Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17847 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17847 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8905/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. dell’UMBRIA -PERUGIA n. 318/2017 depositata il 15/09/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/04/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza epigrafata, in punto di fatto, emerge quanto segue:
La società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha interposto tempestivo appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Perugia del 21/06/2016 con la quale è stato rigettato il ricorso proposto avverso avvisi di accertamento per IVA anni 2010 e 2011.
La società è un’impresa agricola in liquidazione dal 29/11/2016 che opera nel settore del commercio di prodotti agricoli nonché per acquisto e rivendita di legnami.
Nel biennio per cui è causa ha acquistato legname di importazione dalla RAGIONE_SOCIALE contestualmente rivendendolo ai propri clienti con un normale ricarico.
La società ha pagato le fatture emesse dalla Poliv per un ammontare di 236.504,62 € per l’anno 2010 e di 95.914,43 € per il 2011.
Nel marzo 2015 la GdF ha avviato una verifica fiscale nei confronti della società conclusa con la notifica di PVC in cui si attesta che le fatture emesse dalla Poliv si riferiscono ad operazioni soggettivamente inesistenti .
La contribuente formulava proposta di accertamento con adesione e, dopo il contraddittorio si addiveniva ad un accertamento adesivo per gli anni 2012 -13 ma non per l’annualità 2010 -11 per le quali sono stati emessi gli avvisi di causa.
In tali avvisi l’Agenzia prendeva atto che l’acquisto delle merci dalla Poliv soggettivamente ma non oggettivamente inesistent e quindi in merito alla detrazione dell’IVA confermava i rilievi del PVC.
La contribuente ha impugnato davanti ai giudici tributari i predetti avvisi di accertamento ma i giudici rigettavano il ricorso ritenendo che
l’RAGIONE_SOCIALE non avesse offerto elementi atti a contestare efficacemente gli argomenti addotti dall’Agenzia.
La contribuente proponeva appello, accolto dalla CTR dell’Umbria, con la sentenza epigrafata, sulla base della seguente motivazione:
ppaiono condivisibili le censure mosse alla decisione dei primi giudici che non hanno adeguatamente valutato le deduzioni della società volte a dimostrare la sua buona fede nell’ignorare la natura fittizia delle operazioni commerciali intrattenute con la RAGIONE_SOCIALE
Che quest’ultima fosse una ‘cartiera’ è fatto innegabile, in base alle numerosissime prove addotte dalle indagini svolte dalla GdF: tuttavia non è stato dimostrato che la società appellante abbia in qualche modo beneficiato della retrocessione diretta o indiretta da Poliv dell’IVA non versata cosicché, come esattamente rilevato nell’impugnazione, non si comprende di quale vantaggio si sarebbe giovata la società RAGIONE_SOCIALE delle fittizie fatturazioni.
Sostanzialmente le presunzioni circa l’intento frodatorio della Poliv non riescono a dimostrare che la società appellante fosse partecipe o comunque a conoscenza dell’intento evasivo.
a Poliv non era l’unico fornitore di cui RAGIONE_SOCIALE si serviva atteso che l’appellante ha dimostrato di aver effettuato centinaia di acquisti di legname da altre società estere, fornitori diversi dalla Poliv, sulle cui fatture non esisteva IVA detraibile e questo, secondo il Collegio, costituisce una prova oggettiva della buona fede dell’appellante .
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con un unico articolato motivo, cui resiste la contribuente con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria telematica addì 31 marzo 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 19 e 21 DPR 633/1972 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’.
1.1. ‘ e ragioni per cui la Commissione ha accolto l’appello, pur dando atto della avvenuta prova dell’inesistenza soggettiva delle operazioni in contestazione, consistono nel fatto che non avendo provato l’avvenuta retrocessione diretta o indiretta dei pagamenti effettuati alla RAGIONE_SOCIALE e dunque il vantaggio economico e fiscale conseguito dalla società RAGIONE_SOCIALE l’Ufficio non avrebbe dimostrato che la società aveva partecipato alla frode o ne era comunque a conoscenza. Occorre ricordare che una volta che l’Ufficio abbia dimostrato come è pacifico nel caso in esame in cui la stessa CTR conferma che la fornitrice era una cartiera e dunque le operazioni erano soggettivamente inesistenti, è il contribuente dover ‘dimostrare la sua buona fede ”.
Il motivo – che si sottrae all’eccezione d’inammissibilità, sollevata in controricorso (p. 7), in quanto, a differenza di quanto ivi sostenuto, non richiede una rivisitazione delle circostanze di fatto già accertate dalla CTR, ma enuclea un preciso errore di diritto compiuto dalla medesima, raccordandolo ad una parimenti precisa rubricazione delle corrispondenti violazioni di legge – è fondato e merita accoglimento.
2.1. In un coerente quadro d’insieme, la giurisprudenza unionale e quella interna hanno fatto chiarezza sul riparto degli oneri probatori tra Amministrazione e contribuente in caso di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti.
L’insegnamento della prima – a termini della quale, dinanzi ad operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione dell’IVA, ma non anche la par -tecipazione all’evasione stessa (cfr. Corte Giust Ppuh, C -277/14; Corte Giust. COGNOME, C -285/11) – è invero recepito dalla seconda, in seno alla quale trovasi costantemente ripetuto il principio secondo
cui, ‘in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in ba -se ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a cono -scenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesi -stenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto in -combente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto’ (Sez. 5, n. 15369 del 20/07/2020, Rv. 658429 -01, cui ‘adde’, da ultimo, in ipotesi di ‘re -verse charge’, Sez. 5, n. 4250 del 10/02/2022, Rv. 663882 -01). Donde, ancor più esplicitamente, ‘in tema di IVA, in virtù degli artt. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 17 della Direttiva UE 17 maggio 1977, n. 388, osta al riconoscimento del diritto alla relativa detrazione da parte del cessionario, non soltanto la prova del suo coinvolgimento nella frode fiscale, ma anche quella della mera conoscibilità dell’inserimento dell’operazione in un fenomeno criminoso, volto all’evasione fiscale, la quale sussiste ove il cessionario, pur essendo estraneo alle condotte evasive, ne avrebbe potuto acquisire consapevolezza mediante l’impiego della specifica diligenza professionale richiesta all’operatore economico, avuto riguardo alle concrete modalità e alle condizioni di tempo e di luogo in cui si sono svolti i rapporti commerciali, mentre non occorre anche il conseguimento di un effettivo vantaggio’ (Sez. 5, n. 13803 del 18/06/2014, Rv. 631554 -01, ribadita da Sez. 6 -5, n. 13545 del 30/05/2018, Rv. 648691 -01).
Rispetto a tale consolidato stato della giurisprudenza, sia unio -nale che interna, deve soltanto precisarsi che la prova gravante sull’Amministrazione ben può consistere in attendibili indizi, anche tratti da indagini penali, siccome idonei ad integrare finanche una presunzione semplice, in conformità a quanto, per l’IVA, espressamente prevede l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (cfr., da un lato, Corte Giust. COGNOME e NOME, C -80/11 e C -142/11 e Corte Giust. Kittel, C -439/04; dall’altro, ‘ex multis’, Sez. 6 -5, n. 14237 del 07/06/2017, Rv. 644435 -01).
Sotto altro profilo, in tema di prova per presunzioni, mediante la quale, come appena visto, l’Amministrazione può dimostrare l’oggettiva insussistenza delle operazione, vige il principio secondo cui ‘il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno
avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento’ (Sez. 3, n. 9059 del 12/04/2018, Rv. 648589 -01).
In specificazione del principio di cui innanzi s’è ulteriormente precisato che ‘il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma’ (Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 -01).
La CTR ha patentemente inosservato tutti i superiori principi.
3.1. In particolare, pur accertato in fatto che Poliv ‘fosse una ‘cartiera”,
-da un lato, ha addossato all’Ufficio un onere probatorio che non gli competeva, in ordine alla dimostrazione del vantaggio economico -fiscale ridondante in capo alla contribuente dalle operazioni con Poliv, senza invece considerare che nel quadro indiziario offerto dall’Ufficio circa la natura di cartiera di Poliv (viepiù riportato nella parte della sentenza impugnata dedicata allo svolgimento del processo) era chiaramente rappresentato essere Poliv, alla stregua di indici di materiale evidenza, totalmente priva di sede e di struttura operativa, tanto che (secondo giust’appunto la prospettazione agenziale sunteggiata dalla CTR) ‘la merce acquistata era consegnata direttamente ai clienti finali dell’Agroalimentare senza mai passare dai magazzini della Poliv che infatti non li possedeva’;
-dall’altro lato, ha attribuito decisiva rilevanza, ai fini della prova della pretesa buona fede della contribuente, a circostanze che ne sono prive, quali la ‘retrocessione diretta o indiretta da Poliv dell’IVA’, posto che l’assenza di (documentati) flussi di ritorno non esclude che la contribuente potesse avere quantomeno la possibilità di rendersi conto della frode imperniata su Poliv, ed i numerosi acquisiti di legname da società estere diverse ‘sulle cui fatture non esisteva IVA detraibile’, posto che, non essendo pacificamente RAGIONE_SOCIALE una società estera, l’approvvigionamento estero della contribuente piuttosto dimostra come la medesima fosse un operatore accorto, da cui pretendere un corrispondente ‘standard’ di diligenza.
Talché, in definitiva, la CTR ha omesso di valutare quali esigibili misure precauzionali, alla stregua di una diligenza professionale adeguata al settore, la contribuente avesse dimostrato di aver
adottato per evitare finanche il puro e semplice coinvolgimento in una frode all’IVA, anche alla luce, di contro, dell’affermazione della medesima, cui la stessa CTR dà rilievo in sentenza nel riassumere le sue difese, a termini della quale i ‘prezzi reputati oggettivamente convenienti’ praticati da RAGIONE_SOCIALE ‘hanno indotto l’Agroalimentare a divenire cliente della RAGIONE_SOCIALE senza compiere alcuna indagine particolare circa la natura e le caratteristiche di questa ditta’.
Ne consegue che la sentenza impugnata va cassata con rinvio per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 10 aprile 2025.