/2023; Cass. n. 87 del 2019; Cass. n. 26028/2018).
In coerenza con tale principio, i giudici d’appello hanno infatti affermato che « non si può ritenere conosciuta dall’Ufficio la
realizzazione dell’investimento e soprattutto la sua data iniziale » (pag. 10); e tale circostanza non è validamente scalfita dalla censura.
Sul punto, infatti, la ricorrente attribuisce significato a talune espressioni utilizzate dall’Amministrazione negli atti concernenti i giudizi di merito, astraendole dal contesto argomentativo di riferimento, che è invece caratterizzato, come detto in precedenza, dalla ferma contestazione della sussistenza dei presupposti per accedere al beneficio fiscale.
In tal senso, ad esempio, essa richiama i passaggi nei quali l’Ufficio ha variamente utilizzato la locuzione « l’impianto realizzato da controparte », quando è evidente che si tratta di mera tecnica espositiva e non certo di riconoscimento delle altrui allegazioni in fatto.
Ancora, la ricorrente assume come rilevante il fatto che l’Ufficio non abbia contestato la sua perizia di parte, ma in ciò dimentica che questa Corte ha più volte puntualizzato che il principio di non contestazione ha riguardo solo ai fatti da accertare nel processo, non già ai documenti (Cass. n. 15339/2020; Cass. n. 3022/2018) o alle conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. n. 35037/2021, Cass. n. 6172/2020), anche se raggiunte in una perizia stragiudiziale (Cass. n. 34450/2022).
In ogni caso, poi, essa non offre alcun argomento significativo del fatto -del resto in sé certamente inverosimile -che l’Amministrazione fosse a conoscenza del momento di avvio della realizzazione dell’opera da parte sua.
L’infondatezza dei due motivi di ricorso ne comporta il rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo pari a quello previsto per il contributo unificato, ove dovuto, a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater ,
del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025.