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Onere della prova frode IVA: la Cassazione decide

In un caso di presunta frode carosello, la Corte di Cassazione ha chiarito la ripartizione dell’onere della prova in materia di frode IVA. Se l’Agenzia Fiscale fornisce indizi gravi, precisi e concordanti sulla fittizietà del fornitore e sulla consapevolezza del cessionario, spetta a quest’ultimo dimostrare di aver agito con la massima diligenza per evitare il coinvolgimento. La mera regolarità formale dei documenti non è sufficiente a provare la buona fede. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva erroneamente accolto le ragioni del contribuente.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova in Frode IVA: La Cassazione Chiarisce i Doveri del Contribuente

L’ordinanza n. 5040/2024 della Corte di Cassazione offre un’analisi cruciale sulla ripartizione dell’onere della prova in caso di frode IVA, specificamente nel contesto delle operazioni soggettivamente inesistenti. Questa pronuncia ribadisce i principi consolidati, sottolineando come la semplice regolarità formale dei documenti contabili non sia sufficiente a proteggere un’impresa dal rischio di vedersi negata la detrazione dell’IVA, qualora emergano indizi di un suo coinvolgimento, anche solo per negligenza, in un meccanismo fraudolento.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore dell’elettronica si è vista recapitare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia Fiscale recuperava a tassazione l’IVA detratta su acquisti effettuati nell’anno 2012. Secondo l’Amministrazione finanziaria, tali operazioni erano da considerarsi soggettivamente inesistenti, in quanto la società fornitrice era una mera ‘cartiera’ (o missing trader), inserita in una più ampia frode carosello.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione al contribuente, ritenendo che quest’ultimo avesse fornito prove adeguate della propria buona fede e di aver adempiuto al proprio dovere di diligenza. In particolare, i giudici di merito avevano valorizzato elementi quali la regolarità delle fatture, i pagamenti tracciabili tramite bonifico bancario, l’effettiva consegna della merce e l’iscrizione del fornitore alla Camera di Commercio. L’Agenzia Fiscale, insoddisfatta della decisione, ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia Fiscale, cassando con rinvio la sentenza della Commissione Tributaria Regionale. I giudici di legittimità hanno ritenuto che la decisione impugnata non avesse fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali, sia nazionali che europei, in materia di ripartizione dell’onere probatorio nelle frodi IVA.

Le Motivazioni della Corte sull’Onere della Prova in Frode IVA

Il fulcro della decisione risiede nella dettagliata spiegazione di come debba essere distribuito l’onere della prova in una frode IVA. La Corte ha chiarito che:

1. Onere iniziale dell’Amministrazione Finanziaria: Spetta in primo luogo all’Agenzia Fiscale dimostrare, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, non solo la fittizietà del fornitore (ad esempio, la sua natura di ‘cartiera’), ma anche la consapevolezza del cessionario che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta. Per ‘consapevolezza’ si intende che l’imprenditore ‘sapeva o avrebbe dovuto sapere’, usando l’ordinaria diligenza professionale, della frode.

2. Spostamento dell’onere sul Contribuente: Una volta che l’Amministrazione ha fornito questi elementi indiziari, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare di aver agito in totale assenza di consapevolezza e di aver adoperato la ‘massima diligenza esigibile’ da un operatore accorto per non essere coinvolto nella frode.

Gli Elementi Insufficienti a Dimostrare la Buona Fede

La Cassazione ha criticato la sentenza di secondo grado per aver considerato sufficienti, a dimostrazione della buona fede, elementi che la giurisprudenza consolidata ritiene inidonei. La regolarità formale delle fatture, l’avvenuto pagamento tracciabile e la consegna della merce sono circostanze ‘non concludenti’. La prima è intrinseca alla nozione stessa di operazione soggettivamente inesistente, mentre le altre sono fatti che, di per sé, non dimostrano l’estraneità del cessionario alla frode, potendo far parte del meccanismo fraudolento stesso.

Nel caso specifico, l’Agenzia aveva fornito numerosi indizi sulla natura di ‘cartiera’ della società fornitrice: la sede legale precedente era risultata inesistente, la rappresentante legale non aveva prodotto la documentazione richiesta, vi era assenza di depositi e locali commerciali e la contabilità non era tenuta regolarmente. I giudici di merito hanno illegittimamente ignorato questi elementi, invertendo di fatto l’onere della prova.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un monito importante per tutti gli operatori economici. La lotta all’evasione fiscale, in particolare alle frodi carosello, impone un livello di diligenza molto elevato. Non è sufficiente una verifica formale dei propri partner commerciali. È necessario adottare procedure di controllo e di due diligence sostanziali, specialmente all’inizio di un rapporto commerciale, per verificare l’effettiva operatività e affidabilità del fornitore. In presenza di indizi che possano far sorgere un sospetto (come prezzi anomali, modalità di contatto inconsuete, ecc.), l’imprenditore prudente deve astenersi dall’operazione o approfondire le verifiche, per non rischiare di essere considerato partecipe, anche solo a titolo di colpa, di un meccanismo fraudolento, con la conseguente perdita del diritto a detrarre l’IVA.

A chi spetta l’onere della prova in caso di frode IVA per operazioni soggettivamente inesistenti?
Inizialmente spetta all’Amministrazione finanziaria, la quale deve provare, anche con presunzioni, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza (o la colpevole non conoscenza) del destinatario della fattura. Una volta fornita tale prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare la sua buona fede e l’adozione della massima diligenza.

Quali elementi sono sufficienti per l’Amministrazione finanziaria per provare il coinvolgimento di un contribuente in una frode?
Sono sufficienti elementi oggettivi e specifici, anche indiziari, purché gravi, precisi e concordanti, che dimostrino che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza professionale, che l’operazione si inseriva in un’evasione fiscale. Esempi includono la mancanza di una reale sede operativa del fornitore, l’omessa tenuta della contabilità o altre anomalie strutturali.

Cosa deve dimostrare il contribuente per provare la propria buona fede e vedersi riconosciuto il diritto alla detrazione IVA?
Il contribuente deve dimostrare di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare a un’evasione fiscale e di aver adoperato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per evitare di essere coinvolto. La semplice prova della regolarità formale delle fatture, dei pagamenti tracciabili o della consegna della merce non è considerata sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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