Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20845 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 20845 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11518/2018 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso per procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME del foro di Milano
-ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore generale pro tempore
-intimata – avverso la sentenza n. 3967/14/2017 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata in data 5.10.2017, non notificata;
udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 4.6.2025 dal Cons. NOME COGNOME
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate di Milano per l’anno di imposta 2009, a seguito di indagini bancarie autorizzate dalla Direzione Regionale, con il quale veniva accertato un maggior reddito Irpef, con
IRPEF -avviso di accertamentoindagini bancarie -art. 12, comma 7 l. 212/2000 onere della prova -divieto di bis in idem.
conseguente recupero delle maggiori imposte a titolo di Irpef, addizionale Irpef comunale ed addizionale Irpef regionale, oltre sanzioni ed interessi.
2.La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, nella resistenza dell’Agenzia delle Entrate, dava atto del parziale annullamento dell’accertamento in autotutela e della conseguente rideterminazione del reddito e rigettava nel resto il ricorso.
3. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (d’ora in poi C.T.R.), adita dal soccombente, riassunti i motivi di appello, respingeva il gravame, ritenendo, in sintesi, che l’onere della prova contraria ricadesse sul contribuente, a norma dell’art. 32 del d.p.r. 600/73; che nonostante il rinvio concesso per la produzione di documentazione integrativa, nulla era stato prodotto in giudizio; che l’Ufficio non aveva violato l’art. 7 della legge n. 212/2000, nè l’art. 32 del D.P.R. 600/73, in quanto aveva documentato di aver richiesto ai sensi di legge l’autorizzazione della direzione regionale per accedere alle banche dati; che le tabelle contenute nell’avviso di accertamento documentavano analiticamente le operazioni in entrata, le causali, nonché le eventuali giustificazioni del contribuente, dal che la legittima ricostruzione del maggior reddito non dichiarato, al netto dell’annullamento parziale relativamente al costo sostenuto per l’imbarcazione Alena 48 e di un canone di locazione.
4.Avverso la precitata sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso, affidato a sette motivi.
L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo -rubricato « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42, commi 1 e 3 del d.P.R. 600/73 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c .» – il ricorrente lamenta che la C.T.R, avendo concesso all’Agenzia delle Entrate un rinvio per produrre copia della delega rilasciata al sottoscrittore dell’atto impugnato
con ordinanza del 9.6.2017 e poi dato atto in sentenza che ‘ nulla era stato prodotto’ , avrebbe dovuto annullare l’avviso di accertamento.
2.Con il secondo motivo, rubricato « violazione e/o falsa applicazione degli articoli 7 e 32 ovvero 58, comma 2 del decreto legislativo n. 546/92, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .», si addebita alla C.T.R., in aggiunta a quanto illustrato nel primo motivo, di aver consentito una produzione tardiva, nonostante il giudice tributario non sia tenuto ad acquisire d’ufficio le prove in forza dei poteri istruttori attribuiti dall’art. 7 del decreto legislativo n. 546/92, che è istituto utilizzabile solo per sopperire all’impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra parte. La C.T.R. avrebbe pertanto dovuto revocare la precedente ordinanza depositata in data 9.6.2017, dichiarare l’inammissibilità della documentazione prodotta tardivamente dall’Agenzia delle Entrate ed annullare l’atto impugnato per violazione dell’art. 42, comma 3, del d.p.r. 600/73 per difetto di sottoscrizione.
I predetti motivi di censura, con i quali si sostiene, da un lato, che l’Agenzia delle Entrate non avrebbe in alcun modo ottemperato all’ordinanza del 9.6.2017 e, dall’altro, che il rinvio non avrebbe dovuto essere concesso, dovendosi pertanto ritenere inammissibile la produzione illegittimamente autorizzata con l’ordinanza citata, sono da esaminarsi congiuntamente, in quanto connessi e sono infondati.
3.1.Quanto alla prima censura, nella sentenza non si afferma che il rinvio è stato concesso all’Agenzia delle entrate per produrre la delega al funzionario firmatario dell’atto impugnato, sicchè non si può inferire che l’affermazione ‘ nulla è stato prodotto ‘ si riferisca alla mancata produzione del predetto documento. La tesi del ricorrente è inoltre smentita dalla nota n. 2 in calce alla motivazione, ove si dà atto del deposito della memoria difensiva
del 15.6.2017, con la quale l’Ufficio produceva una serie di documenti, tutti attinenti alla predetta questione.
Ancora, l’affermazione riportata dal ricorrente circa la mancata produzione (‘nulla è stato prodotto’) si riferisce chiaramente ‘ all’integrazione della precedente documentazione con altra, che per causa non imputabile, non era stato possibile rinvenire in tempo utile’ , che si correla esattamente alla richiesta dell’appellante, trascritta a pagina 2 della sentenza, ove si dà appunto atto della richiesta dell’appellante di ‘ integrare l a precedente documentazione con altra , che per causa non imputabile, non è stato possibile rinvenire in tempo utile’.
3.2.Quanto alla seconda doglianza, essa appare inammissibile. Oltre ad essere stata denunciata una violazione di norme processuali (autorizzazione a produrre documenti oltre il termine perentorio previsto dalle norme sul processo tributario) e dunque un error in procedendo , sussumendola però erroneamente nel vizio di cui al n. 3 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., la doglianza si pone in insanabile contrasto con quella contenuta nel primo motivo, con il quale è stato (infondatamente) sostenuto che l’Agenzia delle Entrate non aveva prodotto alcuna documentazione attinente alla delega di firma.
Il motivo è comunque infondato, posto che questa Corte ha chiarito, in analoga fattispecie, che nel processo tributario, il potere del giudice di disporre d’ufficio l’acquisizione di mezzi di prova non può essere utilizzato per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento dell’onere probatorio a proprio carico, ma solo, in situazioni di oggettiva incertezza, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti, di talché, ad esempio, nel caso in cui il PVC sia allegato all’atto impositivo ma non prodotto in giudizio, il giudice può disporne l’acquisizione, trattandosi di attività preordinata alla completezza del provvedimento impositivo già in
atti, funzionale all’integrazione del contraddittorio su di esso (cfr.
Cass. n. 12383/2021).
Poiché nella fattispecie in esame è pacifico che l’avviso di accertamento in atti fosse stato firmato da un funzionario qualificatosi come munito di delega e, come ammette lo stesso ricorrente (pag. 13), l’Agenzia delle Entrate aveva già prodotto in primo grado i relativi documenti, indicati nel presente ricorso a pagina 8, è stato legittimamente esercitato il potere discrezionale di acquisire ulteriore documentazione relativa all’esistenza della delega, fermo restando che, come chiarito da Cass. n. 13152/2014, a proposito degli effetti dell’abrogazione del comma 3 del medesimo articolo, al Giudice tributario (tanto di primo quanto di secondo grado) non è più consentito ordinare il deposito di documenti, ma deve tuttavia essergli riconosciuto il potere di ordinarne ex officio l’esibizione, ai sensi dell’art. 210 c.p.c.
4. Con il terzo motivo, rubricato « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. , per mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, motivazione apparente, contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», il ricorrente deduce che la C.T.R. non avrebbe colto che la documentazione prodotta dall’Agenzia delle Entrate era inidonea a provare l’effettivo di conferimento del potere di sottoscrivere l’avviso di accertamento, sicchè si palesava evidente il difetto di motivazione per violazione del minimo costituzionale, come ricostruito dalla sentenza a Sezioni Unite n. 8053/2014.
Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360, comma 4, c.p.c., atteso che, in presenza di doppia conforme sfavorevole per il contribuente, il vizio non è deducibile.
Peraltro, neppure viene indicato il fatto, che va inteso in senso storico naturalistico, il cui esame sarebbe stato omesso, non
potendo definirsi tale la questione se la documentazione prodotta dalla controparte fosse o meno idonea a soddisfare l’onere della prova circa la validità della sottoscrizione dell’atto impugnato.
Infine, considerato che la motivazione è graficamente esistente ed analitica (avendo tra l’altro la CTR elencato la documentazione prodotta dall’Ufficio, come sopra evidenziato), la parte ricorrente si limita ad elencare i casi in cui la Corte considera integrato il difetto di motivazione (illogicità, contraddittorietà, insanabile contrasto, motivazione perplessa o incomprensibile), senza specificare l’ipotesi ravvisabile nella fattispecie concreta.
5.Con il quarto motivo, rubricato « violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del decreto legislativo n. 546/92, in combinato disposto con l’art. 32, comma 7 e 33, commi 2 e 3 del d.p.r. 600/73, nonché degli articoli 2697, 2727, 2729 c.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c.» , il ricorrente addebita alla C.T.R. di aver erroneamente ritenuto che l’ufficio avesse prodotto in giudizio l’autorizzazione della Direzione Regionale della Lombardia asseritamente rilasciata in data 30.5.2013, citata nell’avviso di accertamento. Ed invero, contrariamente a quanto statuito, tale autorizzazione non era stata mai prodotta, sicchè non poteva operare la presunzione di cui all’art. 32 del d.p.r. 600/73.
Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360, comma 4, c.p.c., atteso che, in presenza di doppia conforme sfavorevole per il contribuente, il vizio non è deducibile, in difetto di allegazione e dimostrazione che le sentenze di primo e secondo grado si fondino su ragioni diverse, inerenti fatti diversi.
Per completezza, va richiamato il costante orientamento di questa Corte secondo cui il potere di svolgere accertamenti bancari trova fondamento direttamente nella legge ossia nell’art. 32 del d.p.r.
600/73, sicchè non è necessario addurre alcuna motivazione sul punto per giustificare l’avvio dei controlli. L’autorizzazione ex art. 51, comma 2, n. 7), d.P.R. n. 633 del 1972, esplica una funzione organizzativa, incidente nei rapporti interni tra uffici; pertanto, dalla sua mancata allegazione ed esibizione non discende l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, poiché l’illegittimità dell’atto può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente (Cass. 23 febbraio 2024, n. 4853; Cass. 28 maggio 2018, n. 13353, Cass. 9645/2024, Cass. 12721/2025, (Cass. 10675/2010, 16874/2009 ecc.), pregiudizio concreto non allegato nel caso in esame.
6.Con il quinto motivo, rubricato « violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del decreto legislativo n. 546/92 in combinato disposto con gli art. 2697, 2727, 2729 c.c., con l’art. 32, comma 7 e 33, commi 2 e 3 del d.p.r. 600/73, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c, il ricorrente lamenta che la C.T.R. si era limitata ad esaminare solo le tabelle contenenti i meri movimenti in entrata sui conti correnti e non anche i documenti prodotti da esso ricorrente, che integravano certamente la prova contraria atta a superare la presunzione di cui all’art. 32 del d.p.r. 600/73.
Il motivo, prospettato come violazione di legge, sub specie di violazione delle regole di riparto dell’onere della prova, è infondato. 6 .1.La C.T.R., dopo aver richiamato le regole sul riparto dell’onere della prova scaturenti dall’art. 32 del d.p.r. 600/73, ha dato atto della mancata produzione della documentazione integrativa da parte dell’appellante, che ne aveva richiesto l’ammissione. La C.T.R. ha pertanto implicitamente ritenuto non assolto l’onere della prova posto in capo al contribuente e dunque correttamente applicato la regola di riparto dell’onere della prova scaturente dall’art. 32 del sopra citato D.P.R., sulla base delle presunzioni
scaturenti dalle tabelle riportate nell’avviso di accertamento che davano conto non solo dei movimenti bancari, come assume il ricorrente, ma anche del tipo di operazione e dell’esistenza o meno di idonea giustificazione, sulla base della documentazione esibita in sede amministrativa, nei numerosi incontri svoltisi, di cui dà atto la stessa parte ricorrente, documentazione non integrata in sede giudiziale, nonostante il rinvio concesso.
7.Con il sesto motivo, rubricato « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 7 della legge 212/2000, in combinato disposto con l’art. 32, comma 1, n. 7 del d.p.r. 600/73, nonché con l’art. 70 del d.p.r. 600/73 e con gli articoli 41 e 52 della Carta di Nizza, art. 6 CEDU e con gli articoli 111, 117, 3, 24 e 27 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. ( omessa pronuncia) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.» si rimprovera alla C.T.R. di aver implicitamente rigettato ovvero omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con il quale si era reieterato il motivo di ricorso attinente il mancato rispetto dell’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente, quale ragione di illegittimità dell’atto impugnato.
Il motivo è infondato
.
7.1.La decisione di rigetto implicito del motivo di gravame è conforme a diritto, sicchè, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la motivazione può essere integrata, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c..
L’avviso di accertamento impugnato, invero, non è stato emesso a seguito di accesso, ispezione o verifica fiscale presso i locali del contribuente, ma si è trattato di un accertamento cosiddetto ‘a tavolino’, preceduto dall’invio di un questionario con richiesta di esibizione di documentazione, per come incontestato.
Tanto chiarito, questa Corte ha più volte statuito, a partire dalla sentenza a Sezioni unite n. 24823/2015, che in tema di tributi armonizzati ( es. IVA), la eventuale violazione del diritto di difesa
non comporta, per il principio di effettività, che una decisione adottata in spregio dei diritti della difesa venga annullata in ogni caso, ma solo laddove detta violazione avrebbe eziologicamente determinato l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo. Ciò si verifica ove il contribuente illustri come e in che termini, in mancanza di detta irregolarità e della conseguente compressione del diritto di difesa, il procedimento amministrativo, nel caso in cui il diritto di difesa fosse stato rispettato, sarebbe potuto giungere a un risultato diverso (cd. «prova di resistenza»: CGUE, 3 luglio 2014, Kamino, C-129/13 e C130/13, punti 78 e 79). E’, quindi, necessario che il contribuente deduca che il rispetto ex ante del contraddittorio avrebbe messo il contribuente in condizione di giungere a un diverso esito in sede di emissione dell’atto impositivo e solo in caso di prova di tale circostanza e di quali sarebbero questi diversi esiti, la violazione dei diritti della difesa comporterebbe l’annullamento dell’atto impositivo medesimo (CGUE, 18 giugno 2020, RQ, C -831/18 P, punto 105; CGUE, 4 giugno 2020, CS C.F., C-430/19, punto 35; CGUE, 4 giugno 2020, SEAE, C-187/19 P, punto 69; CGUE, 20 dicembre 2017, Prequ, C27616, punto 62; ex multis , Cass., Sez. V, 15 dicembre 2022, n. 36852). Quanto, invece, alle imposte dirette, come nel caso in esame, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale vigente ratione temporis , un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24823). Nel caso di specie, come detto, non risulta eseguito alcun accesso presso la sede del contribuente, per cui non osta alla legittimità dell’avviso l’assenza di contraddittorio.
8.Con il settimo ed ultimo motivo, rubricato « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 del decreto legislativo n. 74/2000 ( divieto di ne bis in idem), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. –
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (omessa pronuncia) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.» si rimprovera alla C.T.R. di non aver esaminato il motivo di gravame con il quale si era insistito sulla non debenza delle sanzioni per violazione del principio del ne bis in idem , stante il parallelo avvio di un procedimento penale presso la competente Procura della Repubblica.
Il motivo va respinto, pur in presenza di omessa pronuncia sul motivo di gravame, essendo il dispositivo conforme a diritto. La Corte, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma c.p.c., osserva al riguardo che il principio invocato non opera ‘in astratto’, non essendo sufficiente l’inoltro da parte degli accertatori di una denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal decreto legislativo n. 74/2000 e l’eventuale iscrizione del contribuente nel registro degli indagati, nè il ricorrente ha dedotto in questa sede di aver affermato e documentato nei gradi di merito di essere stato condannato in sede penale.
9.Il ricorso va conclusivamente rigettato.
Nulla per le spese.
11 . Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, questa Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4.6.2025.