Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31323 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31323 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17257/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA n. 4058/2019 depositata il 17/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di elettrodomestici ed elettronica, impugnava l’avviso di accertamento mirato a recuperare importi per Imposte dirette e Iva relativamente all’anno 2011. L’atto impositivo contestava operazioni soggettivamente inesistenti, avuto riguardo a fatture emesse nei confronti della contribuente dalla RAGIONE_SOCIALE, sostenendo la connotazione indebita della correlata detrazione dell’imposta. Inoltre, a seguito della verifica fiscale emergeva che la cessione di beni, solo in apparenza avveniva in favore di soggetti comunitari, coinvolgendo in realtà esclusivamente operatori economici nazionali.
L’avviso poggiava su un pvc del 29 settembre 2015.
La CTP di Milano rigettava il ricorso della contribuente.
Non miglior sorte assisteva il successivo appello di quest’ultima, del pari respinto.
Il ricorso per cassazione della RAGIONE_SOCIALE è affidato ora a tredici motivi di ricorso. L’Agenzia resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., per essersi la sentenza impugnata pronuncia ‘ extra petita ‘, non essendo mai stata invocata l’applicazione dell’art. 8 D.L. n. 16 del 2012.
Il motivo non coglie nel segno e va disatteso.
Le considerazioni della CTR sulle imposte dirette non lambiscono il nucleo della controversia, afferente la ripresa Iva. Al netto delle
considerazioni concernenti le imposte dirette, il giudice d’appello si addentra nel thema decidendum relativo all’Iva e su di esso concentra le argomentazioni funzionali alla statuizione finale. La pronuncia in punto di imposte dirette è, nell’economia della decisione, del tutto irrilevante, emergendo, pertanto, rispetto tale statuizione eccentrica una radicale carenza di interesse ad impugnare della parte ricorrente. Secondo la giurisprudenza nomofilattica, d’altronde, è inammissibile per difetto di interesse, il motivo di impugnazione con cui si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, priva di qualsivoglia influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, essendo diretto in definitiva all’emanazione di una pronuncia senza alcun rilievo pratico (Cass. n. 12678 del 2020).
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta ex art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c., per omessa motivazione in ordine alla non riferibilità oggettiva delle notizie di reato prodotte in allegato alle controdeduzioni al ricorso introduttivo alle fattispecie tributarie, relativamente alle quali la sentenza impugnata ha ritenuto legittimo il raddoppio dei termini di accertamento.
Il motivo non coglie nel segno e va disatteso.
Consta, invero, la motivazione di cui pure si assume in ricorso la mancanza.
La CTR si è diffusamente pronunciata sull’operatività del raddoppio dei termini, implicitamente rigettando anche la censura articolata nel ricorso in appello, a tenore della quale detto raddoppio sarebbe stato inapplicabile alla ripresa emessa nei confronti di RAGIONE_SOCIALE. Invero, al primo capoverso della sentenza d’appello, ove il giudice regionale riassume il motivo formulato dall’odierna ricorrente, ne compendia anche la censura in parola: ‘ il raddoppio dei termini non opera con riguardo alla ripresa relativa alla fattura n° 1/l del 13/12/11 emessa nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
Technology LDT ‘. Pertanto, non ricorre l’omissione di pronuncia ascritta alla CTR. Del resto, al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione, così da doversi ritenere implicitamente rigettate le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. n. 3126 del 2021; Cass. n. 25509 del 2014).
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione applicabile ratione temporis , per avere la sentenza impugnata ritenuto che una notizia di reato, non oggettivamente riferibile alla fattispecie tributaria oggetto di accertamento, sia idonea a raddoppiare i termini di decadenza per effettuare tale accertamento.
Con il quarto motivo di ricorso si contesta, ex art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione applicabile ratione temporis , per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che i termini fossero raddoppiati in presenza di seri indizi di reato idonei a far sorgere l’obbligo della denuncia penale, quand’anche archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, ritenendo che la novella apportata con L. n. 208 del 2015 non trovi applicazione nel caso di specie.
I motivi terzo e quarto, avvinti da intima connessione, appaiono infondati e vanno respinti.
La CTR ha motivatamente argomentato l’applicabilità del raddoppio.
Non vengono in rilievo, le modifiche introdotte, dapprima, dall’art. 2, primo e secondo comma, d.lgs. 3 agosto 2015, n. 128, che ha circoscritto il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di
decadenza dal potere di accertamento, quindi, dall’art. 1, commi da 130 a 132, della I. 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno, tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari. Infatti, quanto alla prima modifica, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dall’art. 2, d.lgs. n. 128 del 2015, la stessa non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quali sono quelle in oggetto, in cui la notifica dell’avviso di accertamento è precedentemente intervenuta. Quanto alla ulteriore modifica, il regime transitorio previsto dalla L. n. 208 del 2015 per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132, riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 3, secondo comma, d.lgs. n. 128 del 2015 sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (cfr. Cass. n. 26037 del 2016; Cass. n. 16728 del 2016). Ciò posto, secondo la disciplina applicabile al caso in esame, il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in
particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (v. Cass. n. 22337 del 2018; Cass. n. 11171 del 2016). Infatti, come, evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.247 del 2011, l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché « il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento ».
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, ex art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c., per motivazione contraddittoria, perplessa o incomprensibile in relazione all’esistenza o meno della deduzione in sede procedimentale di fatti e circostanze nuovi rispetto a quelli di cui al PVC e al conseguente obbligo specifico di motivazione, in quanto la CTR, per un verso da atto della presentazione da parte del contribuente di ‘ dettagliate osservazioni difensive ‘, per altro verso adduce che le stesse ‘ non modificano i fatti come ricostruiti nel PVC e recepiti nell’ordinamento ‘.
Il motivo è inammissibile.
La CTR ha esercitato il proprio sindacato di merito in ordine ai presupposti alla base del recupero fiscale. In particolare, il giudice regionale, svolgendo un accertamento di fatto ad esso riservato, ha escluso che gli elementi veicolati dalla parte contribuente fossero inediti e corroborati da un elemento di novità suscettibile di
incidere sulla fondatezza della pretesa tributaria. Pertanto, la ricorrente odierna traligna, attraverso la propria censura, il recinto del vizio ex art. 360, n. 4, c.p.c., mirando ad ottenere una diversa e più appagante ricostruzione del merito della controversia.
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, ex art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c., per omessa o apparente motivazione in ordine alla struttura della frode contestata e alla prova contraria dedotta dalla contribuente e con riguardo all’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate e alla buona fede della contribuente.
Con il settimo motivo di ricorso si lamenta, ex art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c., per omessa o apparente motivazione in ordine alla fattispecie concreta oggetto di giudizio in quanto, ‘ dal testo della motivazione, emerge che la CTR Lombardia ha esaminato una vicenda diversa da quella per cui è causa ‘.
Con l’ ottavo motivo di ricorso si lamenta, ex art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c., per omessa o apparente motivazione in ordine alla dedotta, omessa compiuta deduzione e prova, da parte dell’Ufficio, della frode a monte, in quanto la sentenza impugnata si riferisce, anche con riguardo a tale elemento costitutivo, ad una vicenda diversa rispetto alla fattispecie per cui è causa.
I motivi sesto, settimo e ottavo sono suscettibili di trattazione unitaria, per intima connessione; essi non colgono nel segno e vanno disattesi.
La CTR ha puntualmente motivato su tutti i profili che parte ricorrente assume obliterati.
In particolare, in ordine alla struttura della frode ha evidenziato l’interposizione del cedente rispetto al fornitore reale, evidenziando che ‘ l’operazione inesistente risulta di tipo triangolare, caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il
cedente comunitario ed il cessionario italiano ‘; ha pure constatato che l’interposto era ‘ privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata ‘, soggiungendo che il cessionario non si è curato di ‘ fornire la prova … della propria buona fede ‘; ha, infine, indicato l’irrilevanza della ‘ regolarità formale delle scritture ‘ e delle ‘ evidenze contabili ‘ nonché dei ‘ pagamenti ‘.
I mezzi di ricorso mirano, pertanto, ad ottenere una ricostruzione differente del merito della controversia, postulando l’esercizio di un sindacato di fatto, invero precluso in questa sede. Non consta, d’altronde, disallineamento alcuno fra la fattispecie assunta in considerazione dalla CTR e quella reale.
Con il nono motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione al ‘ malgoverno della distribuzione dell’onere della prova in tema di buona fede dell’avente causa di prestazioni, in ipotesi, soggettivamente inesistenti in quanto oggetto di una presunta frode IVA ‘.
Il motivo è infondato ed esige il rigetto.
La CTR ha valorizzato la circostanza della carenza di ‘ dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata ‘ , presumendo in ragione di essa la mancanza di buona fede della contribuente.
In tal senso, il giudice regionale ha fatto corretta applicazione del principio nomofilattico affermato da questa Corte, alla cui stregua ‘ In tema di contenzioso tributario, l’Amministrazione finanziaria, ove contesti al cessionario/committente l’assenza di buona fede in caso di irregolarità fiscali o di evasione, ha l’onere di allegare e provare gli elementi probatori su cui si fonda la contestazione, tra i quali possono rilevare, in via indiziaria, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale, l’immediatezza
dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione. In tal caso, conseguentemente, grava in capo al contribuente l’onere di provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione non fosse il fatturante ma altri ‘ (Cass. n. 30148 del 2017; v. anche Cass. n. 17173 del 2018). Questa Corte ha anche puntualmente affermato che ‘ In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 9851 del 2018; Cass. n. 15369 del 2020).
Con il decimo motivo di ricorso si contesta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione della Direttiva 1006/112/CE e dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, ‘ in relazione alla prova contraria richiesta nella specie ‘, dovendo reputarsi idonea sul piano dimostrativo, nell’ottica della contribuente, ‘ la regolarità
cartolare dell’operazione ‘, in quanto bastevole ‘ a dimostrare la sufficiente diligenza espletata ‘.
Il motivo è infondato.
Diversamente da quanto opinato dalla contribuente giova considerare l’insufficienza della regolarità formale dell’operazione a provare la diligenza del contribuente.
Questa Corte ha condivisibilmente affermato, infatti, che ‘ In tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 24471 del 2022).
Con l’ undicesimo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 38 e ss. d.P.R. n. 600 del 1973, 19 ss. d.P.R. n. 633 del 1972, 2697 e 2729 c.c., in relazione all’omessa prova da parte dell’Ufficio dell’inesistenza soggettiva delle operazioni per cui è causa e della asserita frode presupposta in relazione all’indebita inversione dell’onere probatorio in capo al contribuente circa la relativa incolpevole buona fede.
Il motivo è infondato.
La CTR ha, infatti, ricostruito la frode, valorizzando elementi presuntivi idonei a dar conto dell’inesistenza soggettiva delle operazioni. Questa Corte ha osservato ancor di recente che ‘ In particolare, la mancanza di struttura e di logistica divengono profilo sintomatico della fittizietà delle operazioni sul piano soggettivo. In questo quadro, il giudice regionale ha fatto rigorosa applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità nel versante di riferimento. In tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 24471 del 2022). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della detrazione dell’IVA, ‘ l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione
finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi’ (Cass. n. 9851 del 2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda; conf., tra le tante, Cass. n. 11873 del 2018; Cass. n. 17619 del 2018; Cass. n. 15369 del 2020) .
Con il dodicesimo motivo di ricorso si contesta la violazione o falsa applicazione degli artt. 19 d.P.R: n. 633 del 1973, 17 nn. 2 e 6, 18 e 22 della Sesta Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, con riguardo alle fatture passive ricevute dalla dante causa RAGIONE_SOCIALE per avere la sentenza impugnata confermato l’illegittima ripresa a tassazione di un’imposta effettivamente versata dalla contribuente.
Il motivo è infondato.
La CTR ha escluso, infatti, la detraibilità dell’IVA avuto riguardo alla ritenuta fittizietà soggettiva delle operazioni. Da ciò derivava l’insussistenza dei presupposti della detrazione, i quali muovono dalla necessaria salvaguardia del principio di neutralità dell’IVA. In caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo
che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente che intenda detrarre l’IVA la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.
Con il tredicesimo motivo di ricorso si contesta, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131, 132 c.p.c., per motivazione apparente od omessa in ordine al recupero a tassazione dell’Iva relativa alla fattura attiva emessa in relazione ad operazioni intracomunitarie.
Il motivo è inammissibile.
Esso è reiterativo della contestazione relativa alla ‘ fattura 1/F RAGIONE_SOCIALE ‘, contestando l’assenza di motivazione sul punto in base al quale i beni non avrebbero lasciato il territorio nazionale. Tuttavia, nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5947 del 2023). Nel merito il motivo si palesa, comunque, infondato, in quanto la CTR ha affermato che la merce non era uscita dal territorio italiano e quindi difettava la prova, a cura del cedente, dell’avvenuta esportazione.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 07/11/2024.