Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31483 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31483 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 9118/2023 proposto da:
Avv. COGNOME NOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE, nato a S. Severo il 5 febbraio 1951 ed ivi residente, rappresentato e difeso da sé medesimo (pec: EMAIL) del Foro di Foggia;
-ricorrente –
contro
Comune di Napoli (C.F.: 80014890638), in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso, giusta mandato in calce al controricorso, congiuntamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) ed elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo Studio Legale Leone (C.F.: CODICE_FISCALE; pec: EMAILordineavvocatiroma.org);
Avviso accertamento IMU -Immobile inagibile
– controricorrente –
-avverso la sentenza n. 6719/2022 emessa dalla CTR Campania in data 12/10/2022 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
La CTP di Napoli, con sentenza n. 9232/21, rigettava il ricorso proposto da COGNOME NOME Giulio avverso quattro avvisi di rettifica IMU, per gli anni dal 2013 al 2017, emessi dal Comune di Napoli a recupero dell’omesso versamento da parte del ricorrente della differenza dell’imposta in oggetto relativamente al cespite in Napoli alla INDIRIZZO
La CTP evidenziava che la liquidazione dell’imposta era stata operata correttamente dall’Ufficio, sulla base della pronuncia della Cassazione n. 28097/20, che aveva sancito definitivamente la piena legittimità dell’inquadramento in classe A/7, di classe 3, consistenza vani 7,5, rendita catastale di euro 2.498,36. Quanto poi alla pretesa inagibilità degli immobili, la CTP aveva rimarcato che il contribuente ricorrente si era limitato a produrre una mera dichiarazione IMU di inagibilità, non corredata da documentazione tecnica descrittiva per ottenere il beneficio fiscale richiesto.
Sull’impugnazione del contribuente, la CTR della Campania rigettava il gravame, evidenziando che: a) la costituzione del Comune era stata sicuramente tardiva, ex art. 23 d.lgs. n. 544/1992, e ciò precludeva la proposizione di domande riconvenzionali, ma non la produzione documentale, comunque sicuramente ammissibile in appello, ex art. 58 cpv. d.lgs. citato; in ogni caso, il Comune si era limitato a depositare copia di una ordinanza della Cassazione (acquisibile d’ufficio) e un certificato catastale (ir rilevante ai fini della decisione); b) la S.C., con l’ordinanza n. 28097 del 2020, aveva confermato la sentenza della CTR Campania che (riformando la pronuncia di primo grado favorevole al contribuente) aveva ritenuto legittimo l’accertamento catastale com piuto dal Comune con riferimento all’immobile de quo, evidenziando che il contribuente non aveva dedotto (al fine di pretendere un onere motivazionale dell’avviso
‘aggravato’) che l’avviso di accertamento fosse basato su diversi elementi di fatto rispetto a quelli indicati nella proposta di Docfa e che la decisione del giudice di secondo grado appariva adeguatamente motivata sulla base della documentazione fotografica prodotta dalle parti (da cui aveva desunto che trattavasi di una abitazione in villino rientrante nella categoria A/7); c) era il contribuente, e non il Comune, che doveva provare rigorosamente -trattandosi di una esenzione – la sussistenza dello stato di inagibilità dell’immobile, totale o parziale che fosse, laddove tale prova, al di là delle mere enunciazioni, non era stata offerta.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME Lucio Giulio sulla base di sei motivi. Il Comune di Napoli ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente deduce che la CTR non avrebbe tenuto presente che la costituzione e la produzione della parte resistente oltre il termine 60 giorni dalla notifica, ex art. 23 d.lgs. n. 546/1992, era nulla, a maggior ragione se effettua ta oltre i perentori 20 giorni prima dell’udienza, ex art. 32 d.lgs. citato.
1.1. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, il ricorrente ha omesso di indicare in quale dei vizi tassativamente indicati dall’art. 360 c.p.c. il vizio denunciato sarebbe inquadrabile (laddove per i restanti cinque motivi ha indicato in calce ad ognuno di essi sostanzialmente identiche disposizioni normative). Come correttamente evidenziato dal resistente, <> (Cass. n. 19959/2014). L’onere di specificità dei motivi (art. 366 n. 4 c.p.c.) impone da un lato che sia indicata la norma di legge che si assume violata (“… con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano…”) e, dall’altro, il motivo, tra quelli elencati nell’art. 360 c.p.c., cui si intende ascrivere il vizio lamentato (“motivi per i quali si chiede la cassazione…”); pertanto solo il rispetto di entrambe le condizioni consente al ricorso di superare il vaglio di ammissibilità sotto il profilo della specificità dei motivi (v. Cass., sez. I, 05/08/2020, n. 16700).
In secondo luogo, il ricorrente non attinge la ratio decidendi sottesa alla pronuncia impugnata, la quale si sostanzia nel rilevare che, sebbene la costituzione del Comune fosse stata tardiva, ex art. 23 d.lgs. n. 544/1992, ciò precludeva la proposizione di domande riconvenzionali, ma non la produzione documentale, comunque ammissibile in appello, ex art. 58 cpv. d.lgs. citato, e che, in ogni caso, il Comune si era limitato a depositare copia di una ordinanza della Cassazione (acquisibile d’ufficio) e un ce rtificato catastale (irrilevante ai fini della decisione). Invero, da un lato, in tema di contenzioso tributario, la costituzione in giudizio della parte resistente deve avvenire, ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, sicché, qualora tali difese non siano state concretamente esercitate, nessun altro pregiudizio può derivare al resistente, al quale va riconosciuto il diritto di negare i fatti costitutivi della pretesa attrice, di contestare l’applicabilità delle norme di diritto invocate, nonché di produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 6734 del 02/04/2015). Dall’altro lato, come è noto, in tema di contenzioso tributario, l’irrituale produzione di un documento nel giudizio di primo grado non assume rilievo nella definizione della controversia, salvo eventualmente per quanto riguarda la regolamentazione delle spese processuali, in quanto, comunque, il documento può essere legittimamente valutato dal giudice di appello, in applicazione dell’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass., Sez.
6 – 5, Ordinanza n. 30537 del 19/12/2017).
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 111, secondo e sesto comma, Cost., 112, 115 e 345 c.p.c. e 23 e 32 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che il DOCFA presentato dal geom. NOME COGNOME era di mera rettifica di alcune approssimazioni nella rappresentazione grafica che non comportava variazione nel classamento.
2.1. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione, come nel caso di specie, di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
In secondo luogo, a ben vedere, la doglianza sollecita una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa nella presente sede.
Senza tralasciare che apodittica si rivela l’affermazione (contenuta a pag. 7 del ricorso) secondo cui <>.
Del resto, l’ente impositore ha all’evidenza (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata) utilizzato la rendita catastale in atti al primo gennaio dell’anno d’imposizione che è stata confermata dall’ordinanza della Cassazione, Sez. VI, n. 28097, depositata il 9.12.2020.
Con il terzo ed il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 111, secondo e sesto comma, Cost., 112, 115 e 345 c.p.c., 23 e 32 d.lgs. n. 546/1992 e 8, comma 1, d.lgs. n. 504/1992, in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per non aver considerato che un regolamento o una normativa secondaria non può mai essere in contrasto o sostituire una normativa primaria, come le ‘Leggi dello Stato’, e che, essendo processualmente acquisito che egli aveva costantemente chiesto negli anni la riduzione al 50% dell’ICI, qualsiasi altro onere probatorio era esclusivamente a carico del Comune di Napoli.
3.1. I motivi sono inammissibili.
In primo luogo, è vero che, nel caso in cui siano dedotti vizi relativi a regolamenti comunali, è necessario che le disposizioni rilevanti siano trascritte o allegate, in quanto per le norme giuridiche di rango secondario non opera il principio iura novit curia (ad eccezione dei regolamenti comunali edilizi che, in quanto disciplinanti le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai confini, sono integrativi del codice civile ed hanno, pertanto, valore di norme giuridiche, sicché spetta al giudice acquisirne conoscenza d’ufficio, quando la loro violazione sia dedotta dalla parte; Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7715 del 09/03/2022). Ma è altrettanto vero che la CTR ha qualificato il Regolamento del Comune di Napoli in tema di Ici come atto normativo generale non già per reputarlo conoscibile da parte dei giudici, ma per affermare che l’appellante (vale a dire, il contribuente) non poteva opporne la mancata conoscenza.
In secondo luogo, la CTR ha presunto la conoscenza del detto regolamento con riferimento all’art. 5, comma 9 (che definisce il degrado occorrente per poter godere della riduzione del 50% della basa imponibile), e non già all’art. 6, comma 2, che, alla lett . b), sostanzialmente riproduce l’art. 13, comma 3, del d.l. n. 201/2011.
In ogni caso, l’Amministrazione finanziaria non ha poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute e, di fronte alle norme tributarie, detta Amministrazione ed il contribuente si trovano su un piano di parità, per cui la cd. interpretazione ministeriale, sia essa contenuta in circolari o in risoluzioni, non vincola nè i contribuenti nè i giudici, nè costituisce fonte di diritto. Gli atti ministeriali medesimi, quindi, possono dettare agli uffici subordinati criteri di comportamento nella concreta applicazione di norme
di legge, ma non possono imporre ai contribuenti nessun adempimento previsto dalla legge nè, soprattutto, attribuire all’inadempimento del contribuente alle prescrizioni di una “risoluzione” un effetto non previsto da una norma di legge (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21154 del 06/08/2008). Pertanto, nessuna valenza può attribuirsi alla Circolare del 15.5.1997 n. 137 del Ministero delle Finanze, secondo cui la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, resa dal contribuente ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15, agli effetti della riduzione della metà dell’ICI, in ordine allo stato di inagibilità o inabitabilità del fabbricato, avrebbe una portata esaustiva sostituendo anche la perizia dell’ufficio tecnico comunale, fermo restando, ovviamente, il potere del Comune di attivarsi per verificare se la dichiarazione è mendace.
Per mera completezza espositiva, va peraltro evidenziato che, anche a voler prestare adesione alla risposta fornita dal Ministero delle Finanze, il contribuente avrebbe omesso, in violazione del principio di autosufficienza, di trascrivere la richiesta di applicazione della riduzione al 50%, onde porre questo Collegio nelle condizioni di verificare se effettivamente presentasse i connotati della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15.
Con il quinto motivo il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 111, secondo e sesto comma, Cost., 112, 115 e 345 c.p.c., 23 e 32 d.lgs. n. 546/1992 e 8, comma 1, d.lgs. n. 504/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che non sono irrogate sanzioni, né richiesti interessi di mora, nel caso in cui l’errore del contribuente sia stato causato dall’essersi conformato ad indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria e dalla stessa successivamente modificate.
4. Il motivo è inammissibile.
Anche a voler tacer del fatto che non è dato comprendere quale sia la specifica doglianza mossa alla sentenza impugnata, va ricordato che, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, è sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la
dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 2139 del 30/01/2020).
Non è revocabile in dubbio che non integra tale prova la sola circostanza che l’ordinanza della Cassazione n. 28097 del 9/12/2020 (con la quale la S.C. ha confermato la sentenza della CTR Campania che, riformando la pronuncia di primo grado favorevole al contribuente, ha ritenuto legittimo l’accertamento catastale compiuto dal Comune con riferimento all’immobile de quo ) sia intervenuta dopo l’instaurazione del presente giudizio, avvenuta con ricorso notificato il 3.2.2020.
5. Con il sesto motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 111, sesto comma, Cost. e 88, 91, 92 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che il non corretto comportamento processuale del Comune di Napoli (a partire dalla mancata attivazione del procedimento di ‘Reclamo -Mediazione all’Ente Impositore ex art. 17 bis d.lgs. 31.12.1992 n. 546 e fino alla produzione di atti e documenti oltre i termini) avrebbe giustificato il suo diritto al ristoro delle spese del giudizio di primo e secondo grado.
5.1. Il motivo è infondato.
Premesso che, come si è visto nell’analizzare il primo motivo, la censura concernente la tardiva produzione dei documenti è infondata, in base al principio di causalità la parte soccombente va individuata in quella che, azionando una pretesa accertata come infondata o resistendo ad una pretesa fondata, abbia dato causa al processo o alla sua protrazione e che debba qualificarsi tale in relazione all’esito finale della controversia. In particolare, l’individuazione del soccombente si compie in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese anticipate nel processo è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo stesso, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con
argomenti non rispondenti al diritto, abbia dato causa al processo o al suo protrarsi (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 25141 del 27/11/2006).
Facendo corretta applicazione del principio enunciato, la CTR ha posto a carico del contribuente le spese relative ai gradi di merito, vieppiù se si considera che non si è in presenza di una soccombenza reciproca.
Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso non merita accoglimento.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 2.000,00 per compensi ed € 200,00 per spese, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Iva e Cap);
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 13.11.2024.