Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22296 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22296 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3268/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO LAZIO n. 6917/2023 depositata il 03/12/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Con pvc in data 04.12.2018 veniva conclusa una verifica nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, operante nel commercio degli elettrodomestici ed elettronica di consumo, per l’anno 2017. Segnatamente la Guardia di Finanza constatava che la società aveva fatto uso di fatture per operazioni inesistenti emesse dalle società la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, operanti quali missing trader nell’ambito di una frode Iva con fornitori intracomunitari. Tali rapporti si inserivano in una più ampia frode carosello, che vedeva a sua volta la società contribuente coinvolta nel ruolo di ‘ buffer’ . Infatti, i verbalizzanti hanno messo in luce che le merci fittiziamente acquistate dalla contribuente presso le due società predette erano poi cedute alla RAGIONE_SOCIALE L’Ufficio ha qualificato come oggettivamente inesistenti le fatture utilizzate dalla contribuente nel 2017, emettendo, tra l’altro, l’avviso di accertamento n. TK7030201845/2019, con cui ha recuperato l’Iva portata in detrazione in base alla fatture ritenute per operazioni inesistenti, oggetto del presente giudizio nonché l’atto di contestazione n. TK7CO0200031 2021, con cui ha irrogato alla contribuente la sanzione di cui all’art. 8 comma 2 del DL 16/2012 in relazione ai componenti positivi di reddito non recuperati a tassazione perché afferenti a beni non effettivamente scambiati. Il successivo appello della contribuente è stato accolto dalla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio. L’Agenzia si affida a due motivi di ricorso per cassazione. Resiste la contribuente con controricorso.
Ragioni della decisione
Co il primo motivo si contesta la violazione degli artt. 19 e art. 54, comma 2 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e art. 39 comma 1 d.P.R. 600/73 e dell’art. 2697 c.c., in materia di operazioni inesistenti, in relazione all’art 360, 1 comma, n. 3 c.p.c..
Con il secondo motivo si lamenta la nullità per difetto di motivazione in violazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 132 cpc del d.P.R. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 del c.p.c.., quanto alla antieconomicità.
Il primo motivo è fondato e va accolto con assorbimento del secondo motivo.
Il giudice di secondo grado ha così motivato l’accoglimento dell’appello della contribuente: ‘ In primo luogo ritiene ammissibile il deposito, in questo grado di appello, della perizia asseverata, poiché la stessa non costituisce prova nuova (inammissibile ex art. 58 del D.Lgs. 546/92), ma costituisce un ulteriore elemento di difesa prodotto a sostegno delle ragioni dell’appello. Ciò posto, in merito al buon governo dell’onere della prova, in considerazione delle doglianze di parte contribuente sul punto, l’Accertamento deve ritenersi legittimo poiché, diversamente da come lamenta la parte, l’Ufficio accertatore ha offerto prove presuntive precise e concordanti a sostegno del proprio operato; tuttavia i primi giudici hanno effettivamente omesso di valutare la bontà delle prove contrarie offerte dal contribuente, al fine di stabilire se queste fossero idonee a vincere la presunzione su cui poggia l’attività accertatrice. Orbene, la Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 3144 del 2 febbraio 2022, riguardante l’onere probatorio incombente sull’Agenzia delle Entrate in caso di emissione di fatture soggettivamente inesistenti, come nella specie, ha affermato che ‘affinché l’Amministrazione finanziaria possa legittimamente contestare la compartecipazione della società cessionaria ad una frode iva, fondata sull’utilizzo di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, questa ha l’obbligo di
dimostrare, per un verso, l’inesistenza del fornitore, e, per altro verso, la compartecipazione, consapevole o colposa, della società acquirente all’evasione d’imposta’. Su queste premesse, si ritengono fondate le censure di carenza di motivazione dell’impugnata sentenza in ordine alla valutazione dell’adeguatezza delle prove presuntive utilizzate dall’Ufficio per dimostrare la fittizietà delle operazioni commerciali, nonché in ordine alla valutazione delle ragioni espresse dal ricorrente circa l’esimente di responsabilità riconducibile alla sua buona fede ed alla sua non conoscenza dei comportamenti frodatori posti in essere dalla parte venditrice. Si osserva, infatti, con riferimento alle prove presuntive circa la fittizietà delle operazioni commerciali in questione che, diversamente da come ritenuto dai primi giudici invero appiattiti sulle deduzioni dell’Ufficio, tali operazioni devono intendersi effettive e reali poiché ciò risulta dai documenti di trasporto delle merci con indicazione delle targhe dei mezzi utilizzati, peraltro vagliati dalla GF; risulta inoltre dal pagamento di tali merci che avveniva mediante bonifici (allegati alla perizia in atti), peraltro, non contestati dalla stessa GF, e neppure dall’Ufficio che, per esempio, non ha dato prova di ‘bonifici di ritorno’ uguali e contrari; i prezzi applicati erano congrui e comunque con percentuale di guadagno, come risulta dalla perizia prodotta ove si effettua una dettagliata comparazione dei prezzi stessi, pur dovendosi tenere conto della attuale forte variabilità dei prezzi in generale di tutte le merci, dovuta alla concorrenza anche on line, in specie nel settore commerciale che ci occupa; il fatto poi che la società non fosse stata rinvenuta presso la sede legale dichiarata -trattandosi dello studio del Commercialista -non rileva, poiché la stessa si trovava, invero, presso la sede operativa di INDIRIZZO dove, del resto i verificatori potevano esaminare la documentazione messa a disposizione; così come non rileva che non vi fossero magazzini, poiché per il deposito delle merci, come rilevato dalla stessa GF, la
società acquirente si serviva di un deposito merci, presso la RAGIONE_SOCIALE. Da tali osservazioni deriva l’inadeguatezza delle prove presuntive offerte dall’Ufficio al riguardo della fittizietà delle operazioni. Comunque, in ogni caso, si rileva sussistente, nella specie, l’esimente della buona fede da parte dell’acquirente che, ragionevolmente, usando l’ordinaria diligenza dell’imprenditore, poteva non sapere della possibile frode fiscale posta in essere dalle Ditte fornitrici, né che queste potessero essere evasori totali, stante anche il tenore delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio (allegate alla perizia in atti) in merito agli adempimenti fiscali che avrebbero provveduto ad eseguire. Conclusivamente si ritiene che gli elementi indiziari posti a fondamento dell’operato accertativo, seppure certamente degni di attenzione soprattutto nell’anno in oggetto per le dimensioni del fenomeno, non assumono tuttavia significatività dirimente in merito ad univoche intenzioni elusive da parte dell’acquirente, in assenza di altri concorrenti seri indizi secondo cui la scelta commerciale, da parte dell’acquirente, fosse deliberatamente fraudolenta. ‘
Osserva questa Corte che, tenuto conto del contenuto complessivo del motivo di ricorso in esame, nello stesso è stata chiaramente precipuamente prospettata la violazione del principio del riparto dell’onere di prova nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, avendo, peraltro, escluso il giudice del gravame che gli elementi indiziari proposti dalla ricorrente potessero avere rilevanza ai fini dell’assolvimento dell’onere di prova sulla stessa gravante.
La giurisprudenza di legittimità ha condivisibilmente affermato che quando le riprese attengono ad operazioni oggettivamente inesistenti, come nel caso di specie, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione
dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 17619 del 2018; Cass. n. 26453 del 2018).
In tema di IVA, l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 9723 del 2024; Cass. n. 28628 del 2021).
La questione attiene al corretto riparto dell’onere della prova qualora sia stata contestata dall’amministrazione finanziaria l’inesistenza oggettiva delle operazioni di cui alle fatture passive nonché alla individuazione degli elementi indiziari sui quali la pretesa può essere correttamente basata. Sotto tale profilo, va precisato, in primo luogo, che, poiché la fattura, di regola, costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’Iva e alla deducibilità dei costi, spetta all’Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto. La dimostrazione può ben consistere in presunzioni semplici, poichè la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova
completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. civ., 5 luglio 2018, n. 17619).
Con specifico riferimento all’ipotesi, di cui alla presente controversia, in cui l’amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, questa Corte ha espresso il consolidato orientamento secondo cui la stessa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. Più in particolare, la dimostrazione a carico dell’amministrazione finanziaria è raggiunta qualora siano forniti validi elementi che, alla stregua dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, e dell’art. art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati ovvero la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione. Infatti, nell’ordinamento tributario, gli elementi indiziari, ove rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, danno luogo a presunzioni semplici le quali, proprio a mente degli univoci precetti dettati dalle sopra indicate previsioni normative, sono idonee, di per sè sole considerate, a fondare il convincimento del giudice. Assolto in tal guisa l’onere della prova incombente
sull’amministrazione finanziaria, grava poi sul contribuente la dimostrazione dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ.. Al fine di individuare, poi, quali elementi presuntivi possono essere forniti dall’amministrazione finanziaria per assolvere al proprio onere di prova in caso di operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, gli stessi devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l’operazione non sia mai stata posta in essere e, sotto tale profilo, costituisce valido elemento indiziario la circostanza che il soggetto che ha emesso la fattura era privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che è ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi essenziali per potere operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata realizzazione dell’operazione indicata in fattura (vd., con riferimento alle operazioni soggettivamente inesistenti ed in materia di prova della natura di società cartiera: Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851, punto 6.8).
A ciò va, altresì, aggiunto che, con riferimento alla prova della consapevolezza di partecipare ad una frode, questa Corte ha più volte precisato che, in tema d’Iva, l’amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi
elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (Cass. civ., 10 novembre 2020, n. 25113).
Sulla base di quanto ora esposto, la Corte regionale è incorsa in un evidente vizio di sussunzione. Invero, non correttamente il giudice del gravame ha del tutto obliterato la considerazione degli elementi presuntivi dedotti dall’Ufficio. Il giudice del gravame ha svalutato acriticamente il valore pregnante ed inferenziale dell’elemento presuntivo della mancanza di idonea organizzazione, benché detto elemento sia in linea di principio corroborato da valenza indiziaria rilevante in quanto tende a provare, proprio procedendo dalla impossibilità materiale di realizzare le operazioni di cui alle fatture, il fatto non noto dell’inesistenza delle operazioni.
D’altro lato, il giudice del gravame prospetta la necessità dell’onere di prova a carico dell’amministrazione finanziaria della consapevolezza della frode da parte della società contribuente in una fattispecie, quale quella in esame, in cui, secondo l’esposto orientamento di questa Corte, tale profilo soggettivo è in re ipsa in caso di operazioni oggettivamente inesistenti. L’affermazione, quindi, che gli elementi di prova presuntiva prodotti dall’amministrazione finanziaria non erano idonei (ed in questo ambito vanno considerati, poi, la pluralità di elementi di prova presuntiva prodotta, valutati nel loro complesso, secondo quanto riportato dalla ricorrente) non solo non è corretta, in quanto non aderente rispetto alla fattispecie in esame e in considerazione di quanto deve ritenersi che possa porsi a carico dell’amministrazione finanziaria al fine dell’assolvimento del suddetto onere, ma è espressa dal giudice del gravame alterando le regole di ripartizione
gravanti sulle parti quando è contestata l’inesistenza oggettiva delle operazioni di cui alle fatture.
La concretizzazione dei parametri della precisione, gravità e concordanza costituisce oggetto di un giudizio di fatto che è affidato al giudice di merito, il quale deve, tuttavia, fornire una motivazione adeguata del proprio ragionamento decisorio di tipo presuntivo. Nella giurisprudenza di legittimità è, infatti, acquisito il principio secondo cui i requisiti della gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi devono essere ricavati dal complesso degli indizi da valutarsi non atomisticamente ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, potrebbe rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento. In applicazione di questo principio, questa Corte ha ritenuto censurabile la decisione in cui il giudice di merito si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non siano in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (cfr. Cass., 25 ottobre 2019, n. 27419; Cass., 12 aprile 2018, n. 9059; Cass., 16 maggio 2017, n. 12002).
Consta, in buona sostanza, nel quadro della sentenza d’appello, uno svilimento acritico degli elementi presuntivi additati dall’erario. La decisione impugnata, in alcuno dei passaggi motivazionali, mostra di aver correttamente vagliato l’esistenza e la incisività degli elementi presuntivi addotti dall’Agenzia.
Detti elementi, evincibili da ricorso per cassazione – che riporta in parte qua il contenuto dell’atto impositivo – figurano essere plurimi e meritevoli di attenta considerazione in sede d’esame: aumento vertiginoso e improvviso del volume d’affari della LGM; mancanza di personale; mancanza di magazzini; irreperibilità della LGM
presso la sede legale dichiarata; mancanza di una sede operativa/amministrativa; presenza tra i fornitori di diverse ‘cartiere’; omessa presentazione di dichiarazione da parte delle società cartiere risultate essere i maggiori fornitori della RAGIONE_SOCIALE e/o omesso versamento delle imposte; irreperibilità delle cartiere presso la sede legale dichiarata; mancanza di personale e di mezzi delle cartiere; mancanza di una sede operativa/amministrativa delle cartiere; antieconomicità delle vendite effettuate dalle cartiere alla LGM, praticate a prezzi inferiori a quelli di mercato; applicazione da parte di LG di un ‘ ricarico basso ‘ sulle vendite; identità dell’oggetto sociale di RAGIONE_SOCIALE e delle cartiere, tale da non giustificare il ricorso all’intermediazione di queste ultime; impiego del medesimo consulente fiscale.
Non solo gli elementi ora passati in rassegna sono stati sorvolati, la CTR ha anche trascurato interamente di esaminare gli elementi in parola nel loro insieme, l’uno per mezzo degli altri, dal momento che ognuno di essi, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, può rafforzare l’altro elemento o da esso trarre vigore, in un rapporto di vicendevole completamento. Va, al riguardo, ricordato il principio secondo il quale « In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così
isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi » (Cass. n. 9054 del 2022; v. anche Cass. n. 14151 del 2022, sul giudizio inferenziale).
All’accoglimento del primo motivo, assorbito del secondo, consegue la cassazione della sentenza d’appello e il rinvio della causa, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso. Dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso. Rinvia la causa, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio.
Così deciso in Roma, il 11/06/2025.