Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15722 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15722 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21321/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (RCDDNC78M05G273T), COGNOME (RCDRSR75T60G273B)
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della Sicilia n. 102/2019 depositata il 11/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Palermo notificava a COGNOME l’avviso di accertamento n. TY301L805097/2015 con cui rettificava, ai sensi dell’art. 54 DPR 633/1972, la dichiarazione dallo stesso presentata per l’anno d’imposta 2015. In particolare, l’Ufficio disconosceva l’IVA sugli acquisti esposti nelle fatture passive emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE in quanto ritenuti relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti all’esito delle indagini effettuate dalla D.R.E. Sicilia dell’Agenzia delle Entrate e dall’Agenzia delle Dogane -Ufficio di Porto Empedocle nei confronti del fornitore.
Il contribuente impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla CTP di Palermo che con sentenza n. 5654/8/2017 rigettava il ricorso e confermava l’atto impugnato.
Avverso tale sentenza il contribuente proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia che, con sentenza n. 102/12/2019 del 17/12/2018 depositata l’11/01/2019 non notificata, accoglieva l’appello proposto e condannava l’Agenzia al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Avverso tale sentenza l’Agenzia propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
Resiste il contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo di ricorso si adombra la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 19 e 54 DPR n. 633/1972, nonché dell’art. 2697, 2721 e ss. c.c., violazione del diritto eurounitario così come interpretato dalla CGUE, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per aver la CTR ritenuto non sufficienti, ai fini del mancato riconoscimento in detrazione dell’IVA relativa a fatture inerenti operazioni soggettivamente inesistenti, il complesso delle risultanze ottenute tramite l’attività di verifica svolta nei confronti della società emittente RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è fondato e va accolto.
Nella prospettiva del giudice d’appello ‘ la concorde magistratura di merito e di diritto ha sempre posto a carico della Agenzia pretesa creditrice l’onere di fornire al giudicante la prova certa ed ineludibile della compartecipazione alla frode di chi assume il diritto di dedurre costi conseguenti ad operazioni commerciali delle quali fornisce precisa documentazione ‘; inoltre ‘ ogni supposto riferimento all’organizzazione imprenditoriale della società coinvolta nella cosiddetta operazione carosello e tecnica mente intesa ‘missing trader’ (eventuale assenza di dipendenti, IVA non assolta) è assolutamente inidoneo a concretare la certezza della connivenza di colui il quale abbia dedotto dal proprio attivo i costi sostenuti ed inerenti né si può, a converso, sostenere da parte dell’amministrazione finanziaria che il contribuente possa aver potuto commercializzare al dettaglio carni senza acquisizione da terzi della materia prima’ ; ancora, ‘ i verificatori avrebbero dovuto approfondire l’indagine accertativa evitand o di procedere solo ed esclusivamente attraverso indizi e supposizioni ‘; altresì, ‘ l’atto defensionale dell’Agenzia contiene vasta esposizione di quella giurisprudenza che il Collegio peraltro ben conosce, senza riuscire a conseguire il necessario, anzi indispensabile, collegamento
tra il contribuente e la società fornitrice che si sia sostanziato in accordo fraudolento teso, per quanto ne occupi, all’evasione fiscale ‘. Questa Corte, alla luce della giurisprudenza comunitaria, ha statuito il seguente condiviso principio di diritto: ” In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 9851 del 2018; Cass. n. 15369 del 2020).
Nella specie la CTR si è limitata ad insistere sul profilo dell’estraneità al perimetro dell’accordo fraudolento della contribuente, ma non si è in alcuno modo soffermata sulla effettività-esistenza soggettiva delle operazioni intercorse tra essa e i propri fornitori. In particolare, il giudice a quo ha incentrato la motivazione sull’esigenza, invero eccentrica rispetto alla giurisprudenza sedimentata, della prova di un accordo fraudolento che registri la compartecipazione della contribuente verificata. Viceversa, il giudice di merito era e rimane
tenuto a investigare sull’esistenza soggettiva delle operazioni e sulla consapevolezza in capo alla contribuente, quale operatore professionale e qualificato, della sussistenza del meccanismo fraudolento, al netto del proprio specifico e diretto coinvolgimento.
Gli assunti riportati in sentenza appaiono divaricati rispetto ai principi espressi dalla giurisprudenza unionale e da quella interna nomofilattica. Invero, è stato chiarito che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione IVA, senza che sia necessaria la prova della partecipazione all’evasione (v. Corte Giust. COGNOME, C-285/11; Corte Giust, Ppuh, C277/14). Detta prova può, peraltro, ritenersi raggiunta -diversamente da quanto opinato dal giudice d’appello anche qualora l’Amministrazione fornisca attendibili indizi, idonei ad integrare una presunzione semplice (v. Cass. n. 14237 del 2017; Cass. n. 20059 del 2014; 8 Cass. n. 10414 del 2011; Corte Giust. Kittel, C-439/04; Corte Giust. COGNOME e David, C-80/11 e C142/11). Pertanto, esclusi ogni automatismo probatorio o criterio generale predeterminato, l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario s’incentra proprio nella individuazione, a cura dell’Amministrazione, di elementi obbiettivi e specifici in ordine al fatto che la contribuente-cessionaria dei beni o dei diritti conoscesse o avrebbe dovuto conoscere, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, e tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione, che la realtà documentalmente espressa non corrispondeva a quella effettiva (Cass. n. 24490 del 2015). Una volta che l’Amministrazione abbia provato, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva
o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente, passa al contribuente medesimo l’onere di fornire la prova contraria (Cass. n. 23560 del 2012; Cass. n. 25575 del 2014).
Il ricorso va, in ultima analisi, accolto; la sentenza va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla CGT2 della Sicilia in diversa composizione.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia alla Corte di giustizia tributaria regionale della Sicilia, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27/03/2025.