Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23005 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23005 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/08/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 20470/2024 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME e NOME COGNOME come da procura speciale allegata al ricorso per cassazione (PEC: EMAIL; EMAIL
-ricorrente –
Contro
Agenzia delle Entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania n. 1295/18/2024, depositata il 19.02.2024. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CGT-1 di Napoli rigettava il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso un avviso di accertamento per imposte dirette
Oggetto:
Tributi
ed IVA, in relazione all’anno d’imposta 2015, a seguito del disconoscimento di costi riguardanti fatture per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, emesse dalla Calpel di Calabrese Claudio, e di recupero dell’IVA detratta con riferimento a fatture per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, emesse dalla RAGIONE_SOCIALE; – con la sentenza indicata in epigrafe, la CGT-2 della Campania rigettava l’appello proposto dalla società, osservando, per quanto qui rileva, che l’Ufficio aveva dimostrato, mediante plurime presunzioni, specificatamente indicate a pagina 5 dell’atto impositivo, la partecipazione attiva della RAGIONE_SOCIALE ad una frode il cui meccanismo aveva permesso alle società coinvolte ed alla famiglia COGNOME (a capo della RAGIONE_SOCIALE prima e della RAGIONE_SOCIALE dopo) di usufruire di merci acquistate in sospensione d’imposta, nonché di creare costi fittizi e fittizi crediti IVA; in particolare, l’apparente fornitrice RAGIONE_SOCIALE è risulta ta inesistente all’indirizzo comunicato all’Amministrazione finanziaria, era priva di beni immobili e di beni strumentali; non aveva stipulato contratti di locazione; non era intestataria di utenze idriche, telefoniche, elettriche e/o gas; era priva di personale dipendente; non aveva mai presentato dichiarazioni e/o bilanci; non aveva istituito le scritture contabili e/o i libri sociali obbligatori; il legale rappresentante, tale COGNOME TeresaCOGNOME era una mera prestanome e, come dalla stessa dichiarato, non era a conoscenza delle dinamiche economiche, commerciali ed amministrative della società; la RAGIONE_SOCIALE era, di fatto, amministrata dai fratelli COGNOME nonché da un loro uomo di fiducia, COGNOME, delegato ad operare sui conti correnti della RAGIONE_SOCIALE e anche procuratore speciale della RAGIONE_SOCIALE, sicché la proprietà della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE era riconducibile ai COGNOME (l’amministratore della RAGIONE_SOCIALE era COGNOME NOME, coniuge di COGNOME NOME);
-pertanto, era possibile individuare una sostanziale unitarietà direzionale nella gestione del soggetto emittente le fatture a fronte di operazioni inesistenti (RAGIONE_SOCIALE) ed il soggetto utilizzatore (RAGIONE_SOCIALE), entrambi riconducibili alla famiglia COGNOME;
-l’Ufficio aveva dimostrato, quindi, non solo l’inesistenza della RAGIONE_SOCIALE, ma anche la consapevolezza di tale inesistenza da parte della società contribuente la quale, in quanto soggetto promotore e attuatore della frode, non poteva ignorarne la natura fittizia della società emittente;
a fronte di tale quadro indiziario, la contribuente non aveva articolato alcuna valida prova contraria;
la RAGIONE_SOCIALE impugnava la sentenza della CGT-2 con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
l ‘Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per non esser si il giudice di appello pronunciato né sul primo motivo di appello, relativo alla violazione del diritto di accesso agli atti, n egato dall’Ufficio, ed alla mancanza di un effettivo contraddittorio endoprocedimentale, né sul secondo motivo di appello, con il quale era stata eccepita l’errata valutazione del primo giudice in ordine al vizio di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, per mancata allegazione della documentazione ivi richiamata, e la illegittima riqualificazione delle operazioni oggetto di contestazione, né, infine, sul quarto motivo di appello, riguardante l a violazione del principio dell’onere della prova ex art. 2697 cod. civ. in relazione alle operazioni, ritenute oggettivamente inesistenti, con la Calpel;
il motivo è inammissibile per difetto di decisività;
-per quanto riguarda l’asserita omessa pronuncia sul primo motivo di appello, riguardante la violazione del diritto di accesso e la mancanza di un effettivo contraddittorio, dal testo del ricorso per cassazione si evince che il contraddittorio si era svolto e che nel corso degli incontri la contribuente aveva proposto osservazioni;
la ricorrente non ha indicato quale concreto pregiudizio avrebbe subito dalla mancata ostensione dei documenti di cui le sarebbe stato negato l’accesso e quali concreti elementi avrebbe potuto fornire a seguito della loro disponibilità, posto che i documenti in questione (‘ estratto conto fornitori e clienti, fatture, documentazione di trasporto, contabili bancarie ‘: così si legge a pag. 8 del ricorso) per costante orientamento di questa Corte non sono idonei a soddisfare l’onere di provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra varie, Cass. n. 9723 del 2024);
-la narrativa della sentenza impugnata, nel dar conto delle considerazioni spese dall’Agenzia con l’appello, espone che , nonostante la notifica dell’invito n. TF3I10100792/2020 fosse avvenuta in data 31.07.2020, la contribuente aveva provveduto ad inoltrare al competente Ufficio delle Dogane l’istanza di accesso agli atti e richiesta di copia della documentazione solo in data 2.10.2020; vi si legge a conferma, in particolare, che ‘ la documentazione sottoposta a sequestro era costituita da documenti contabili (fatture, partitari e/o contabili bancarie) ‘ e che tale ‘ utilizzo non era stato messo in dubbio dall’Ufficio’ ;
dalla motivazione della sentenza di primo grado, riportata nel testo del ricorso per cassazione, si evince poi che l’avviso di accertamento non si fondava sulla documentazione posta in sequestro, con riferimento alla quale la contribuente lamentava il diniego di accesso
agli atti; dal contenuto della sentenza di primo grado, come riportato nel ricorso per cassazione, emerge altresì ulteriore conferma che la documentazione in sequestro era costituita da ‘ da estratti conti fornitori e clienti, fatture, documentazione di trasporto, contabili bancarie (v. atto di sequestro prodotto in atti)’ e che la documentazione bancaria ‘poteva agevolmente essere recuperata dall’istante tramite la richiesta dei relativi atti all’istituto di credito’; – si tratta di considerazioni nemmeno affrontate nel primo motivo di ricorso;
-d’altronde, in diritto, come sottolineato da questa Corte (Cass. n. 20436 del 2021 e, da ultimo, n. 19517 del 2025), in tema di diritto di accesso la CGUE ha appunto posto in risalto che una eventuale violazione non è idonea, di per sé sola, a determinare l’ineludibile annullamento della decisione adottata poiché « il principio di effettività … non esige che una decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi » potendo ciò derivare « soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso » (sentenza 04.06.2020, RAGIONE_SOCIALE, in causa C-430/19, §§ 35 e 37); – inoltre, non può fondare una più circoscritta nozione di effettività, la decisione della CGUE 16/10/2019, RAGIONE_SOCIALE, in C-189/18, citata in ricorso, che si basa su presupposti in fatto e diritto affatto diversi da quelli qui in rilievo. Come rilevato da questa Corte (Cass., n. 20436 del 2021, cit.): « L’affermazione della Corte, difatti, si inseriva in un contesto in cui lo stesso diritto di difesa era negato dalla disciplina nazionale in discussione, intesa a tutelare, ma con una latitudine estrema, le esigenze di certezza del diritto. La normativa ivi in giudizio (e la relativa prassi amministrativa), infatti, da un lato, vincolava l’Amministrazione finanziaria alle constatazioni di fatto e alle qualificazioni giuridiche già effettuate nell’ambito di
procedimenti amministrativi connessi avviati nei confronti dei fornitori del soggetto passivo; dall’altro, esonerava la stessa dal far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova a suo carico, inclusi quelli tratti dai procedimenti connessi a causa del carattere definitivo delle decisioni così adottate; escludeva, infine, la possibilità per il giudice di riesaminare e mettere in discussione le prove e gli accertamenti già eseguiti. Da ciò, dunque, la necessità per la Corte di Giustizia di stabilire con nettezza, senza accennare al temperamento della prova di resistenza (in realtà neppure pertinente alla problematica in esame), che l’Amministrazione finanziaria non può essere esonerata dall’obbligo di far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova, compresi quelli provenienti dai procedimenti connessi avviati nei confronti dei suoi fornitori, nonché che il soggetto passivo non può essere privato del diritto di rimettere in discussione utilmente le constatazioni di fatto e le qualificazioni giuridiche compiute dall’Amministrazione nell’ambito dei procedimenti collegati »;
il motivo è inammissibile anche con riferimento agli altri aspetti, riguardanti l’asserita omessa pronuncia ;
-per quanto riguarda il lamentato difetto di motivazione dell’atto impugnato, occorre rilevare che, con riferimento alla disciplina introdotta dal c.d. Statuto dei diritti del contribuente, ratione temporis applicabile, si è statuito che, in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (art. 7, l. n. 212 del 2000) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione finanziaria, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, legge 7 agosto 1990, n. 241, nel senso che il contribuente ha diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si
faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto;
pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass. 16.12.2020, n. 28756; Cass. 15.05.2018, n. 11866);
– la ricorrente non ha spiegato, in concreto, le ragioni specifiche per le quali avrebbero dovuto essere allegati ulteriori atti o documenti (in particolare, la segnalazione da cui , a dire della stessa contribuente, ‘ è scaturito l’avviso di accertamento impugnato e su cui l’Ufficio fonda le proprie contestazioni ‘: così si legge a pag. 10 del ricorso), indicando in quale modo tale eventuale omissione avrebbe leso il suo diritto di difesa, limitandosi ad esporre generiche doglianze in relazione ad atti non conosciuti; d’altronde, a pag. 13 del ricorso la contribuente riferisce del ‘ rinvio integrale da parte dell’Ufficio alle risultanze del PVC’ , il quale, come emerge dalla sentenza di primo grado, il testo della quale è trascritto in ricorso, era allegato all’avviso, circostanza, questa, non specificamente contestata (a pag. 10 del ricorso si fa reiteratamente leva espressamente, difatti, sull ‘omessa allegazione della ‘segnalazione della D.P. II’) ;
– giova, inoltre, rilevare che la sentenza della CTR n. 5043/14/2019 relativa alla società RAGIONE_SOCIALE ridenominata poi RAGIONE_SOCIALE su cui la contribuente punta in ricorso (v. pag. 10), è stata cassata da questa Corte giustappunto in relazione al profilo
concernente la dedotta violazione dell’art. 7 l. 212/00 per l’omessa allegazione all’avviso della segnalazione dell’Ufficio Antifrode (v. Cass. 13/02/2025, n. 3706);
-in realtà, col motivo si sovrappone al piano dell’allegazione quello della prova, dovendosi, invece, distinguere il piano della motivazione dell’avviso di accertamento da quello della prova della pretesa impositiva e, corrispondentemente, l’atto a cui l’avviso si riferisce dal documento che costituisce mezzo di prova (Cass. 25/03/2024, n. 8016);
-inammissibile è altresì profilo concernente l’affermata omessa pronuncia in ordine alla pretesa illegittima riqualificazione delle operazioni contestate (da oggettivamente inesistenti a soggettivamente inesistenti) relative a RAGIONE_SOCIALE che si traduce nella sostanza in una diversa lettura delle risultanze processuali, al cospetto delle argomentate considerazioni della CGT-2, riportate per sintesi in narrativa, concernenti la morfologia delle operazioni in questione, nonché ‘ la consapevolezza di tale inesistenza da parte della società appellante la quale, in quanto soggetto promotore e attuatore della frode in cui la RAGIONE_SOCIALE era coinvolta, non poteva ignorarne la natura fittizia ‘ ;
-il motivo è comunque infondato, posto che compete all’Agenzia valutare, e quindi, anche disattendere in tutto o in parte i risultati delle attività svolte dalla Guardia di finanza, secondo quanto si evince rispettivamente dall’art. 33, comma 3, del d.P.R. n. 600/73, nonché dall’art. 63, comma 1, del d.P.R. n. 633/72, relativi all’attività di cooperazione svolta dalla Guardia di finanza per l’acquisizione e il reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento;
con riguardo al l’omessa pronuncia sul quarto motivo di appello, riguardante la violazione del principio dell’onere della prova ex art. 2697 cod. civ. in relazione alle operazioni, ritenute oggettivamente
inesistenti, con la COGNOME, il motivo è inammissibile per difetto di specificità, non avendo la ricorrente riportato nei suoi esatti termini, nel testo del ricorso per cassazione, né il motivo di appello di cui lamenta l’omessa pronuncia, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi;
– con il secondo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per omessa motivazione o motivazione apparente in ordine alla prova presuntiva dell’inesistenza della RAGIONE_SOCIALE Trade, da cui deriverebbe l’inesistenza delle operazioni contestate, e della consapevolezza di tale inesistenza da parte della contribuente, avendo la CGT2 omesso di valutare ‘analiticamente le argomentazioni fornite dalla ricorrente’ e non giustificato ‘la legittimità delle presunzioni dell’Ufficio’; con lo stesso motivo denuncia, inoltre, la violazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CGT -2 rilevato la presunta inesistenza della RAGIONE_SOCIALE, senza analizzare il requisito della consapevolezza da parte della Campania COGNOME e gli elementi illustrati da quest’ultima in ordine alla non conoscibilità della presunta frode e all’assenza di connivenza tra società cedente e cessionaria; rileva che l’Ufficio non ha mai provato la conoscibilità della presunta frode, come si evince dal contenuto del PVC e, in particolare, dalle dichiarazioni di tale COGNOME COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE; ribadisce che tutta la documentazione inerente a tali operazioni (tra cui estratto conto fornitori e clienti, fatture, documentazione di trasporto, contabili e bancarie) era stata sottoposta a sequestro e non le era stato consentito di accedere a detti atti, in violazione del suo diritto di difesa;
– il motivo è inammissibile non solo per la mancanza di decisività, per le stesse ragioni già indicate con riguardo al primo motivo, ma anche per la sua formulazione come motivo composito, volto simultaneamente a denunciare una violazione di legge e vizio di motivazione, avuto riguardo al principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, commi 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione, o di omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione (Cass. n. 15651 del 2017; n. 26874 del 2018; n. 27344 del 2020);
-il motivo è anche inammissibile perché comunque mira alla rivalutazione dei fatti prospettando un nuovo apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
in ogni caso si tratta di censura palesemente infondata, nella parte in cui prospetta la mancanza di motivazione, posto che la sentenza impugnata è graficamente esistente, rende percepibile il fondamento della decisione, reca argomentazioni obbiettivamente idonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. U. n. 22232 del 2016), per cui eventuali profili di insufficienza della motivazione, anche se sussistenti, non la viziano in modo così radicale da renderla
meramente apparente, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014);
in conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro 18.000,00, oltre alle spese prenotate a debito;
dà atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 29 aprile 2025