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Onere della prova frode IVA: la diligenza richiesta

La Cassazione chiarisce l’onere della prova frode IVA. Non basta la buona fede per detrarre l’IVA su fatture sospette; l’imprenditore deve dimostrare di aver usato la massima diligenza per verificare i fornitori. Se l’Amministrazione Finanziaria fornisce indizi di frode, spetta al contribuente provare di non aver agito con negligenza.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova nella Frode IVA: Quando la Semplice Buona Fede non Basta

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce i principi fondamentali in materia di onere della prova frode IVA, sottolineando che la semplice assenza di dolo non è sufficiente per garantire a un’azienda il diritto alla detrazione dell’imposta. L’imprenditore ha un dovere di diligenza attiva nel verificare i propri fornitori, un principio cruciale per chiunque operi nel commercio. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata e le implicazioni pratiche per le imprese.

I Fatti di Causa: Un Accertamento per Fatture Sospette

Una società operante nel settore del commercio all’ingrosso di computer e software si è vista recapitare un avviso di accertamento dall’Amministrazione Finanziaria. L’oggetto della contestazione era l’indebita detrazione dell’IVA relativa all’anno d’imposta 2008, su fatture considerate soggettivamente inesistenti. In sostanza, l’Agenzia sosteneva che i fornitori indicati nei documenti non erano le reali controparti commerciali e che l’operazione faceva parte di un meccanismo fraudolento.

Sia in primo che in secondo grado, i giudici tributari avevano dato ragione alla società. La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, aveva rigettato l’appello dell’Ufficio, ritenendo che non ci fossero prove sufficienti a dimostrare la consapevolezza dell’azienda di partecipare a una frode fiscale. A sostegno di questa tesi, i giudici di merito avevano valorizzato l’assoluzione del legale rappresentante in sede penale e avevano considerato giustificate le scelte commerciali della società, come l’uso di intermediari e specifiche modalità di pagamento.

La Questione dell’Onere della Prova nella Frode IVA davanti alla Cassazione

L’Amministrazione Finanziaria ha impugnato la sentenza, portando il caso davanti alla Corte di Cassazione. I motivi del ricorso si sono concentrati su due punti chiave:
1. Violazione delle norme sulla detrazione IVA: L’Ufficio ha sostenuto che, per negare la detrazione, non è necessaria la prova della partecipazione dolosa alla frode, ma è sufficiente dimostrare la negligenza professionale dell’imprenditore nella scelta delle controparti.
2. Errata ripartizione dell’onere probatorio: Secondo la ricorrente, la Commissione Tributaria Regionale aveva erroneamente affermato che l’Ufficio non avesse provato la pretesa, senza considerare che, una volta forniti sufficienti indizi di frode, l’onere di dimostrare la propria buona fede e diligenza si sposta sul contribuente.

La Corte di Cassazione ha accolto entrambi i motivi, ritenendoli fondati e strettamente connessi, e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.

Le Motivazioni della Decisione: Oltre la Partecipazione Dolosa

La Suprema Corte ha colto l’occasione per riaffermare alcuni principi consolidati in materia. In primo luogo, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione IVA viene meno. Questo perché l’imposta è stata versata a un soggetto non legittimato alla rivalsa, ovvero una “società cartiera” che non è la vera controparte dell’operazione.

Il punto centrale della decisione riguarda la ripartizione dell’onere della prova frode IVA. Spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, anche tramite presunzioni, due elementi:
– Che il fornitore indicato in fattura non era il cedente reale.
– Che il cessionario (l’acquirente) sapeva, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

Una volta che l’Ufficio fornisce elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (come l’assenza di una struttura operativa dei fornitori, l’omissione sistematica dei versamenti IVA, o modalità di pagamento anomale), la palla passa al contribuente. A quest’ultimo spetta la “prova contraria”: dimostrare di aver agito in buona fede e, soprattutto, di aver adottato tutte le cautele esigibili da un operatore accorto per non essere coinvolto in una frode.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero commesso un errore, valorizzando elementi irrilevanti (come la mancata prova della partecipazione “volontaria” alla frode) e ignorando gli importanti indizi forniti dall’Amministrazione. Tra questi, il fatto che le società fornitrici fossero mere “cartiere” e che i pagamenti venissero di fatto indirizzati al reale fornitore della merce.

Le Conclusioni: Diligenza e Responsabilità dell’Imprenditore

Questa ordinanza invia un messaggio chiaro a tutte le imprese: la lotta alle frodi IVA richiede un ruolo attivo da parte degli operatori economici. Non è sufficiente limitarsi a registrare le fatture e a effettuare i pagamenti in modo formalmente corretto. È necessario esercitare una “massima diligenza esigibile” nella selezione e nel monitoraggio dei propri partner commerciali.

L’imprenditore accorto deve attivarsi per acquisire informazioni sull’effettiva esistenza e operatività del fornitore. La presenza di “indici di anomalia” (prezzi troppo bassi, modalità di pagamento inusuali, strutture aziendali inconsistenti) deve far scattare un campanello d’allarme e imporre verifiche supplementari. In definitiva, la negligenza è equiparata alla consapevolezza, con la conseguenza di perdere il diritto alla detrazione dell’IVA e di subire pesanti sanzioni. Un principio che impone un approccio proattivo e responsabile nella gestione dei rapporti commerciali.

Chi deve provare la frode IVA e la consapevolezza del cessionario?
Incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche sulla base di presunzioni, che l’operazione si inserisce in un’evasione d’imposta e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere di tale circostanza usando l’ordinaria diligenza. Una volta fornita questa prova, spetta al contribuente dimostrare di aver agito in buona fede e con la massima diligenza.

È sufficiente che un imprenditore non partecipi volontariamente a una frode per poter detrarre l’IVA?
No. Secondo la Corte di Cassazione, per riconoscere il diritto alla detrazione non è sufficiente escludere la partecipazione dolosa del cessionario alla frode, ma è necessario anche escludere la sua negligenza professionale nello scegliere le controparti. È richiesta la massima diligenza esigibile da un operatore accorto.

Quali elementi possono indicare che un’operazione è parte di una frode IVA?
Gli elementi sintomatici possono includere: l’assenza di una minima dotazione personale e strumentale del fornitore (società “cartiera”), la sistematica omissione delle dichiarazioni e dei versamenti IVA da parte dei fornitori, la conclamata inidoneità del fornitore a svolgere l’attività economica e modalità di pagamento anomale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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