Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5040 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 5040  Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 23997/2016 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE,  nella  persona  del  Direttore pro  tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE  (già  RAGIONE_SOCIALE),  in  liquidazione,  nella persona  del  legale  rappresentante pro  tempore ,  rappresentata  e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO, giusta procura speciale in calce al controricorso.
– controricorrente –
avverso  la  sentenza  della  Commissione  tributaria  regionale  della CAMPANIA,  n.  5217/15/16,  depositata  in  data  6  giugno  2016,  non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Napoli, con sentenza  n. 2046/1/2015  depositata  il  18  marzo  2015,  aveva  accolto  il ricorso  presentato  dalla  società  RAGIONE_SOCIALE  avverso l’avviso  di  accertamento,  con  cui  l’RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  aveva recuperato a tassazione l’importo Iva sugli acquisti, per 81.046,00, oltre sanzioni, interessi e spese, effettuati nell’anno 2012 dalla società RAGIONE_SOCIALE, relativa ad operazioni considerate soggettivamente inesistenti.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE affermando che, in tema di prova della «partecipazione colpevole» del soggetto coinvolto nella frode carosello quale venditore finale, che portava in detrazione l’Iva trattenuta sulla operazione di vendita, il monitoraggio RAGIONE_SOCIALE pronunce più recenti, permetteva di individuare un progressivo sedimentarsi di affermazioni di principio favorevoli sul punto al contribuente, con conseguente onere probatorio a carico dell’Amministrazione; in ogni caso, la società contribuente aveva adeguatamente adempiuto al proprio dovere di diligente verifica della assenza di «indici di fraudolenza» nelle operazioni compiute con altri soggetti commerciali, in quanto aveva documentato che le fatture di acquisto riportavano tutti i dati della società emittente; che gli acquisti erano stati tutti pagati mediante titoli tracciati, ovvero bonifici bancari intestati alla RAGIONE_SOCIALE; che il trasporto della merce era
stato effettuato mediante spedizioniere terzo; che la società aveva verificato l’esistenza giuridica e operatività della controparte, società regolarmente iscritta alla camera di commercio; che era stato individuato altresì un responsabile commerciale con cui erano stati intrattenuti costanti rapporti telefonici (NOME COGNOME, risultato effettivamente delegato ad operare sul conto bancario della RAGIONE_SOCIALE). Di contro, gli elementi riportati nel processo verbale di constatazione erano rappresentati dall’assenza di verosimiglianza della circostanza che i rapporti tra le due società sarebbero stati intrattenuti esclusivamente a mezzo telefono o mail, senza incontri di persona, dato ritenuto irragionevole in funzione degli importi complessivi degli acquisti effettuati; si trattava di un dato privo di significativo pregio dimostrativo, evidenziando che le moderne dinamiche di mercato (particolarmente accentuate nel settore del commercio di elettrodomestici) erano sempre più progressivamente orientate verso la costruzione di rapporti «telematici», fondati su esperienze comuni (condivise con altri utenti) e verificabili, con attribuzione di patenti diffuse di affidabilità o inattendibilità, senza necessità di tradizionali incontri personali; ugualmente non concludente ed inidoneo a sovvertire l’efficacia dimostrativa degli elementi cui era ancorata la dimostrazione di buona fede del contribuente appariva la circostanza del coinvolgimento della medesima società RAGIONE_SOCIALE in altra operazione di frode carosello condotta dalla società «RAGIONE_SOCIALE» , evidenziando che le contestazioni elevate sul punto erano risultate inaffidabili, nei termini definiti da pronunce di primo e secondo grado favorevoli al contribuente, che avevano evidenziato l’assenza di dimostrazione probatoria di consapevole partecipazione della società in questione al meccanismo fraudolento ; l’Ufficio, dunque, non aveva proposto alcun significativo elemento di valutazione per sovvertire l’efficacia degli
elementi  posti  a  fondamento  della  dimostrazione  di  buona  fede della società appellata.
RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato ad un unico motivo.
La società RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione, resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente per la violazione del principio di autosufficienza, atteso che il ricorso contiene tutti gli elementi necessari a rappresentare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e consente a questa Corte la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass., Sez. U., 24 febbraio 1998, n. 1998).
Va parimenti rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla società controricorrente del ricorso per violazione dell’art. 3 69, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., dovendosi richiamare le Sezioni Unite di questa Corte che hanno affermato che l’onere del ricorrente di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, «gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda» è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità RAGIONE_SOCIALE forme processuali, a) quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, b) quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, comma 3, cod. proc. civ., ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex
art.  366,  n.  6,  cod.  proc.  civ.,  degli  atti,  dei  documenti  e  dei  dati necessari al reperimento degli stessi (Cass., Sez. U., 3 novembre 2011, n. 22726 e, di recente, Cass., 10 dicembre 2020, n. 28184; Cass., 13 maggio 2021, n. 12844; Cass., 11 gennaio 2023, n. 6597), onere che, nel caso di specie, è stato assolto dall’RAGIONE_SOCIALE ricorrente .
3. Il primo ed unico mezzo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 19, 21 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, 39, comma 1, lett. d), e 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ. L’Ufficio aveva pienamente assolto l’onere probatorio, come peraltro riconosciuto dai giudici di secondo grado, con la conseguenza che era onere della società contribuente provare l’esistenza effettiva anche sul piano soggettivo degli acquisti operati e documentati e la buona fede in ordine al carattere fraudolento RAGIONE_SOCIALE operazioni. La Commissione tributaria regionale aveva ritenuto che la società contribuente avesse fornito la prova contraria, valorizzando elementi (regolarità formale RAGIONE_SOCIALE fatture, pagamento tramite bonifici, merce effettivamente consegnata tramite vettore, iscrizione alla camera di commercio, esistenza di un responsabile commerciale con il quale erano stati intrattenuti costanti rapporti telefonici) che, invece, per la giurisprudenza di legittimità costituivano circostanze non concludenti, non essendo sufficienti «… la regolarità della documentazione contabile esibita e la mera dimostrazione che la merce sia stata effettivamente consegnata o che sia stato effettivamente versato il corrispettivo, ‘trattandosi di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode ‘ ». Infine, erano irrilevanti i richiami operati dalla Commissione alle vicende giudiziarie riguardanti le ulteriori contestazioni effettuate nei confronti della società contribuente relativamente ai rapporti intercorsi con la società «RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE», in quanto, per come rilevato in appello, i due contenziosi, pur vertendo entrambi sul concetto di utilizzazione di fatture inesistenti, si riferivano ad annualità differenti e a differenti «falsi» emittenti. Era pure errata l’asserzione secondo la quale gli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione finanziaria erano costituiti dall’unico fatto che i rapporti tra le due società, in relazione agli acquisti complessivamente effettuati, si sarebbero svolti solo via mail e telefonicamente. Invero, altri ed ulteriori erano gli elementi addotti dall’Amministrazione come desumibile dagli stralci del pvc del 6 giugno 2013 allegati all’avviso di accertamento, che erano sintomatici del ruolo che la società RAGIONE_SOCIALE aveva esercitato quale missing trader nella frode Iva intracomunitaria e che non erano stati considerati: 1) la precedente sede legale della società era risultata essere del tutto inesistente, mentre quella con decorrenza 6 maggio 2013 coincideva con quella della RAGIONE_SOCIALE; 2) la rappresentante legale, pur rispondendo all’invito a comparire, non aveva prodotto tutta la documentazione utile alle operazioni di controllo in essere; 3) l’assenza di depositi o della disponibilità di altri locali in cui esercitare l’attività commerciale; 4) la mancata tenuta RAGIONE_SOCIALE scritture contabili obbligatorie previste dall’art. 14 del d.P.R. 600 del 1973 e della documentazione prevista dal d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dei libri sociali obbligatori.
3.1 Il motivo è, in primo luogo, ammissibile.
3.2 Ed invero, l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente ha censurato la decisione impugnata, richiamando la giurisprudenza di questa Corte alle pagine 8-10 del ricorso per cassazione e ha verificato la conformità della decisione di secondo grado ad essa, con particolare riferimento al principio dell ‘onere della prova in tema di operazioni soggettivamente inesistenti e al contenuto della prova contraria incombente sulla società contribuente. L’RAGIONE_SOCIALE ricorrente, dunque, nel formulare il motivo, ha assolto l’onere, a pena di inammissibilità RAGIONE_SOCIALE stesso, non solo di
esaminare il dettato RAGIONE_SOCIALE norme di diritto di cui assume la violazione o falsa applicazione, lette secondo l’interpretazione giurisprudenziale di legittimità, ma anche di operare un raffronto tra la regola giuridica applicata dai giudici di merito (in tema di prova contraria) e la giurisprudenza della Corte suprema, così da dimostrare come la prima si ponga in contrasto con la seconda e, poiché nella vicenda in esame, la pronuncia non è risultata conforme alla giurisprudenza di legittimità, ha assolto al l’ulteriore onere di addurre argomenti per contrastare l’indirizzo giurisprudenziale adottato dai giudici di merito. Il motivo, pertanto, risulta specifico e, conseguentemente, ammissibile ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ. (cfr. Cass., 2 marzo 2018, n. 5001).
3.3 Il motivo, oltre che ammissibile, è pure fondato.
3.4 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della detrazione dell’IVA, « l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di
ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto,  non  assumendo  rilievo,  a  tal  fine,  né  la  regolarità  della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita RAGIONE_SOCIALE merci o dei servizi » (cfr. Cass., 9 agosto 2022, n. 24471; Cass., 31 gennaio 2022, n. 2922; Cass., 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., 20 aprile 2018, n. 9851).
Più in particolare, questa Corte, partendo dalla premessa che ai fini della ripartizione dell’onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva che tale diritto costituisce, ha affermato che incombe, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione e che, una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, citata).
3.5 In  particolare,  questa  Corte,  nella  sentenza  n.  9851  del  2018, citata, ha precisato che:
-) la prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale: l’alterità soggettiva dell’imputazione RAGIONE_SOCIALE operazioni, ovvero il soggetto formale non è quello reale; il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione Iva, non è, dunque, necessaria la prova della partecipazione all’evasione ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole;
-)  la  prova  può  ritenersi  raggiunta  se  l’Amministrazione  fornisce attendibili  indizi  idonei  ad  integrare  una  presunzione  semplice  e, dunque,  non  occorre  la  prova  «certa»  e  incontrovertibile  di  ogni operazione e dettaglio, ovvero l’Amministrazione può assolvere al suo
onere probatorio anche mediante presunzioni (come prevede per l’Iva l’art.  54,  secondo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 e, per le imposte dirette,  l’art.  39,  primo  comma,  lett.  d,  d.P.R.  n.  600  del  1973)  e mediante elementi indiziari;
-) è sufficiente che gli elementi forniti dall’Amministrazione si riferiscano anche solo ad alcune fatture o circostanze rilevanti per la qualificazione della società interposta come cartiera (quali ad esempio la mancanza di sede, la mancanza di iscrizione, l’omesso versamento RAGIONE_SOCIALE imposte) ovvero a singole indicazioni significativamente riferibili alla sfera di conoscenza o conoscibilità dell’imprenditore;
-) l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va dunque ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta all’Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in una evasione all’Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto RAGIONE_SOCIALE circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione;
-) raggiunta tale prova, è onere del contribuente dimostrare, oltre all’effettività del suo interlocutore, la propria buona fede, ossia, « di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto -secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto », non permettendo una diversa conclusione neppure gli accertamenti eventualmente effettuati ed attesa l’inesigibilità di ulteriori e più approfondite verifiche;
-) l’onere probatorio incombente sul destinatario può essere articolato su  una  pluralità  di  livelli  e  può  investire  sia  l’asserito  carattere  di
anomalia  degli  elementi  posti  in  evidenza  dal  Fisco,  sia  l’attività conoscitiva preventiva eventualmente posta in essere da cui emerge, in ordine all’effettività ed operatività dell’impresa interposta, un esito tranquillizzante, mentre non potevano essere esperibili, né tantomeno esigibili, accertamenti più incisivi;
-) è, invece, priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture, quanto sulle evidenze contabili dei pagamenti, quanto, infine, sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio perché i prezzi di vendita erano conformi o superiori alla media di mercato, perché si tratta di circostanze, le prime, già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente (e relative a dati e documenti facilmente falsificabili), e, l’ultima, perché riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie tipica ed inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode.
3.6 Ciò posto, il giudice tributario di merito, investito della controversia avente ad oggetto l’atto impositivo, deve previamente valutare, con giudizio di fatto censurabile in cassazione solo per vizi attinenti alla congruità ed alla coerenza logica della motivazione, la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, esaminandoli sia singolarmente sia nel loro complesso, ed esponendo adeguatamente l’esito di tale giudizio nella motivazione della sentenza. Quando egli ritiene, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità (non necessariamente di certezza), che detti indizi sono sufficienti a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, con riguardo, nel caso RAGIONE_SOCIALE frodi carosello, all’esistenza dell’organizzazione fraudolenta, alla partecipazione ad essa del contribuente o, quanto meno, alla consapevolezza da parte sua di avvantaggiarsi della frode con danno dell’erario, la domanda dell’amministrazione deve ritenersi provata; con la conseguenza che si sposta a carico del contribuente, secondo la regola RAGIONE_SOCIALE ricavabile dall’ art. 2727 cod. civ. e ss., e dall’art. 2697, comma secondo, cod.
civ., l’onere di provare eventuali fatti a suo favore; la mancata deduzione di idonea prova contraria, fin dall’atto introduttivo del giudizio, o l’insuccesso di essa, comportano l’accoglimento della pretesa del fisco fondata su valide presunzioni. In tale contesto, le dichiarazioni rilasciate da terzi, le risultanze RAGIONE_SOCIALE indagini condotte nei confronti di altre società, gli atti trasmessi dalla guardia di finanza, risultanti dall’attività di polizia giudiziaria, senza esclusione di altri atti, se contenuti negli atti (come il processo verbale di constatazione) allegati all’avviso di rettifica notificato o trascritti essenzialmente nella motivazione RAGIONE_SOCIALE stesso, costituiscono parte integrante del materiale indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza. Né in campo tributario sono previste limitazioni di efficacia degli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria per il fatto, in particolare, che il difensore del contribuente non abbia partecipato alla formazione della prova racchiusa nell’atto trasmesso; il contenuto di tale atto, d’altronde, costituisce semplice indizio nel processo tributario, ed il giudicante di merito è tenuto a prenderlo in considerazione, a vantaggio o contro il fisco, nel quadro RAGIONE_SOCIALE complessive acquisizioni processuali, con piena facoltà d’intervento RAGIONE_SOCIALE difese.
3.7 Anche la Corte di g iustizia dell’Unione Europea, di recente, in materia di governo RAGIONE_SOCIALE prove allegate dalle parti in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, ha affermato che: « 26. Come ricordato in più occasioni dalla Corte, la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva 2006/112. A tale riguardo, la Corte ha stabilito che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente RAGIONE_SOCIALE norme del diritto dell’Unio ne e che, pertanto, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo (v., in tal senso, sentenze del 6 luglio 2006, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C439/04 e C440/04, EU:C:2006:446, punti 54 e 55, nonché dell’11 novembre 2021, RAGIONE_SOCIALE, C-281/20, EU:C:2021:910, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). 27. Per
quanto riguarda l’evasione, secondo una giurisprudenza costante il beneficio del diritto a detrazione deve essere negato non solamente quando un’evasione dell’IVA sia commessa dal soggetto passivo stesso, ma anche qualora si dimostri che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni e servizi, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA (v., in tal senso, sentenze del 6 luglio 2006, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C-439/04 e C-440/04, EU:C:2006:446, punto 59; del 21 giugno 2012, COGNOME e COGNOME, C-80/11 e C142/11, EU:C:2012:373, punto 45, nonché dell’11 novembre 2021, NOME, C-281/20, EU:C:2021:910, punto 46). 28. La Corte ha altresì ripetutamente precisato, con riferimento a casi in cui le condizioni sostanziali del diritto a detrazione erano soddisfatte, che il beneficio del diritto a detrazione può essere negato al soggetto passivo soltanto qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che questi sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto dei beni e servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, lo stesso partecipava a un’operazione che si iscriveva in una siffatta evasion e commessa dal fornitore o da altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena RAGIONE_SOCIALE cessioni o prestazioni (sentenza dell’11 novembre 2021, RAGIONE_SOCIALE, C -281/20, EU:C:2021: 910, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). 29. A tale riguardo, la Corte ha infatti stabilito che non è compatibile con il regime del diritto a detrazione previsto dalla direttiva 2006/112 sanzionare con il diniego di tale diritto un soggetto passivo che non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore, o che un’altra operazione nell’ambito della catena RAGIONE_SOCIALE cessioni, anteriore o posteriore a quella realizzata da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’IVA, posto che l’istituzione di un sistema di responsabilità oggettiva andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti dell’Erario (sentenza dell’11 novembre 2021, RAGIONE_SOCIALE, C -281/20, EU:C:2021:910, punto 49 e giurisprudenza ivi citata). 30. Inoltre, secondo una giurisprudenza costante della Corte, poiché il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una simile evasione. Spetta poi ai giudici nazionali verificare se le amministrazioni f inanziarie interessate abbiano dimostrato l’esistenza di detti elementi oggettivi (sentenza dell’11 novembre 2021, RAGIONE_SOCIALE, C -281/20, EU:C:2021:910, punto 50 e giurisprudenza ivi citata). 31. Poiché il diritto dell’Unione non prevede norme relative
alle modalità dell’assunzione RAGIONE_SOCIALE prove in materia di evasione dell’IVA, tali elementi oggettivi devono essere stabiliti dall’autorità tributaria secondo le norme in materia di prova previste dal diritto nazionale. Tuttavia, tali norme non devono pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione (sentenza dell’11 novembre 2021, RAGIONE_SOCIALE, C -281/20, EU:C:2021:910, punto 51 e giurisprudenza ivi citata). 32. Dalla giurisprudenza rammentata ai punti da 27 a 31 della presente sentenza deriva che il beneficio del diritto a detrazione può essere negato a tale soggetto passivo solo se, dopo aver proceduto ad una valutazione globale di tutti gli elementi e di tutte le circostanze di fatto del caso di specie, effettuata conformemente alle norme in materia di prova del diritto nazionale, è accertato che quest’ultimo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto rientrava in una siffatta evasione. Il beneficio del diritto a detrazione può essere negato solo qualora tali fatti siano stati sufficientemente dimostrati con mezzi che non siano supposizioni (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2021, RAGIONE_SOCIALE, C-281/20, EU:C:2021:910, punto 52 e giurisprudenza ivi citata). 33. Se ne deve dedurre che l’autorità tributaria che intende negare il beneficio del diritto a detrazione deve dimostrare in modo adeguato, conformemente alle norme in materia di prova previste dal diritto nazionale e senza pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione, sia gli elementi oggettivi che provino l’esistenza dell’evasione stessa dell’IVA, sia quelli che dimostrino che il soggetto passivo ha commesso tale evasione o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto rientrava in detta evasione » (cfr. Corte di g iustizia dell’Unione Europea, 1 dicembre 2022, in C-512/21, paragrafi 26 -33).
3.8 Tanto premesso, nella vicenda in esame, la Commissione tributaria regionale non ha fatto piena e corretta applicazione dei principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali. Ed invero, dalla lettura del ricorso per cassazione, che, sul punto, come già affermato, rispetta il principio di autosufficienza, in quanto riporta il contenuto dell’avviso di accertamento in esame, oltre che del p.v.c. emesso a carico della RAGIONE_SOCIALE, l’Ufficio ha fondato il recupero RAGIONE_SOCIALE imposte, relativamente alle operazioni soggettivamente inesistenti, sulla scorta di elementi presuntivi gravi precisi e concordanti, riportati integralmente alle pagine 4 -7 del ricorso per cassazione: 1) la precedente sede legale della società era risultata essere del tutto inesistente, mentre
quella con decorrenza 6 maggio 2013 coincideva con quella della RAGIONE_SOCIALE; 2) la rappresentante legale, pur rispondendo all’invito a comparire, non aveva prodotto tutta la documentazione utile alle operazioni di controllo in essere; 3) l’assenza di depositi o della disponibilità di altri locali in cui esercitare l’attività commerciale; 4) la mancata tenuta RAGIONE_SOCIALE scritture contabili obbligatorie previste dall’art. 14 del d.P.R. n. 600 del 1973 e della documentazione prevista dal d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dei libri sociali obbligatori. L’Ufficio ha, dunque, ritenuto che la società RAGIONE_SOCIALE fosse un’impresa esistita solo sotto il profilo formale (iscrizioni CCIAA, possesso partita I.V.A.), ma non sotto l’aspetto sostanziale, in quanto la sua reale attività era stata solo quella di soggetto emittente fatture per prestazioni effettuate tra soggetti diversi e che, in tale contesto, i rapporti, esclusivamente telematici e telefonici, a fronte di ordini per circa 80.000 euro, sia pure considerando l’evoluzione dei mezzi di comunicazione, fondavano la presunzione della sussistenza di operazioni soggettivamente inesistenti. Si tratta , all’evidenza, di elementi tipici, che dando luogo ad una presunzione di svolgimento di operazioni soggettivamente inesistenti comportavano l’inversione dell’onere della prova a carico della società contribuente, nel senso che quest’ultima avrebbe dovuto dimostrare che «non avrebbe potuto sapere» pur avendo utilizzato la massima diligenza esigibile; elementi di presunzione, peraltro, che sono stati (illegittimamente) trascutati dalla Commissione tributaria regionale, con il conseguente errore di diritto, correttamente censurato dall’RAGIONE_SOCIALE ricorrente.
3.9 I giudici di appello, pur ritenendo (con una prima argomentazione), correttamente, che la prova della partecipazione consapevole fosse a carico dell’Amministrazione finanziaria, hanno poi affermato che il dato che  i  rapporti  tra  le  due  società  sarebbero  stati intrattenuti esclusivamente a mezzo telefono o mail, senza incontri di persona,
era privo di rilevanza probatoria, attese le moderne dinamiche di mercato particolarmente accentuate nel settore del commercio di elettrodomestici e che ugualmente non era concludente la circostanza del coinvolgimento della medesima società RAGIONE_SOCIALE in altra operazione di frode carosello condotta dalla società «RAGIONE_SOCIALE» , poiché le pronunce di primo e di secondo grado, favorevoli alla società contribuente, avevano evidenziato l’assenza di dimostrazione probatoria di consapevole partecipazione della società al meccanismo fraudolento, così non valorizzando gli elementi diretti a dimostrare che la società che aveva emesso le fatture non era esistente, oltre il fatto che nell’ipotesi in esame diversi erano i «falsi» emittenti e differenti erano gli anni in contestazione e, in violazione dei criteri di riparti dell’onere della prova in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, hanno concluso che l’Ufficio appellante non aveva proposto « nessun significativo elemento di valutazione per sovvertire l’efficacia degli elementi posti a fondamento della dimostrazione di buona fede dell ‘appellato » (cfr. pagine 4 e 5 della sentenza impugnata).
3.10 Ma vi è di più. Nella specie, la Commissione tributaria regionale (con una seconda affermazione) ha ritenuto, non conformemente ai principi suesposti, che, anche a volere considerare che sull’Amministrazione finanziaria non incombeva la prova della consapevolezza della società contribuente (« anche qualora si aderisse all’ipotesi configurante una presunzione favorevole all’amministrazione »), che la società contribuente aveva adeguatamente adempiuto « al proprio dovere di diligente verifica della assenza di ‘indici di fraudolenza’ nelle operazioni compiute con altri soggetti commerciali », valorizzando elementi privi di rilievo, quali le fatture di acquisto che riportavano tutti i dati della società emittente, il pagamento degli acquisti mediante titoli tracciati, ovvero bonifici bancari intestati alla RAGIONE_SOCIALE, l’effettivo trasporto
della merce mediante spedizioniere terzo, l’iscrizione alla camera di commercio della società e l’individuazione di un responsabile commerciale con cui erano stati intrattenuti costanti rapporti telefonici, tale NOME COGNOME, risultato effettivamente delegato ad operare sul conto bancario della RAGIONE_SOCIALE. Ed invero, come sopra rilevato, in ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente consistita nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto certamente diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’Iva in rivalsa, la prova che la prestazione non sia stata effettivamente eseguita dal fatturante, essendo questo privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione medesima, costituisce elemento idoneamente sintomatico dell’assenza di «buona fede» del contribuente, con l’effetto che, in tal caso, sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri. Soccorre, nella stessa direzione, pure il principio statuito da questa Corte secondo cui « Ai fini della prova dell’esistenza di un’operazione non è sufficiente produrre la relativa fattura in quanto l’emissione della fattura può prescindere dall’effettiva stipulazione della cessione; perciò il contribuente, a fronte della contestazione dell’Amministrazione circa l’inesistenza di un’ operazione, ha l’onere di dimostrare la effettività del contratto e non può limitarsi a dar prova dell’emissione della fattura che per la sua formazione unilaterale e la sua inerenza a un rapporto già formato tra le parti, ha natura di atto partecipativo e non di prova documentale » (cfr. Cass., 27 ottobre 2010, n. 21949).
Per  le  ragioni  di  cui  sopra,  il  ricorso  va  accolto;  la  sentenza impugnata  va  cassata  e  la  causa  va  rinviata  alla  Corte  di  giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la determinazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la determinazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 24 gennaio 2024.