Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17851 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17851 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 814/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio n. 3288/2023, depositata il 31 maggio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-L’Agenzia delle entrate notificava alla società RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. TK3035202531/2019 con il quale l’Ufficio, per l’anno di imposta 2015, aveva accertato l’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE L’imponibile recuperato a tassazione pari ad euro 2.477.483,00 determinava una maggiore IRES pari ad euro 681.308,00, una maggiore IRAP pari ad euro 119.414,00 e, ai sensi dell’art. 54 del d .P.R. 633/72, l’IVA afferente alle suddette fatture, illegittimamente detratta, pari a complessivi euro 545.046,00. In particolare, l’avviso traeva origine dal processo verbale di constatazione redatto in data 12 luglio 2018 dai militari della Guardia di Finanza – Nucleo polizia economico/finanziaria di Roma.
La società impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma.
La Commissione adita, con sentenza n. 4901/2022 depositata il 26 aprile 2022, rigettava il ricorso.
-Avverso tale pronuncia la società proponeva atto di appello.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, con sentenza n. 3288/2023, accoglieva l’appello.
-L’Ufficio ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
Resiste la società con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
La contribuente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con l’ unico motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Corte di giustizia tributaria di secondo grado valutato singolarmente gli elementi indiziari e conseguentemente fatto malgoverno delle disposizioni e dei principi in materia di presunzioni.
1.1. -Il motivo è fondato.
In tema di IVA, l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., Sez. V, 10 aprile 2024, n. 9723).
Quanto al governo delle regole su cui si fonda la prova presuntiva, anche in riferimento alla distribuzione dell’onere della prova, compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 c.c., alla fattispecie concreta, poiché se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore
a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (Cass. civ., 26 gennaio 2007 n. 1715; Cass. civ., 5 maggio 2017, n. 10973; Cass. civ., 12 ottobre 2022, n. 29802).
La giurisprudenza di legittimità ha peraltro tracciato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), anche se preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass. civ., 16 maggio 2017, n. 12002; Cass. civ., 2 marzo 2017, n. 5374; Cass. civ., 12 aprile 2018, n. 9059).
Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente di fornire la prova contraria.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado, in violazione dei suddetti principi di diritto, ha ritenuto illegittimo l’atto impugnato, escludendo che l’Ufficio avesse fornito presunzioni idonee alla dimostrazione dell’utilizzo di fatture oggettivamente inesistenti da parte della contribuente, ritenendo che la parte avesse fornito la prova contraria, procedendo a una valutazione atomistica degli elementi qualificanti dedotti dall’Agenzia.
In realtà, come emerge dall’esame del ricorso, erano numerosi gli elementi dedotti che la Corte di giustizia tributaria ha omesso di valutare nella loro interezza e che fornivano, complessivamente
considerati, un preciso quadro indiziario (la RAGIONE_SOCIALE faceva parte dello stesso ‘gruppo’ RAGIONE_SOCIALE, riconducibile ad NOME COGNOME; aveva partecipato alla costituzione della RAGIONE_SOCIALE nel momento in cui quest’ultima rivestiva la veste giuridica di consorzio; fino al 27 luglio 2016, data in cui era stata deliberata la trasformazione della società ricorrente in società per azioni, aveva mantenuto la propria partecipazione al capitale sociale della stessa, per cederlo successivamente alla RAGIONE_SOCIALE; in data 28 dicembre 2016, veniva cancellata dal registro delle imprese; nel 2015 aveva la stessa sede legale della società ricorrente, nonché lo stesso rappresentante, NOME COGNOME; la RAGIONE_SOCIALE, nel corso dell’anno 2015, si presentava sostanzialmente come una scatola vuota, del tutto priva di una struttura interna costituita da quel complesso di fattori produttivi personali e materiali, necessario allo svolgimento delle ingenti prestazioni riportate nelle fatture emesse nei confronti delle società ‘clienti’; oggettiva inesistenza delle prestazioni sottostanti le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, avvalorata dalle anomalie emerse nell’ambito di riscontro della regolarità dei pagamenti relativi a tali fatture). In tal senso, la censura attiene, correttamente, all’errata sussunzione dei fatti nelle norme richiamate, con violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., in tema di presunzioni e di onere della prova.
Vi è inoltre da evidenziare che la mera regolarità formale dei pagamenti – contrariamente da quanto ritenuto in sede di gravame – non è elemento determinante per dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto dal contribuente con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo
scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., Sez. V, 10 aprile 2024, n. 9723; Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. 28628; Cass., Sez. V, 5 luglio 2018, n. 17619).
-La sentenza impugnata dev’essere perciò cassata e, per l’effetto, va disposto il rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione