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Onere della prova frode carosello: la Cassazione

La Corte di Cassazione interviene sul tema dell’onere della prova nelle frodi IVA, specificamente nelle operazioni soggettivamente inesistenti. L’ordinanza in esame cassa la decisione di merito che aveva escluso la responsabilità di una società per mancata prova della sua ‘partecipazione consapevole’ alla frode. La Suprema Corte ribadisce un principio fondamentale: per contestare la detrazione IVA, all’Amministrazione Finanziaria è sufficiente dimostrare, anche tramite presunzioni, che l’imprenditore, usando l’ordinaria diligenza, ‘avrebbe dovuto sapere’ di essere parte di un’evasione. Non è quindi richiesta la prova di una piena e cosciente complicità. La questione viene rinviata al giudice di secondo grado per una nuova valutazione basata su questo corretto standard probatorio.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova nelle Frodi Carosello: Non Serve la Consapevolezza, Basta la Conoscibilità

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di frodi IVA, focalizzandosi sull’onere della prova che grava sull’Amministrazione Finanziaria e sul contribuente. La decisione chiarisce che, per negare la detrazione dell’IVA in un contesto di operazioni soggettivamente inesistenti, non è necessario dimostrare la piena e consapevole partecipazione dell’acquirente alla frode. È sufficiente provare che quest’ultimo, usando la diligenza di un operatore accorto, avrebbe dovuto sospettare l’irregolarità. Approfondiamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Una Contestazione per Operazioni Inesistenti

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società per l’anno d’imposta 2003. L’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita detrazione dell’IVA, l’illegittima deduzione di costi ai fini delle imposte dirette e altre violazioni, tutte collegate a operazioni di compravendita di prodotti di telefonia ritenute soggettivamente inesistenti, inserite in una cosiddetta “frode carosello”.

Sia in primo che in secondo grado, i giudici tributari avevano dato ragione alla società, annullando l’avviso di accertamento. La motivazione di fondo era che l’Amministrazione Finanziaria non era riuscita a dimostrare una “partecipazione consapevole” dell’azienda alla frode. Secondo i giudici di merito, mancava la prova di un coinvolgimento attivo e cosciente nell’illecito.

L’Agenzia delle Entrate, insoddisfatta della decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’errata applicazione delle norme sul riparto dell’onere della prova.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’Onere della Prova

La Suprema Corte ha accolto il motivo principale del ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un nuovo esame. Il punto centrale della decisione risiede nella corretta interpretazione del criterio soggettivo richiesto al contribuente.

L’Errore dei Giudici di Merito: Confondere “Consapevolezza” e “Conoscibilità”

I giudici della Cassazione hanno evidenziato l’errore commesso dalla Commissione Tributaria Regionale: aver richiesto la prova di una “compartecipazione consapevole” o di un “concorso nella frode”. Questo standard probatorio, secondo la Corte, è eccessivamente rigoroso e non in linea con l’interpretazione consolidata, anche a livello europeo.

Il principio corretto, infatti, non richiede la certezza della malafede, ma si accontenta della “conoscibilità” dell’illecito. In altre parole, ciò che rileva è se l’imprenditore, agendo con la diligenza richiesta dalla sua qualità professionale, avrebbe dovuto accorgersi che l’operazione commerciale faceva parte di un meccanismo evasivo.

Il Corretto Ripartodel’Onere della Prova secondo la Cassazione

L’ordinanza ha delineato con chiarezza come deve essere distribuito l’onere della prova in questi casi:

1. A carico dell’Amministrazione Finanziaria: Spetta all’Agenzia delle Entrate provare, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario della fattura sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode. Gli elementi oggettivi (es. prezzi anomali, modalità di pagamento insolite, assenza di una reale struttura aziendale del fornitore) sono fondamentali per costruire questo quadro presuntivo.
2. A carico del Contribuente: Una volta che l’Amministrazione ha fornito questi indizi, la palla passa al contribuente. Quest’ultimo deve fornire la prova contraria, dimostrando di aver agito con la massima diligenza possibile per un operatore accorto al fine di non essere coinvolto nell’evasione. A tal fine, non è sufficiente provare la regolarità formale della contabilità o dei pagamenti, né l’assenza di un vantaggio economico diretto dalla rivendita.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando la propria giurisprudenza costante e i principi della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La logica sottostante è quella di responsabilizzare gli operatori economici, imponendo loro un dovere di diligenza e controllo nelle transazioni commerciali. Accettare passivamente operazioni da fornitori sconosciuti o a condizioni palesemente anomale espone al rischio di essere considerati, se non complici, quantomeno negligenti, con la conseguente perdita del diritto alla detrazione dell’IVA.

Il giudice di rinvio dovrà quindi riesaminare l’intero compendio probatorio non più cercando la prova della “piena consapevolezza”, ma valutando se, alla luce degli indizi forniti dall’Agenzia, la società avesse gli strumenti per comprendere la natura fraudolenta delle operazioni e se abbia adottato tutte le cautele ragionevolmente esigibili per evitarla.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche per le Imprese

Questa pronuncia rappresenta un monito importante per tutte le imprese. La lotta alle frodi IVA non si basa solo sulla repressione dei comportamenti dolosi, ma anche sulla promozione di una maggiore diligenza e attenzione nelle relazioni commerciali. Per un’azienda, non è sufficiente pagare le fatture e registrarle correttamente; è necessario implementare procedure di controllo sui propri partner commerciali, specialmente in settori a rischio, per verificare la loro effettiva operatività e affidabilità. Ignorare segnali di allarme o indizi di anomalie può costare caro, portando al disconoscimento di costi e dell’IVA, anche in assenza di una provata intenzione di frodare.

Cosa deve provare l’Amministrazione Finanziaria in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
L’Amministrazione Finanziaria deve provare due elementi: l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza o la ‘conoscibilità’ da parte del destinatario che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta. Questa seconda prova può essere fornita anche in via presuntiva, basandosi su elementi oggettivi e specifici.

È sufficiente per un’impresa dimostrare la regolarità dei pagamenti e della contabilità per escludere il coinvolgimento in una frode?
No. Secondo la Corte, la regolarità della contabilità e dei pagamenti, così come la mancanza di benefici diretti dalla rivendita della merce, non sono elementi sufficienti a dimostrare la buona fede del contribuente e la sua estraneità alla frode.

Qual è la differenza tra ‘consapevolezza’ della frode e ‘conoscibilità’ della stessa?
La ‘consapevolezza’ implica una partecipazione attiva e cosciente all’illecito, una piena conoscenza della frode. La ‘conoscibilità’, invece, è uno standard inferiore: si riferisce alla situazione in cui il contribuente, pur non essendo direttamente a conoscenza della frode, avrebbe dovuto rendersene conto utilizzando l’ordinaria diligenza richiesta a un operatore professionale accorto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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