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Onere della prova frode IVA: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha respinto il ricorso di una società del settore elettronico contro un avviso di accertamento per operazioni soggettivamente inesistenti. La decisione ribadisce i principi sull’onere della prova frode IVA: spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare gli elementi oggettivi della frode e la consapevolezza del contribuente, mentre quest’ultimo deve provare di aver agito con la massima diligenza, non essendo sufficiente la mera regolarità formale dei documenti.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della prova frode IVA: la Cassazione stabilisce i confini della buona fede

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna ad affrontare un tema cruciale per le imprese: l’onere della prova frode IVA in contesti di operazioni soggettivamente inesistenti. La decisione chiarisce come la semplice regolarità formale della documentazione contabile non sia sufficiente a dimostrare la buona fede dell’acquirente, il quale è tenuto a un dovere di diligenza rafforzato per non essere coinvolto in meccanismi fraudolenti. Il caso analizzato riguarda una società operante nel commercio all’ingrosso di elettrodomestici, colpita da un accertamento fiscale per l’anno 2011.

I Fatti di Causa

Una società S.r.l. impugnava un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita detrazione dell’IVA relativa a fatture per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. Secondo l’amministrazione finanziaria, la società aveva acquistato beni da un’azienda che fungeva da mero interposto fittizio (una cosiddetta ‘cartiera’) all’interno di una più ampia frode carosello. L’operazione, solo in apparenza avvenuta con soggetti comunitari, in realtà coinvolgeva esclusivamente operatori economici nazionali.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano respinto i ricorsi della società, confermando la legittimità dell’atto impositivo. La contribuente decideva quindi di ricorrere in Cassazione, affidandosi a ben tredici motivi di ricorso.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando le sentenze dei precedenti gradi di giudizio. I giudici di legittimità hanno esaminato e respinto tutte le censure mosse dalla società, fornendo importanti chiarimenti su diversi aspetti procedurali e sostanziali, in particolare sull’onere della prova frode IVA.

Le Motivazioni della Decisione e l’Onere della Prova Frode IVA

Il cuore della pronuncia risiede nella ripartizione dell’onere probatorio tra Fisco e contribuente. La Corte ha ribadito un principio consolidato: di fronte a una contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria ha il compito di dimostrare, anche attraverso presunzioni, non solo la natura fittizia del fornitore (ad esempio, la sua mancanza di una reale struttura operativa), ma anche la consapevolezza del cessionario di essere parte di un’evasione fiscale. In alternativa, deve provare che il cessionario, usando l’ordinaria diligenza richiesta a un operatore professionale, avrebbe dovuto accorgersene.

Una volta che il Fisco ha fornito tali elementi probatori (definiti “oggettivi e specifici”), la palla passa al contribuente. A quest’ultimo spetta la cosiddetta “prova contraria”, ovvero dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile per non rimanere coinvolto nella frode.

Su questo punto, la Cassazione è categorica: la regolarità formale delle scritture contabili, l’avvenuto pagamento delle fatture e persino l’assenza di un beneficio economico diretto dalla rivendita della merce non sono, di per sé, sufficienti a dimostrare la buona fede. La Corte ha valorizzato la circostanza che il fornitore interposto fosse “privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata”, un chiaro indizio che avrebbe dovuto allertare un acquirente diligente.

La sentenza ha anche rigettato i motivi relativi all’applicazione del “raddoppio dei termini” di accertamento, chiarendo che, secondo la normativa applicabile all’epoca dei fatti (anteriore alle riforme del 2015), era sufficiente il mero riscontro di fatti che comportassero un obbligo di denuncia penale per giustificare l’estensione dei termini, a prescindere dall’esito del procedimento penale stesso.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per tutte le imprese. Essa conferma che la lotta alle frodi IVA richiede un approccio proattivo e diligente da parte degli operatori economici. Non basta limitarsi a un controllo formale dei documenti e dei pagamenti. È necessario adottare cautele concrete per verificare l’effettiva operatività e affidabilità dei propri partner commerciali, specialmente in settori a rischio. La decisione rafforza la linea dura della giurisprudenza in materia, sottolineando che l’incolpevole affidamento deve essere provato con elementi concreti che dimostrino una diligenza superiore a quella ordinaria.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare cosa?
L’Amministrazione Finanziaria deve provare, anche con presunzioni, non solo la fittizietà del fornitore ma anche che il destinatario era a conoscenza della frode o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza. Successivamente, spetta al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto, e la sola regolarità formale dei documenti non basta.

La semplice regolarità contabile e dei pagamenti è sufficiente a dimostrare la buona fede del contribuente in una frode IVA?
No, la Corte ha ribadito che la regolarità della contabilità, dei pagamenti e la mancanza di benefici dalla rivendita non sono elementi di per sé sufficienti a provare la massima diligenza richiesta a un operatore accorto per non essere coinvolto in una frode.

Come funzionava il ‘raddoppio dei termini’ di accertamento per i fatti antecedenti la riforma del 2015?
Secondo la disciplina applicabile al caso di specie, il raddoppio dei termini di accertamento scattava con il semplice riscontro di fatti che comportavano l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’esito del successivo procedimento penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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