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Onere della prova frode IVA: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15722/2025, ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, cassando una decisione di secondo grado. Il caso riguarda l’onere della prova frode IVA in contesti di operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte ha stabilito che per negare la detrazione IVA non è necessario provare un accordo fraudolento, ma è sufficiente dimostrare, anche tramite presunzioni, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza, di essere parte di un’evasione. Una volta forniti questi elementi, l’onere di provare la propria buona fede passa al contribuente.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova Frode IVA: La Cassazione Chiarisce i Doveri del Fisco

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale per imprese e professionisti: l’onere della prova frode IVA in caso di operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. La decisione stabilisce con precisione cosa debba dimostrare l’Amministrazione Finanziaria per disconoscere il diritto alla detrazione dell’IVA e quando la responsabilità probatoria si sposta sul contribuente. Analizziamo questa pronuncia per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso: Una Contestazione su Fatture Passive

Il caso nasce da un avviso di accertamento notificato a un contribuente, con cui l’Amministrazione Finanziaria rettificava la sua dichiarazione IVA per l’anno d’imposta 2015. L’Ufficio disconosceva la detrazione dell’imposta relativa a fatture passive emesse da una specifica società fornitrice. Secondo il Fisco, tali fatture si riferivano a operazioni soggettivamente inesistenti, ovvero scambi commerciali reali ma avvenuti con un soggetto diverso da quello che aveva emesso il documento fiscale. L’operazione era stata inquadrata nel contesto di una frode di tipo ‘carosello’.

Il contribuente aveva impugnato l’atto, ma il ricorso era stato respinto in primo grado. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva ribaltato la decisione, accogliendo l’appello del contribuente e condannando l’Agenzia al pagamento delle spese. La CTR aveva ritenuto che l’Amministrazione Finanziaria non avesse fornito una ‘prova certa ed ineludibile’ della partecipazione consapevole del contribuente alla frode.

Onere della Prova Frode IVA secondo la Cassazione

L’Amministrazione Finanziaria ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) e sulla detrazione IVA (art. 19 e 54 D.P.R. 633/72). La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza della CTR e delineando in modo netto i principi che governano l’onere della prova frode IVA.

I giudici di legittimità hanno chiarito che l’approccio della CTR era errato. Non è necessario, infatti, che il Fisco dimostri l’esistenza di un vero e proprio ‘accordo fraudolento’ tra il contribuente e il fornitore. L’onere probatorio a carico dell’Amministrazione è più sfumato ma altrettanto rigoroso.

Cosa Deve Dimostrare l’Amministrazione Finanziaria

La Corte, richiamando la consolidata giurisprudenza nazionale e comunitaria, ha specificato che l’Amministrazione Finanziaria deve provare due elementi fondamentali:

1. L’oggettiva fittizietà del fornitore: Deve dimostrare che le operazioni contestate si inseriscono in un meccanismo fraudolento (es. frode carosello con un ‘missing trader’).
2. La consapevolezza del destinatario: Deve provare, anche tramite presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti, che il contribuente (cessionario) sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza professionale, che l’operazione faceva parte di un’evasione d’imposta.

Questa ‘consapevolezza’ non richiede la prova di un dolo specifico o di un coinvolgimento diretto nella frode, ma si basa su elementi oggettivi che avrebbero dovuto mettere in allarme un operatore accorto.

Quando la Prova si Sposta sul Contribuente

Una volta che l’Amministrazione ha fornito indizi attendibili sulla conoscenza o conoscibilità della frode da parte del contribuente, l’onere della prova si inverte. A questo punto, spetta al contribuente dimostrare di aver adottato tutte le misure ragionevoli per assicurarsi che l’operazione non fosse inserita in un contesto fraudolento. Non è sufficiente, a tal fine, provare la regolarità formale della contabilità o dei pagamenti.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha criticato la sentenza della CTR per essersi concentrata sull’assenza di un ‘accordo fraudolento’ provato, un requisito ritenuto ‘eccentrico rispetto alla giurisprudenza sedimentata’. Il giudice di secondo grado avrebbe dovuto, invece, investigare sull’esistenza soggettiva delle operazioni e sulla consapevolezza del contribuente, valutando gli elementi oggettivi e specifici forniti dal Fisco. L’onere dell’Amministrazione, secondo la Corte, si incentra sull’individuazione di elementi che dimostrino che il cessionario conoscesse o dovesse conoscere la realtà effettiva, diversa da quella documentalmente rappresentata. L’aver ignorato questo principio ha portato alla cassazione della sentenza con rinvio ad altro collegio per un nuovo esame basato sui corretti principi di diritto.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale in materia di frodi IVA: la diligenza dell’imprenditore è un elemento chiave. La sentenza chiarisce che il Fisco non deve provare l’intento criminoso del contribuente, ma solo che quest’ultimo non poteva non sapere della frode, agendo da operatore mediamente esperto. Per le aziende, ciò significa che non basta verificare la regolarità formale di una fattura. È necessario adottare cautele supplementari quando le circostanze dell’affare (prezzi anomali, modalità di pagamento inusuali, scarsa struttura del fornitore) possano far sorgere il sospetto di essere di fronte a un’operazione non genuina. La buona fede non si presume, ma va dimostrata attivamente qualora il Fisco fornisca elementi probatori di segno contrario.

Cosa deve provare l’Amministrazione Finanziaria per negare la detrazione IVA in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
L’Amministrazione Finanziaria deve provare non solo la fittizietà del fornitore inserito in una frode, ma anche che il contribuente destinatario della fattura sapeva, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta. Questa prova può essere fornita anche tramite presunzioni basate su elementi oggettivi e specifici.

È necessario che il Fisco dimostri un accordo fraudolento a cui ha partecipato direttamente il contribuente?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che non è necessaria la prova di un accordo fraudolento o di una partecipazione diretta del contribuente all’evasione. È sufficiente dimostrare la sua consapevolezza o colpevole ignoranza riguardo al carattere fraudolento dell’operazione.

Quando l’onere della prova si sposta sul contribuente?
L’onere della prova si sposta sul contribuente nel momento in cui l’Amministrazione Finanziaria ha fornito indizi attendibili, idonei a integrare una presunzione semplice, sul fatto che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode. A quel punto, spetta al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nell’evasione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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