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Onere della prova fiscale: spetta sempre al Fisco

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 98/2025, ha stabilito un principio fondamentale in materia di onere della prova fiscale. Nel caso di una contestazione mossa dall’Amministrazione finanziaria a un’associazione sportiva, riguardante la qualificazione di alcuni proventi come sponsorizzazione anziché pubblicità, i giudici hanno chiarito che spetta all’ente impositore dimostrare la fondatezza della propria pretesa. Viene rigettata la tesi secondo cui il contribuente dovrebbe provare la legittimità delle proprie operazioni, ribadendo che l’avviso di accertamento non gode di alcuna presunzione di legittimità.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della prova fiscale: la Cassazione ribadisce che spetta al Fisco dimostrare la pretesa

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cardine del diritto tributario: l’onere della prova fiscale grava sull’Amministrazione finanziaria. Quando il Fisco contesta la natura di determinate operazioni economiche, non può limitarsi a formulare un’accusa e attendere che sia il contribuente a discolparsi. Al contrario, è l’ente impositore che deve fornire prove concrete a sostegno della propria pretesa. Analizziamo questa importante decisione per comprenderne la portata pratica.

I fatti di causa: pubblicità o sponsorizzazione?

Il caso ha origine da alcuni avvisi di accertamento notificati a un’associazione sportiva dilettantistica. L’Agenzia delle Entrate contestava la qualificazione di determinati proventi, derivanti da contratti con soggetti finanziatori, che l’associazione aveva trattato come corrispettivi per prestazioni pubblicitarie. Secondo l’Amministrazione, si trattava invece di sponsorizzazioni, con un conseguente diverso trattamento ai fini IVA.

La commissione tributaria regionale aveva accolto l’appello dell’associazione, sottolineando la natura “mista” e poco chiara dei contratti in questione. I giudici di merito avevano concluso che, in assenza di prove chiare fornite dall’Agenzia, la pretesa tributaria doveva considerarsi infondata. Contro questa decisione, l’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che l’onere di provare la natura pubblicitaria delle prestazioni incombesse sull’associazione.

La decisione della Cassazione e l’onere della prova fiscale

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia, definendo “errata” la sua tesi. I giudici hanno chiarito che l’Amministrazione muoveva da un presupposto sbagliato: quello di trovarsi di fronte a una questione di agevolazione fiscale, dove tipicamente è il contribuente a dover provare di averne diritto. In questo caso, invece, il nodo centrale era la qualificazione giuridica dei contratti stipulati.

Il principio affermato è netto: è onere dell’Amministrazione finanziaria dimostrare la fondatezza della propria pretesa impositiva. Non esiste, in materia tributaria, alcuna presunzione di legittimità dell’avviso di accertamento. Di conseguenza, quando il Fisco accusa un contribuente di evasione o, come in questo caso, riqualifica un’operazione economica, ha il dovere di provarlo in giudizio.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la tesi erariale, secondo cui le somme incassate dall’associazione derivavano da sponsorizzazioni e non da pubblicità, non era supportata da “specifici addentellati fattuali” né da elementi documentali o istruttori validi. L’Agenzia ha tentato di invertire l’onere della prova fiscale, addossandolo indebitamente al contribuente.

Richiamando un proprio precedente consolidato (Cass. n. 7477 del 2002), la Corte ha ribadito che spetta all’Agenzia che afferma la pretesa impositiva fornire la prova della natura degli esborsi e delle prestazioni sottostanti. In questo caso, l’Amministrazione ha “abdicato” a tale onere, ritenendo erroneamente che fosse l’associazione a dover dimostrare la correttezza del proprio operato. Poiché la prova non è stata fornita, la pretesa fiscale è risultata infondata e il ricorso è stato rigettato.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio di garanzia fondamentale per tutti i contribuenti. L’Amministrazione finanziaria non può avanzare pretese basate su mere supposizioni o riqualificazioni generiche, ma deve costruire la propria accusa su un solido impianto probatorio. Il contribuente, chiamato in giudizio, non parte da una posizione di svantaggio, ma ha il diritto di vedere la propria posizione analizzata sulla base delle prove che l’accusa è in grado di produrre. La decisione conferma che l’onere della prova fiscale è un pilastro del giusto processo tributario e un argine contro accertamenti arbitrari o non adeguatamente motivati.

In un contenzioso fiscale, a chi spetta l’onere di provare la natura di un’operazione economica (es. pubblicità vs. sponsorizzazione)?
Secondo questa ordinanza, l’onere della prova spetta all’Amministrazione finanziaria. È l’ente impositore che deve dimostrare la fondatezza della propria pretesa, fornendo prove concrete sulla natura delle operazioni contestate.

L’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate gode di una presunzione di legittimità?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che, in materia tributaria, non esiste alcuna presunzione di legittimità dell’avviso di accertamento. L’Amministrazione deve provare in giudizio i fatti su cui si basa la sua pretesa impositiva.

Cosa accade se l’Amministrazione finanziaria non fornisce prove sufficienti a sostegno della sua tesi?
Se l’Amministrazione finanziaria non adempie al proprio onere probatorio, la sua pretesa viene considerata infondata e, di conseguenza, il ricorso del contribuente viene accolto, come accaduto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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