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Onere della prova frode carosello: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 34440/2024, si è pronunciata sul tema dell’onere della prova nelle frodi carosello. Il caso riguardava una società a cui l’Agenzia Fiscale contestava la detrazione IVA per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. La Corte ha cassato la decisione di merito, ritenendo la motivazione apparente e perplessa. Ha ribadito che spetta all’Amministrazione finanziaria provare gli elementi oggettivi della frode, mentre il contribuente deve dimostrare la propria buona fede e l’adozione della necessaria diligenza per non essere coinvolto. La Suprema Corte ha inoltre chiarito che una sentenza di assoluzione in sede penale non ha efficacia automatica nel processo tributario e deve essere autonomamente valutata dal giudice fiscale.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova nella Frode Carosello: la Cassazione detta le regole

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale del diritto tributario: la ripartizione dell’onere della prova nella frode carosello. Questa pronuncia è di fondamentale importanza perché chiarisce gli obblighi probatori sia per l’Amministrazione Finanziaria che per il contribuente coinvolto, spesso inconsapevolmente, in complesse operazioni fraudolente. L’ordinanza sottolinea inoltre la necessità di una motivazione concreta e non apparente da parte dei giudici di merito e ricalibra l’efficacia di una sentenza penale di assoluzione nel contesto del processo tributario.

I Fatti di Causa: una verifica fiscale e le operazioni contestate

Il caso trae origine da una verifica fiscale condotta dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società, relativa agli anni d’imposta 2010 e 2011. A seguito dei controlli, l’ente impositore recuperava a tassazione maggiore IVA, contestando il disconoscimento di operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. Secondo l’Amministrazione, la società era stata coinvolta in una frode “a carosello”, un meccanismo fraudolento finalizzato all’evasione dell’IVA.

La società contribuente si è sempre dichiarata estranea al disegno fraudolento e ha impugnato gli atti impositivi dinanzi al giudice tributario. Sia in primo che in secondo grado, i giudici hanno dato ragione alla società, annullando le pretese del Fisco.

Dal Giudizio di Merito al Ricorso in Cassazione

L’Amministrazione Finanziaria, insoddisfatta della decisione della Commissione Tributaria Regionale, ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando principalmente tre vizi della sentenza d’appello:

1. Motivazione apparente e perplessa: la sentenza impugnata, pur ricostruendo l’orientamento della Cassazione, si sarebbe limitata a richiami generici e a una conclusione favorevole al contribuente senza un’analisi specifica degli elementi di prova forniti dal Fisco.
2. Violazione dell’onere della prova: l’ente ricorrente sosteneva che, una volta provata l’esistenza della frode e il coinvolgimento oggettivo della società, spettasse a quest’ultima dimostrare la propria buona fede e l’impossibilità di essere a conoscenza della frode.
3. Errata valutazione del giudicato penale: veniva contestata l’eccessiva importanza data a una sentenza di assoluzione penale, dimenticando il principio di autonomia tra il processo penale e quello tributario.

La Ripartizione dell’Onere della Prova nella Frode Carosello

La Corte di Cassazione ha accolto i primi due motivi di ricorso, ritenendoli fondati. La Suprema Corte ha innanzitutto censurato la sentenza di secondo grado per vizio di motivazione. I giudici di merito, infatti, non avevano esaminato adeguatamente gli elementi forniti dall’Agenzia Fiscale per dimostrare la consapevolezza o la colpevole negligenza della società. Elementi come la natura di “cartiera” delle società fornitrici, la provenienza estera della merce, e la similitudine tra documenti di trasporto di diversi operatori, erano stati liquidati come “ipotesi di secondario pregio” senza una vera analisi. Questo configura una motivazione meramente apparente, che rende nulla la sentenza.

Sul punto centrale dell’onere della prova nella frode carosello, la Corte ha ribadito il principio, allineato alla giurisprudenza europea, secondo cui:
– Spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare gli elementi oggettivi della frode e il carattere fittizio delle operazioni.
– Spetta al contribuente, una volta che il Fisco ha fornito tale prova, dimostrare di aver agito con la massima diligenza e di non essere stato in grado, pur adoperandosi, di rendersi conto di partecipare a un’operazione fraudolenta.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha stabilito che la sentenza d’appello è viziata perché non ha seguito il corretto riparto probatorio. Il giudice di merito ha omesso di analizzare gli indizi concreti presentati dall’Ufficio, che avrebbero potuto dimostrare la mancanza di buona fede del contribuente. Una motivazione che si limita a richiami generici a sentenze o a documenti di parte non specificati, per poi concludere con un riferimento ipotetico a un’assoluzione penale, non soddisfa il “minimo costituzionale” richiesto per una decisione valida.

Inoltre, la Cassazione ha chiarito la questione dell’efficacia della sentenza penale. Una sentenza di assoluzione, specialmente se pronunciata in sede di udienza preliminare, non ha un’efficacia vincolante automatica nel processo tributario. Il giudice tributario ha il dovere di effettuare una propria e autonoma valutazione critica delle prove, inclusa la sentenza penale, all’interno del compendio probatorio generale. Nel caso specifico, non si applicava neppure la nuova normativa (art. 21-bis del D.Lgs. 74/2000), che riconosce efficacia di giudicato a sentenze penali di assoluzione dibattimentale con formule piene (“il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”).

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado in diversa composizione. Il giudice del rinvio dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi enunciati: dovrà valutare in modo specifico e non apparente tutte le prove fornite dall’Amministrazione Finanziaria e verificare se il contribuente abbia a sua volta fornito la prova rigorosa della propria buona fede e diligenza. Questa decisione riafferma l’importanza di una motivazione giudiziale robusta e del corretto bilanciamento dell’onere probatorio nelle complesse vicende delle frodi IVA.

In una frode carosello, chi deve provare cosa?
Secondo la Cassazione, l’Amministrazione Finanziaria deve provare gli elementi oggettivi che costituiscono la frode (es. la natura di cartiera dei fornitori, la fittizietà delle operazioni). Una volta fornita questa prova, spetta al contribuente dimostrare la propria buona fede, ovvero di aver adottato ogni misura di diligenza ragionevolmente esigibile per assicurarsi che l’operazione non facesse parte di un’evasione.

Una motivazione di una sentenza tributaria può essere considerata nulla per essere ‘apparente’?
Sì. La Corte di Cassazione ha ribadito che una motivazione è ‘apparente’ (e quindi la sentenza è nulla) quando è talmente generica, perplessa o contraddittoria da non permettere di comprendere il ragionamento logico-giuridico che ha portato alla decisione. Un semplice riferimento generico a sentenze o a documenti, senza un’analisi concreta degli elementi di prova, non è sufficiente.

Una sentenza di assoluzione in sede penale ha valore automatico nel processo tributario?
No. La Cassazione ha specificato che il processo penale e quello tributario sono autonomi. Una sentenza di assoluzione penale, soprattutto se emessa da un giudice dell’udienza preliminare, non vincola automaticamente il giudice tributario. Quest’ultimo deve compiere una valutazione autonoma e critica di tale sentenza nel contesto di tutte le prove disponibili nel giudizio fiscale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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