Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10387 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10387 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/04/2025
Oggetto: Istanza di rimborso – Dirigente Enel – Fondo PIA – Rendimento netto – Investimento sul mercato – Oneri probatori.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7654/2023 R.G. proposto da COGNOME nella qualità di erede di COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l o studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende, in virtù di procura speciale allegata al ricorso.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro-tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO – controricorrente – avverso la sentenza della C.T.R. della Sicilia, n. 7678/2022, depositata il 19.9.2022 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20.12.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Palermo, COGNOME NOMECOGNOME nella qualità di erede di COGNOME NOME, unitamente ad altri, impugnava il silenzio-rifiuto opposto
dall’Agenzia delle entrate alle istanze di rimborso avanzate in merito alle ritenute Irpef operate, con aliquota media, in occasione della corresponsione delle somme provenienti dal fondo previdenziale denominato RAGIONE_SOCIALE (nel quale, dopo il 1998, era confluito il fondo RAGIONE_SOCIALE, istituito con accordo Enel/Fndai del 16 maggio 1986), erogate agli originari ricorrenti in qualità di dirigenti Enel, in luogo del trattamento di pensione integrativa, al momento della cessazione del rapporto di lavoro. A fondamento del ricorso, i ricorrenti sostenevano che tali erogazioni, configurando reddito da capitale e non trattamento di fine rapporto o indennità equipollente, dovevano ritenersi assoggettate a tassazione non ai sensi degli art. 16 e 17, comma 2, d.P.R. n. 917 del 1986 (come effettuato dal sostituto), ma ai sensi degli artt. 42, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986 e 65 della l. n. 482 del 1985, con ritenuta, a titolo di imposta, del 12,50%, commisurata alla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo, ove si trattasse di capitale corrisposto dopo almeno dieci anni dalla conclusione del contratto di assicurazione.
L’impugnazione de l ricorrente, rigettata in primo grado, veniva invece accolta in appello. Tuttavia, a seguito del ricorso per cassazione dell’Agenzia delle entrate, tale decisione veniva cassata con rinvio, al fine di uniformarla al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 13642/2011.
In sede di rinvio, quindi, venivano ricalcolate le somme spettanti al contribuente , ma anche tale decisione, impugnata dall’Agenzia delle entrate, veniva nuovamente cassata con rinvio, al fine di dare applicazione al principio di diritto enunciato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 30766/2011. Nel corso del secondo giudizio di rinvio, la C.t.r. disponeva c.t.u., al fine di verificare se e quale parte delle somme complessivamente erogate al contribuente corrispondesse al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato del capitale accantonato, calcolando, quindi, le imposte dovute dal contribuente, con applicazione, solo alla parte suddetta delle somme erogate,
dell’aliquota del 12,50% secondo la disciplina dettata dalla l. n. 482 del 1985, art. 6, fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui al d.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. A) e art. 17; nonché al fine di calcolare l ‘ammontare dell’eventuale credito restitutorio de l contribuente, ove individuabile con certezza.
All’esito della c.t.u ., i giudici del secondo rinvio rigettavano gli originari ricorsi, essendo emerso che la componente del rendimento ricompreso nel capitale erogato dal Fondo P.I.A. dell’Enel a favore del ricorrente aveva una matrice matematico-attuariale frutto esclusivo di capitalizzazione degli accantonamenti di capitali operati da parte del FondoEnel, con la conseguente impossibilità di individuare le somme corrispondenti al rendimento netto riconducibile alla gestione sul mercato del capitale e, pertanto, di quantificare gli importi a titolo di credito restitutorio.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione COGNOME NOME nella qualità di erede di NOME NOME sulla base di cinque motivi, ai quali resisteva l’Agenzia delle entrate con controricorso. Replicava la contribuente con memoria.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, la contribuente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 6, della l. n. 482 del 1985; 42, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986; 1, comma 5, del d.l. n. 669 del 1996, conv. dalla l. n. 30 del 1997; 16 e 17, del d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel ritenere che il rendimento percepito dal contribuente non fosse riconducibile al rendimento individuato dal citato art. 6.
Con il secondo motivo di doglianza, la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo omesso la C.t.r. di rilevare la mancata contestazione da parte dell’Agenzia delle entrate che la somma quantificata nella certificazione ENEL del
28 agosto 2000 costituisse rendimento tassabile con l’aliquota del 12,50%.
Con il terzo motivo di doglianza, la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. per omesso esame, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., del fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella quantificazione del rendimento.
Con il quarto motivo di doglianza, la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, e 7, del d.lgs. n. 546 del 1992 e 198 c.p.c., in relazione all’art. 360, c omma 1, n. 4, c.p.c.; nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, c omma 1, n. 3, c.p.c., per l’ omessa acquisizione, da parte del c.t.u., della documentazione dallo stesso ritenuta necessaria, al fine di applicare il principio di diritto enunciato nella sentenza della Suprema Corte che aveva cassato con rinvio la precedente pronuncia di merito.
Con il quinto motivo di doglianza, la contribuente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, c omma 1, n. 5, c.p.c.; nonché la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non avere la C.t.r. preso in esame le risultanze della c.t.u. e per avere, tuttavia, addossato sul contribuente le conseguenze negative del mancato raggiungimento della prova dei fatti principali di causa.
Giova premettere che, secondo quanto già esaminato da questa Corte regolatrice in una pluralità di decisioni, tra le quali le sentenze nn. 10377 e 3824 del 2023, che hanno richiesto l’analisi di medesime questioni ed appaiono condivisibili, e sono pertanto meritevoli di conferma, a decorrere dal 1° gennaio 1986 (in base all’art. 12, comma 4, del CCNL del 16 maggio 1985, recepito dall’Enel) venne prevista a favore dei dirigenti Enel la stipula di un’assicurazione sulla vita con la previsione contrattuale dell’erogazione di una pre stazione al momento del collocamento a riposo. Successivamente, sempre nel 1986, a seguito di apposita
richiesta delle rappresentanze sindacali dei dirigenti, tale previsione venne modificata con l’accordo tra l’Enel e la Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo di cui sopra con un rapporto di previdenza pensionistica integrativa (c.d. P.I.A., ovvero Previdenza Integrativa Aziendale) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico (peraltro con efficacia retroattiva al 1° gennaio 1986).
6.1. Tale forma di previdenza venne però dismessa nel 1998 e i fondi accumulati furono trasferiti a RAGIONE_SOCIALE, Fondo di previdenza integrativa esterno, chiamato a gestire una forma di previdenza complementare a capitalizzazione individuale, che attribuiva il diritto, ai dirigenti Enel che vi avevano aderito e che ne facevano richiesta, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, alla liquidazione dell’intero capitale accumulato in luogo della rendita vitalizia (cfr. Cass. 4941/2018, Cass. n. 10285/2017). Quanto al regime fiscale di tale prestazione, alla tesi dei contribuenti secondo cui il capitale richiesto, in quanto originato da un contratto assicurativo, avrebbe dovuto essere assoggettato alla ritenuta a titolo di imposta nella misura del 12,50%, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 482 del 1985 (e ciò quantomeno sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo se il capitale era corrisposto dopo almeno dieci anni dalla conclusione del contratto, ai sensi dell’art. 42, comma 4, del TUIR), si contrapponeva quella dell’Amministrazione finanziaria, secondo cui, invece, l’erogazione in oggetto non poteva considerarsi come reddito di capitale in dipendenza di un contratto assicurativo sulla vita, ma dovesse bensì qualificarsi come un reddito di lavoro dipendente, soggetto a tassazione separata ai sensi degli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 TUIR.
6.2. Su tale materia intervennero le sentenze “gemelle” delle Sezioni Unite (oltre a Cass. S.U. n. 13642/2011, le contestuali ed
identiche sentenze distinte dai numeri da 13643 a 13653), le quali, statuendo proprio in ordine al fondo P.I.A. costituito dall’ENEL, enunciarono, a risoluzione di contrasto insorto tra le sezioni semplici della Corte, il seguente principio di diritto: «in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 (TUIR), solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del “rendimento netto” si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla l. 26 settembre 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 del TUIR».
Di tale principio ha fatto applicazione questa Corte nel cassare e rinviare al giudice di merito, che poi ha emesso la sentenza impugnata nella presente sede.
Il primo motivo è infondato, poiché, così come posto, svolge una critica non tanto alla sentenza impugnata, quanto al principio di diritto stabilito dalla S.C., allorquando ha cassato con rinvio la precedente decisione della C.t.r. In altre parole, viene censurato il criterio normativo per come mediato dalla sentenza della S.C.
A tal riguardo, è opportuno ricordare che, come più volte affermato da questa Corte, l’oggetto e i limiti del giudizio di rinvio impongono di escludere che il giudice, al quale la causa sia rimessa dopo la pronuncia cassatoria, possa sindacare la correttezza in iure
del principio stabilito dalla sentenza pronunciata in sede di legittimità (Cass. n. 5253/2024, Rv. 67019001).
Ciò posto, non sussiste la lamentata violazione, poiché la C.t.r., in sede di rinvio, ha dato applicazione al principio di diritto formulato nella sentenza della S.C., disponendo a tal fine una c.t.u. per calcolare le eventuali somme spettanti ai contribuenti alla luce del criterio fissato dalle sezioni unite.
8. Parimenti infondato risulta il secondo motivo di censura.
Con riferimento ad analoga vicenda, può richiamarsi il precedente di Cass. n. 34707/2022 (Rv. 66640001), secondo cui in tema di contenzioso tributario, il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa dell’attore – contribuente, che abbia articolato istanza di rimborso di un tributo, allorché il convenuto abbia negato l’esistenza di tale credito, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione dell’ an debeatur , poiché il principio di non contestazione opera sul piano della prova e non contrasta, né supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non restringe il thema decidendum ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda. Tale principio è stato enunciato in un caso in cui l’Ufficio, ancorché non avesse svolto una specifica contestazione della documentazione sul computo del preteso “rendimento netto” depositata dal contribuente, aveva, nondimeno, negato in radice l’esistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’aliquota invocata da quest’ultimo e, quindi, l’esistenza stessa del diritto al rimborso.
Nel caso di specie, quindi, nessuna omissione può imputarsi alla C.t.r., essendo irrilevante la mancata contestazione, da parte dell’Agenzia delle entrate , che la somma quantificata nella certificazione ENEL del 28 agosto 2000 costituisse rendimento tassabile con l’aliquota del 12,50% . L’amministrazione, infatti, aveva
sempre contestato a monte il diritto di rimborso vantato dal contribuente.
Del resto, non va dimenticato che nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di una pretesa fiscale fatta valere mediante l’emanazione dell’atto impositivo nel quale i fatti costitutivi della richiesta sono già stati allegati, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato (Cass. n. 16984/2023, Rv. 66825801). Ciò in quanto, nel processo tributario, il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. opera sul piano della prova e non contrasta, né supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non può restringere il thema decidendum ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda, né può aggirare il principio di sindacabilità limitata degli atti sottostanti adottati dall’Amministrazione finanziaria, autonomamente e obbligatoriamente impugnabili davanti al giudice tributario entro il termine di 60 giorni ex artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. n. 22616/2024, Rv. 67225601).
Il terzo motivo , relativo all’omesso esame della quantificazione del rendimento, è inammissibile.
Ed infatti, l a verifica dell’esistenza o meno dei presupposti dell’applicazione dell’aliquota del 12,50%, che dalla stessa sentenza impugnata risulta sempre contestata dall’Ufficio nel giudizio di merito, costituiva proprio l’accertamento demandato al giudice del rinvio. Dunque, al giudice del rinvio non era rimessa esclusivamente la determinazione del quantum delle somme sulle quali applicare l’aliquota ridotta, ma nece s sariamente anche l’accertamento, a monte, dell’ an di un rendimento netto ” imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato (cfr. Cass. n. 34707/2022, Rv. 66640001, in motivazione).
Infine, gli ultimi due motivi possono essere trattati congiuntamente, afferendo entrambi al profilo della ripartizione dell’onere della prova, e sono entrambi infondati.
Giova premettere che, in tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo avanzata dal contribuente, quest’ultimo riveste la qualità di attore in senso non solo formale – come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo – ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e di provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salvo la formazione del giudicato interno o – dove in concreto ne ricorrono i presupposti l’applicazione del principio di non contestazione (Cass. n. 29613/2011, Rv. 62105701; v. anche Cass. n. 12291/2018, Rv. 64837401).
10.1. Nel caso di specie, trattandosi di giudizio di rimborso, gravava sul contribuente l’onere di allegare e dimostrare i fatti costitutivi del diritto di credito vantato. In particolare, spettava al contribuente dimostrare l’esistenza e l’ammontare di un rendimento netto, riconducibile alla gestione sul mercato del capitale, poiché, alla luce di quanto statuito dalle Sezioni Unite, è solo su tale rendimento netto che può trovare applicazione l’aliquota ridotta del 12,50%.
Dalla sentenza impugnata emerge che la c.t.u. espletata nel secondo giudizio di rinvio ha riscontrato l’impossibilità, sulla base della documentazione in atti, di individuare il suddetto rendimento, affermando che ‘la componente del rendimento ricompreso nel capitale erogato dal Fondo P.I.A. dell’Enel a favore degli odierni ricorrenti ha una matrice matematico-attuariale frutto esclusivo di
capitalizzazione degli accantonamenti di capitali operati da parte del RAGIONE_SOCIALE
La C.t.r., pertanto, correttamente ha rigettato la domanda dei contribuenti, in assenza di prova di un fatto costitutivo del credito vantato, che spettava a loro dimostrare.
Né, del resto, poteva il c.t.u. di propria iniziativa acquisire eventuale ulteriore documentazione necessaria presso l’Enel e il FondoEnel, come lamentato dalla odierna ricorrente, poiché, da un lato, non viene neanche chiarito di quale ulteriore documentazione si tratti e se la stessa sia esistente e nella disponibilità dei soggetti suindicati e, dall’altro, ciò confligge con quanto affermato di recente dalle Sezioni Unite. E’ stato, infatti, affermato che, i n materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti – non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio (Cass. Sez. U n. 3086/2022, Rv. 66378603).
Pertanto, sulla base di tutte le suesposte considerazioni, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese relative al presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio, a carico della ricorrente, del contributo unificato, ove dovuto (Cass. SU n. 4315/2020, Rv. 657198-03).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore d ell’ Agenzia delle entrate delle spese del giudizio, che liquida in euro 5.600,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione