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Onere della prova frode IVA: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2163/2024, ha chiarito l’onere della prova in materia di frode IVA per operazioni soggettivamente inesistenti. Un’impresa del settore automobilistico si è vista negare la detrazione IVA per acquisti da un fornitore fittizio. La Corte ha stabilito che spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire prove, anche presuntive, che l’acquirente sapesse o dovesse sapere della frode. Successivamente, l’onere si sposta sull’imprenditore, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza per verificare la legittimità dell’operazione.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova nelle Frodi IVA: La Cassazione Chiarisce le Responsabilità dell’Acquirente

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale per ogni imprenditore: l’onere della prova in caso di frode IVA legata a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. La decisione sottolinea l’importanza della diligenza professionale e chiarisce come viene ripartita la responsabilità probatoria tra Fisco e contribuente. Comprendere questi principi è fondamentale per proteggere la propria attività da contestazioni fiscali potenzialmente devastanti.

Il Caso: Acquisti da un Fornitore “Fantasma”

La vicenda riguarda un’impresa individuale attiva nel commercio di autoveicoli. L’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2006, contestando la deducibilità dei costi e la detrazione dell’IVA relativi a fatture di acquisto emesse da un determinato fornitore. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, tali operazioni erano soggettivamente inesistenti. Le indagini avevano rivelato che il fornitore era un soggetto privo di una reale struttura organizzativa, che non versava l’IVA e rivendeva le autovetture a un prezzo inferiore a quello di acquisto: tutti classici indizi di una frode fiscale.

Il Percorso Giudiziario: Dalle Commissioni Tributarie alla Cassazione

Inizialmente, la Commissione Tributaria Provinciale aveva parzialmente accolto il ricorso del contribuente. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale aveva rigettato l’appello dell’Ufficio, sostenendo che l’Amministrazione non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare l’esistenza della frode e, soprattutto, la consapevolezza del contribuente acquirente. Insoddisfatta, l’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando principalmente la violazione delle norme sull’onere della prova.

Onere della Prova Frode IVA: La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ribaltando la decisione di secondo grado. Gli Ermellini hanno riaffermato un principio consolidato, anche a livello europeo: in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, l’onere della prova della frode IVA è ripartito.

In primo luogo, spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, l’esistenza di elementi oggettivi che facciano ritenere che l’acquirente fosse a conoscenza della frode o che avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza professionale. Tali elementi possono includere l’assenza di una struttura operativa del fornitore, prezzi anomali o altre irregolarità.

Una volta che il Fisco ha fornito questo quadro indiziario, l’onere si sposta sul contribuente. Sarà quest’ultimo a dover provare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per assicurarsi che la transazione non facesse parte di un’evasione fiscale.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ritenuto fondati tutti e tre i motivi di ricorso dell’Agenzia. In primo luogo, ha giudicato la motivazione della sentenza d’appello come ‘meramente apparente’, in quanto non spiegava adeguatamente le ragioni per cui riteneva non assolto l’onere probatorio da parte dell’Ufficio. In secondo luogo, e questo è il cuore della decisione, la Cassazione ha chiarito che il giudice di merito ha errato nel richiedere all’Amministrazione una prova certa e incontrovertibile della ‘connivenza’ dell’acquirente. La giurisprudenza costante, sia nazionale che europea, stabilisce che è sufficiente provare che l’operatore ‘avrebbe dovuto sapere’ di partecipare a un’operazione fraudolenta. L’Amministrazione aveva infatti addotto una serie di elementi indiziari significativi: l’assenza di struttura organizzativa e di capitale del fornitore e il fatto che la provvista per gli acquisti provenisse dagli stessi clienti finali. Questi elementi, secondo la Corte, erano idonei a spostare l’onere della prova sul contribuente, il quale avrebbe dovuto dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie.

Le Conclusioni: Quali Implicazioni per le Imprese?

Questa ordinanza rafforza un messaggio chiaro per tutte le imprese: la buona fede non si presume, ma si dimostra con i fatti. Non è sufficiente ricevere una fattura e pagarla per essere al riparo da contestazioni. È necessario adottare un approccio proattivo e diligente nella scelta e nella verifica dei propri partner commerciali. Le imprese devono implementare procedure di ‘due diligence’ sui fornitori, specialmente in presenza di nuovi rapporti commerciali o di condizioni economiche particolarmente vantaggiose. Ignorare i ‘campanelli d’allarme’ (come prezzi troppo bassi, mancanza di una sede fisica, ecc.) può costare caro, poiché l’Amministrazione Finanziaria può legittimamente presumere che un operatore professionale accorto avrebbe dovuto riconoscere il rischio di frode. In sintesi, la passività e la negligenza non sono scusanti valide di fronte al Fisco.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare la frode?
L’onere della prova è ripartito. Inizialmente, spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire elementi, anche presuntivi, che indichino l’esistenza di una frode e la consapevolezza (o la colpevole ignoranza) dell’acquirente. Successivamente, l’onere passa al contribuente, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza.

Cosa deve dimostrare l’Amministrazione finanziaria per negare la detrazione IVA?
L’Amministrazione deve provare, anche tramite presunzioni semplici basate su elementi oggettivi, che il contribuente fosse a conoscenza della frode o che avrebbe dovuto conoscerla usando l’ordinaria diligenza professionale. Non è richiesta la prova di una ‘connivenza’ certa e incontrovertibile.

Quale diligenza è richiesta all’acquirente per non essere coinvolto in una frode IVA?
È richiesta la massima diligenza esigibile da un operatore accorto e professionale. Ciò implica l’adozione di tutte le misure ragionevoli per assicurarsi che l’operazione non sia parte di un’evasione fiscale, fugando ogni dubbio sulla possibile consumazione di una frode nella catena di fornitura.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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