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Onere della prova IVA: la Cassazione decide

Una società è stata accusata di evasione IVA per operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5829/2024, ha rigettato il ricorso dell’Agenzia Fiscale, chiarendo i principi sull’onere della prova. La Corte ha stabilito che la valutazione della buona fede del contribuente, effettuata dal giudice di merito attraverso un’analisi complessiva degli indizi, non può essere riesaminata in sede di legittimità se adeguatamente motivata.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della prova IVA: la Cassazione chiarisce la buona fede del contribuente

Con la recente ordinanza n. 5829 del 5 marzo 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: l’onere della prova in caso di contestazioni per operazioni soggettivamente inesistenti. La decisione offre importanti spunti sulla ripartizione di tale onere tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, e sui limiti del sindacato della Corte di legittimità sulla valutazione delle prove effettuata dai giudici di merito.

I Fatti di Causa

Una società in accomandita semplice (S.A.S.) e i suoi soci, sia accomandatari che accomandanti, ricevevano un avviso di accertamento dall’Agenzia Fiscale. L’Ufficio contestava la detrazione dell’IVA relativa all’anno d’imposta 2013, sostenendo che la società avesse partecipato a operazioni soggettivamente inesistenti, ovvero acquisti da una cosiddetta “società cartiera”.

Dopo una prima decisione sfavorevole, i contribuenti proponevano appello presso la Commissione Tributaria Regionale (C.T.R.), la quale accoglieva le loro ragioni. La C.T.R. riteneva che, da un lato, i soci accomandanti non fossero responsabili per l’IVA, debito esclusivo della società, e dall’altro, che la società e il socio accomandatario avessero assolto al loro onere della prova, dimostrando di non essere consapevoli di partecipare a una frode.

L’Agenzia Fiscale, insoddisfatta, presentava ricorso per cassazione, lamentando una violazione delle norme sulla prova e sostenendo che la C.T.R. avesse erroneamente ritenuto sufficienti elementi come la regolarità contabile e la tracciabilità dei pagamenti a dimostrare la buona fede.

L’onere della prova nelle frodi IVA

La Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia. In tema di detrazione IVA connessa a operazioni soggettivamente inesistenti, spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, anche tramite presunzioni, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario della fattura era consapevole, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, di partecipare a un’evasione fiscale.

Una volta che l’Ufficio ha fornito indizi idonei (come la natura di “cartiera” del cedente), l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nella frode. Elementi come la mera regolarità formale della contabilità o la tracciabilità dei pagamenti, da soli, non sono sufficienti a vincere la presunzione di consapevolezza.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia Fiscale, giudicandolo in parte inammissibile e in parte infondato.

In primo luogo, il motivo con cui l’Agenzia sosteneva la “non contestazione” da parte del contribuente della natura di “cartiera” del fornitore è stato dichiarato inammissibile per difetto di specificità. L’Agenzia non aveva infatti indicato in quale fase del giudizio di merito tale circostanza fosse stata ammessa o non contestata.

Nel merito, la Corte ha stabilito che la Commissione Tributaria Regionale non aveva invertito l’onere della prova, ma aveva correttamente ritenuto che il contribuente avesse adempiuto al proprio. I giudici d’appello non si erano limitati a considerare la consegna della merce o la regolarità dei pagamenti, ma avevano condotto una valutazione globale e complessiva di tutto il materiale probatorio. Questa valutazione, che includeva anche altri elementi non specificamente censurati dall’Agenzia, aveva portato a escludere la consapevolezza della frode in capo alla società.

La Cassazione ha concluso che i motivi di ricorso dell’Agenzia miravano, in realtà, a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, un’operazione preclusa in sede di legittimità. Il ruolo della Cassazione non è quello di riesaminare le prove, ma di verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.

Conclusioni

La sentenza rafforza un principio fondamentale: la valutazione delle prove è di competenza esclusiva del giudice di merito. Se tale valutazione è basata su un esame complessivo e non frammentario degli elementi disponibili ed è sorretta da una motivazione logica e coerente, non può essere messa in discussione davanti alla Corte di Cassazione. Per i contribuenti, questa decisione sottolinea l’importanza di non limitarsi a dimostrare la regolarità formale delle operazioni, ma di fornire un quadro probatorio completo e articolato per dimostrare la propria buona fede e la massima diligenza nell’evitare il coinvolgimento in frodi fiscali.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, a chi spetta l’onere della prova iniziale?
Spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare, anche tramite indizi, non solo che il fornitore era fittizio (una ‘società cartiera’), ma anche che il destinatario della fattura era consapevole della frode o avrebbe dovuto esserlo usando la normale diligenza.

Cosa deve dimostrare il contribuente per non essere considerato complice della frode?
Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha fornito indizi sufficienti, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza possibile per un operatore accorto per evitare di essere coinvolto nella frode, provando la sua totale inconsapevolezza. La sola regolarità formale della contabilità e dei pagamenti non è sufficiente.

Perché la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’Agenzia Fiscale in questo caso?
La Corte ha respinto il ricorso perché ha ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale avesse correttamente valutato le prove. I giudici di merito non si sono limitati a considerare singoli elementi, ma hanno effettuato una valutazione globale e complessiva del materiale probatorio, concludendo in modo motivato che il contribuente aveva assolto al proprio onere di provare la sua buona fede. Il ricorso dell’Agenzia è stato visto come un tentativo inammissibile di ottenere un nuovo giudizio sui fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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