Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21169 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21169 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 27484/2017 R.G. proposto da
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE Moving On New Information Technology
-intimata – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, n. 644/03/2017, depositata il 13.04.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Novara accoglieva il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE (in breve Moonit), esercente l’attività di commercio all’ingrosso di computer e software, avverso l’avviso di accertamento relativo ad Iva per l’anno di imposta 20 08, riguardante fatture per operazioni soggettivamente inesistenti;
Oggetto:
Tributi
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte rigettava l’appello proposto dal l’Agenzia delle Entrate, osservando, per quanto qui rileva che:
sebbene nel caso in esame sussistessero alcuni elementi presuntivi sfavorevoli alla società RAGIONE_SOCIALE, non vi erano prove sufficienti per sostenere che vi fosse stata la consapevolezza di partecipare ad un meccanismo di frode fiscale;
-a fronte degli elementi indiziari indicati dall’Ufficio, si doveva considerare la sentenza del Tribunale di Novara, che aveva assolto il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, dai reati contestati, anche per l’anno 2008, rilevando che l’unico dato certo era il fatto che tutte le società distributrici non avevano versato l’IVA dovuta per le cessioni operate ed erano evasori totali, ma ciò non era sufficiente per desumere che il COGNOME fosse consapevole di partecipare alla frode;
-l’utilizzo di subdistributori, che secondo la G.d.F. non era sorretto da valide ragioni, era invece giustificato dal fatto che consentiva alla società di ridurre i tempi di consegna del prodotto ai propri clienti; tale vantaggio, cui era correlata la possibilità di conseguire maggiori ricavi, giustificava il costo derivante dal pagamento dell’intermediario;
le modalità di pagamento adottate dal legale rappresentante della società contribuente risultavano effettive e apparivano giustificate in quanto il fornitore principale Ingram veniva pagato con assegni circolari per le merci immesse nella catena distributiva e per i servizi di logistica, mentre le subfornitrici venivano pagate con bonifico anticipato per l’attività di intermediazione, trattative e gestione scorte;
non vi era ragione per discostarsi dalle valutazioni operate in sede penale, fondate su dati di mercato ricavati da fonti ragionevolmente attendibili in base alle quali erano stati analizzati i prezzi pagati dalla Moonit, ritenuti conformi a quelli mediamente praticati sul mercato;
gli intermediari con cui si relazionava la RAGIONE_SOCIALE erano solo tre ed erano stati suggeriti dalla Ingram (che era la società italiana del gruppo americano che, a sua volta, era un operatore globale quotato in borsa), per cui non potevano apparire come evasori di imposta; inoltre, le periodiche visure camerali ne confermavano l’operatività;
-la RAGIONE_SOCIALE non versava l’I VA dal 2006 per cui difficilmente la RAGIONE_SOCIALE poteva esserne a conoscenza già due anni dopo;
quanto al fornitore RAGIONE_SOCIALE, la società RAGIONE_SOCIALE non poteva essere consapevole della sua inesistenza, in quanto il report proveniente dalla banca dati Cerved, che attribuiva una classe di rischio elevato, tale da sconsigliare di trattenere rapporti commerciali con la stessa, era rilevante per i suoi creditori, ma non anche per la RAGIONE_SOCIALE che si riforniva dalla RAGIONE_SOCIALE;
-L’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
la contribuente rimaneva intimata.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 1 d.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR riconosciuto alla società il diritto alla detrazione dell’IVA scontata sugli acquisti effettuati dalle società cartiere, avendo ritenuto che vi fosse ‘ una serie incompleta e non univoca di elementi rilevanti ai fini del raggiungimento della prova della consapevolezza dell’intento frodatorio con il mezzo delle presunzioni ‘, senza
considerare che, per riconoscere il diritto alla detrazione dell’IVA, non era sufficiente escludere la partecipazione dolosa del cessionario alla frode commessa a monte dai suoi fornitori, ma anche la sua negligenza professionale nello scegliere le controparti;
con il secondo motivo (erroneamente indicato dalla ricorrente come terzo motivo) denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 d.P.R. n. 633/1972, 2697 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. , per avere la CTR affermato che l’Ufficio non aveva provato la sussistenza della pretesa e che la contribuente non doveva fornire prove contrarie o comunque che le aveva fornite;
-i predetti motivi, che vanno esaminati unitariamente per connessione, sono fondati;
va ribadito che, nel caso di operazione soggettivamente inesistente l’IVA non è, in linea di principio, detraibile, perché è stata versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa e non assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto la fattura è emessa da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass. 30.10.2013, n. 24426);
poiché il diniego del diritto di detrazione costituisce un’eccezione al principio di neutralità dell’IVA che tale diritto costituisce, incombe sull’Amministrazione finanziaria provare, anche sulla base di presunzioni, che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione (e segnatamente: che il soggetto emittente non era il reale cedente e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta), mentre spetterà al contribuente, una volta raggiunta questa prova, fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci
acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass. 20.04.2018, n. 9851);
per quanto riguarda la consapevolezza del cessionario, invece, occorre rilevare che, se a quest’ultimo non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale, tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione (Cass. 2.12.2015, n. 24490);
-con riferimento al tipo di prova incombente sull’Amministrazione, è stato poi condivisibilmente affermato che può trattarsi sia di prova logica (o indiretta) sia di prova storica (o diretta), consistente anche in indizi integranti una presunzione semplice (Cass. n. 28246 del 2020), potendo essere valorizzati, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione dell’operazione da parte del fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti fra cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente, la conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (Cass. n. 5339 del 2020);
anche di recente è stato ribadito che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito
nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 24471 del 2022);
il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi sia direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso) sia indirettamente, attraverso l’esame delle modalità con le quali si è estrinsecato il rapporto commerciale con l’emittente (Cass. n. 28165 del 2022);
il giudice del gravame non ha seguito i principi sopra indicati, non avendo considerato il valore sintomatico degli elementi indicati dall’Amministrazione finanziaria nell’atto impositivo (e richiamati, in ossequio al principio di autosufficienza, nel testo del ricorso per cassazione), quali, a titolo meramente esemplificativo, le circostanze che le società fornitrici erano prive di strutture e di personale (cartiere), dedite all’omissione sistematica delle dichiarazioni e dei versamenti dell’IVA, che le forniture venivano pagate mediante assegni circolari direttamente al reale fornitore COGNOME che spediva la merce alla contribuente o la merce veniva ritirata direttamente presso il magazzino della COGNOME dalla moglie del legale rappresentante della COGNOME
la CTR ha, invece, valorizzato elementi irrilevanti quali la mancata prova della partecipazione volontaria della contribuente alla frode, alterando le regole di ripartizione dell’onere probatorio gravanti sulle
parti, in quanto si tratta di circostanza priva di rilievo, essendo sufficiente dimostrare la mancata diligenza dell’operatore;
in conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 14 maggio 2025