Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15738 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15738 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11351/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, pec e NOME (CODICE_FISCALE) pec EMAIL
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CALABRIA n. 3949/2022 depositata il 22/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 2/03/2020, L’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale II di Roma notificava l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO con il quale contestava alla società RAGIONE_SOCIALE in qualità di destinataria finale di carburante, di aver contabilizzato e dichiarato un ammontare imponibile di operazioni soggettivamente inesistenti pari ad €793.053,00 con IVA indetraibile pari ad € 174.471,66 derivanti da fatture emesse dalle società cartiere RAGIONE_SOCIALE e NOME RAGIONE_SOCIALE
La contribuente impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla CTP di Vibo Valentia che, con sentenza n. 566/02/2021 del 16.04.2021 e depositata in data 2/07/2021, accoglieva il ricorso.
Avverso tale sentenza l’Ufficio proponeva appello dinanzi alla Corte di Giustizia tributaria di II grado della Calabria che, con sentenza, n. 3949/01/2022 depositata in data 22/12/22, rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata.
Il ricorso per cassazione dell’Agenzia è affidato a due motivi.
Resiste la contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si adombra la violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c., art. 118 disp. att.
c.p.c., nonché art. 1 comma 2, 36 comma 2 n. 2, 4, 53 e 54 D.lgs n. 546/1992, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., per aver la CTR reso una pronuncia carente di motivazione e con motivazione apparente, sostanzialmente incentrata sull’adesione acritica della decisione di primo grado. In particolare, non è dato rinvenire alcuna valutazione in ordine al materiale probatorio, né alcun esame relativo alla doglianza sollevata dall’Ufficio sulla circostanza che la società non ha dimostrato la propria buona fede laddove ha intrattenuto rapporti con società cartiere.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la violazione o falsa applicazione degli artt. 17,19, 21 comma 7 e 54 del D.P.R. n. 633/1972, artt. 2697, 2727, 2729 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per aver la CTR violato e applicato erroneamente i principi consolidati in materia di riparto dell’onere della prova nell’ambito di operazioni soggettivamente inesistenti. Il primo motivo è infondato.
La Corte regionale ha osservato che: ‘ nell’avviso di accertamento impugnato, non erano riscontrabili elementi, seppure presuntivi, dai quali fosse possibile dedurre una condotta negligente della contribuente, ovvero che la stessa avesse avuto la possibilità di conoscere le operazioni fraudolente messe in atto dalle due predette società fornitrici del carburante acquistato. Ed invero, non si ravvisano nel caso trattato elementi di rilevanza sintomatica, quali l’acquisto di beni ad un prezzo inferiore di merc ato; la limitatezza dell’eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la tempistica dei pagamenti, in particolare se incrociati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali e quant’altro indicativo della mala fede di essa contribuente nell’acquisto del carburante dalle due ridette società di dubbia
affidabilità. Ergo, la Commissione, contrariamente a quanto erroneamente sostenuto dall’appellante, rileva che il giudice di prime cure aveva fatto buon governo dei poteri conferitigli dagli artt. 115 e 116, c.p.c., risultando del tutto corretto l’iter logico -giuridico seguito per pervenire alla decisione appellata, che appare perciò del tutto condivisibile ‘.
La sentenza non appare, pertanto, priva di motivazione, lasciando ben cogliere la ratio decidendi alla propria base, afferente la ritenuta assenza di elementi presuntivi idonei a deporre nel senso della conoscenza/conoscibilità dell’inesistenza delle operazioni contestate. Questa Corte ha chiarito, d’altronde, che si è in presenza di una «motivazione apparente» allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. n. 6758 del 2022; Cass. n. 13977 del 2019).
Il secondo motivo è fondato.
La CTR esclude recisamente che il contribuente fosse in mala fede rispetto alle operazioni frodatorie.
Tuttavia, a risaltare sono alcuni dati salienti, obliterati in radice dal giudice d’appello: innanzitutto, il dato saliente dell’inesistenza soggettiva delle società con le quali l’odierna ricorrente intratteneva rapporti; la circostanza sorvolata che i rapporti con tali società ‘cartiere’, non solo fossero plurimi, ma si sviluppassero per importi non trascurabili; la circostanza negletta per la quale o ingenti
quantitativi di merce venivano rivendute ad un prezzo più basso rispetto al mercato.
Questi tre elementi fattuali, di matrice presuntiva, ancorché del tutto tralasciati dalla CTR si appalesavano idonei a far scattare l’onere della prova da parte del contribuente nel senso ricostruito dalla giurisprudenza nomofilattica appresso riportata.
È principio ormai consolidato quello per cui, ove vengano contestate al contribuente operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria può assolvere all’onere di provare l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici (Cass. n. 9851 del 2018; Cass. n. 9588 del 2019; Cass. n. 24471 del 2022). In particolare, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione IVA, senza che sia necessaria la prova della partecipazione all’evasione (v. Corte Giust. COGNOME, C-285/11; Corte Giust, Ppuh, /14). Detta prova può ritenersi raggiunta qualora l’Amministrazione fornisca attendibili indizi, idonei ad integrare una presunzione semplice, come prevede per l’IVA l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (v. Cass. n. 14237 del 2017; Cass. n. 20059 del 2014; 8 Cass. n. 10414 del 2011; Corte Giust. COGNOME, C-439/04; Corte Giust. COGNOME e NOME, C-80/11 e C-142/11). Pertanto, esclusi ogni automatismo probatorio o criterio generale predeterminato, l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario s’incentra nella individuazione, a cura dell’Amministrazione, dì elementi obbiettivi e specifici in ordine al fatto che la contribuente-cessionaria dei beni o dei diritti conoscesse o avrebbe dovuto conoscere, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, e
tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione, che la realtà documentalmente espressa non corrispondeva a quella effettiva (Cass. n. 24490 del 2015). Una volta che l’Amministrazione abbia provato, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente, passa al contribuente medesimo l’onere di fornire la prova contraria (Cass. n. 23560 del 2012; Cass. n. 25575 del 2014).
Ora, nella specie, se i primi due elementi fra quelli sopra enucleati, benché carichi di per sé di intrinseca portata sintomatica, non sono stati neppure fatti oggetto di valutazione ex latere judicis , il terzo è stato fatto fugace oggetto di un apprezzamento acritico e apodittico. Su questo versante la CTR mostra la propria radicale carenza, avendo trascurato gli elementi indiziari e la loro idoneità a comportare l’assolvimento al proprio onere da parte dell’amministrazione. In definitiva, la CTR finisce per pretendere una sorta di prova piena, denegando ab implicito la sufficienza di quella presuntiva.
Il ricorso va, in ultima analisi, accolto in relazione al secondo motivo, respinto il primo. La sentenza d’appello va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame alla Corte di giustizia tributaria regionale di secondo grado della Calabria, che provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio.
accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo motivo del ricorso stesso; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa per un nuovo esame alla Corte di giustizia tributaria regionale di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 27/03/2025.