Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2686 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2686 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
Avv. IRES da 2004 a 2008, IRAP e IVA 2008
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13948/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. PUGLIA n. 3290/06/2016, depositata in data 22 dicembre 2016.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, nella persona della dr.ssa NOME COGNOME ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. Sentita l’Avvocatura Generale dello Stato, nella persona del dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Sulla scorta del processo verbale di constatazione notificato il 27 ottobre 2011 dalla Guardia di Finanza Nucleo Regionale di Polizia Tributaria di Bari, la direzione provinciale di Barletta-Andria-Trani notificava alla Società RAGIONE_SOCIALE gli avvisi di accertamento nn. TVS030500354, TVS030500355, TVS030500356, TVS030500357 e TVS030500358, mediante i quali rettificava i redditi dichiarati dalla suddetta società per gli anni 2004, 2005, 2006, 2007 e 2008, accertando maggiori imposte IRES, IRAP e IVA, oltre sanzioni e interessi. In particolare, in relazione alle suddette annualità, i verificatori avevano accertato la fittizietà di una serie di operazioni commerciali soggettivamente o oggettivamente inesistenti -intercorse con svariati fornitori, a loro volta oggetto di segnalazioni da parte di altri reparti della Guardia di finanza, nonché di attività di polizia giudiziaria.
Avverso gli avvisi di accertamento la società contribuente proponeva distinti ricorsi dinanzi alla C.t.p. di Bari; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, contestando i motivi di ricorso e chiedendo la conferma del proprio operato. In corso di causa, il giudizio veniva interrotto per l’intervenuto fallimento della RAGIONE_SOCIALE; successivamente, la causa veniva riassunta su impulso della Curatela falllimentare, debitamente autorizzata dal Giudice delegato.
La C.t.p., previa riunione dei ricorsi, con la sentenza n. 2177/22/2014, li rigettava.
Contro tale decisione proponeva appello la Curatela fallimentare dinanzi la C.t.r. della Puglia; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo il rigetto dell’appello.
Con sentenza n. 3290/06/2016, depositata in data 22 dicembre 2016, la C.t.r. adita accoglieva il gravame della Curatela.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Puglia, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi mentre la Curatela ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella pubblica udienza del 27 novembre 2024 per la quale la Curatela fallimentare ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione o falsa applicazione dell’art. 39, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e degli art. 2697, 2227, 2229 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha trascurato la circostanza, evidenziata dall’Ufficio in entrambi i gradi di merito, che la società non aveva mai offerto, né in fase amministrativa, né in sede contenziosa, alcun elemento idoneo a contrastare il completo quadro probatorio emerso dalla verifica della Guardia di Finanza (le cui risultanze sono state trasfuse negli atti impugnati), in questo modo non esonerando la società dall’assolvimento del proprio onere probatorio.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione dell’art. 654 c.p.p., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha ritenuto rilevante l’assoluzione dell’ ex amministratore della società, imputato del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 D.LGS. 10 marzo 2000, n. 74, non riconoscendo così l’autonomia del processo tributario da quello penale.
Il primo motivo è inammissibile.
2.1. In base all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i
motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata; ciò comporta l’esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza non riguardante il decisum della sentenza gravata. (Cass. 21/07/2020, n. 15517). Infatti, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità (Cass. 20/10/2016, n. 21296).
2.2. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa, condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ. (Cass. 14/05/2018, n. 11603). 3.2. Si è, altresì, precisato che l’esposizione cumulativa delle questioni non è consentita ove rimetta al giudice di legittimità il compito dì isolare le singole censure teoricamente proponibili; viceversa, la
formulazione del motivo deve permettere di cogliere con chiarezza le doglianze cumulate, sicché queste devono essere prospettate in maniera tale da consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi (Cass. 23/10/2018, n. 26790).
2.3. Orbene, il motivo di ricorso non risponde a questi principi.
Le censure volgono in gran parte a sollecitare una rivalutazione del ragionamento decisorio, sicché, pur apparentemente articolate quali violazione di norme di legge, mirano, in realtà, ad un nuovo esame dei fatti in modo difforme, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/ 2017, n. 8758). Infine, le critiche, avverso la sentenza impugnata sono formulate sotto una molteplicità di profili tra loro confusi, inestricabilmente combinati, in gran parte non riconducibili ad alcuna specifica violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Pertanto, il motivo è articolato in violazione del principio di specificità e di chiarezza di cui all’art. 366 cod. proc. civ. (cfr. Cass. 04/02/2020, n. 2477).
2.4. Di poi, la complessiva censura si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.
2.5. Invero, la C.t.r., con una motivazione immune da violazioni di legge, aveva motivato come, dall’attività di indagine svolta dalla G.d F. nei confronti sia della RAGIONE_SOCIALE che dei suoi fornitori, nulla era
stato rilevato a carico della ricorrente quale idoneo riscontro probatorio alle presunte operazioni inesistenti d’acquisto effettuate dalla stessa, piuttosto emergendo che la RAGIONE_SOCIALE medesima era, in realtà, dotata di una struttura operativa di grandi dimensioni, formata dalle varie tipologie specifiche di macchinari ed attrezzature indispensabili allo svolgimento della particolare attività di trasformazione svolta, ritenuta coerente con gli acquisti e la lavorazione dei notevoli quantitativi di mosto e vini oggetto della successiva commercializzazione. Ancora, veniva rilevato che, proprio in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, il Tribunale di Trani aveva assolto l’ex amministratore della RAGIONE_SOCIALE sig. NOME COGNOME e che, in sede di controlli sostanziali effettuati nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, la Guardia di Finanza si era limitata ad affermare che ” in estrema sintesi, è emerso che la RAGIONE_SOCIALE ha utilizzato fatture per operazioni inesistenti di acquisto ” senza far alcun cenno a fatti, operazioni o comportamenti da cui far discendere i fatti idonei a generare gli atti impositivi impugnati. La C.t.r. concludeva nel senso che qualsiasi tipo di riscontri, effettuati a largo raggio dai militari su tutta le gestione della RAGIONE_SOCIALE svolta durante tutti gli anni accertati, non avevano fatto emergere alcun indizio a carico di quest’ultima da cui poter dedurre l’utilizzo, in realtà, di fatture di acquisto relative ad operazioni inesistenti, con conseguente infondatezza delle presunzioni utilizzate dall’Ufficio.
2.6. Si è più volte sottolineato, come compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (Cass. 12/02/2008, n. 3267), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni
della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile.
Tutto ciò che nel caso di specie è dato riscontrare avendo la C.t.r. deciso attraverso una puntuale valutazione delle risultanze documentali facenti parte del corredo istruttorio.
3. Il secondo motivo è infondato.
Non vi è dubbio che il riferimento alla sentenza di assoluzione dell’amministratore della società non ha costituito elemento decisivo principale della sentenza ma semplice corollario della precedente considerazione con cui si era rilevato come la stessa G.d.F. avesse dato atto nel P.V.C. delle caratteristiche strutturali specialistiche, organizzative e dimensionali della società in questione. Invero, la C.t.r., sul precipuo punto così si esprime: ‘Tanto è vero che proprio in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, il Tribunale di Trani aveva assolto l’ex amministratore della RAGIONE_SOCIALE sig. NOME COGNOME.
3.1. Peraltro, va dato atto della nuova disciplina in tema di riforma dei reati tributari intervenuta con il d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 (in esecuzione della delega conferita al Governo dall’art. 20 della legge n. 111 del 2023, pubblicato sulla G.U. n. 150 del 28/6/2024 ed entrato in vigore il 29/6/2024). Tale norma con l’art. 1, comma 1, lett. m. ha introdotto, nel corpo del d.lgs. 10 marzo 2000, n 74, l’art. 21 bis, rubricato ‘Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione’, che così dispone, per quel che in questa sede interessa: ‘1.La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2.La
sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio.’ Tale ius superveniens si applica anche ai casi (come quello per cui è causa in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 87 del 2024, purché, alla data di entrata in vigore del d.lgs., sia ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli sia stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule ‘di merito’ previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso) (Cass. 03/09/2024, n.23570).
3.2. Orbene, nel caso di specie, posto che la valutazione va fatta ex officio , la sentenza di assoluzione, peraltro irrilevante per le considerazioni svolte atteso che la C.t.r. ha basato la sua decisione su altri elementi , non è presente in atti.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale, non si applica l’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 29.000,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15 % oltre ad IVA e c.p.a. come per legge, con distrazione in favore dell’avvocato della Curatela dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezione