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Onere della prova: fatture false e presunzioni

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21920/2024, ha stabilito i principi sull’onere della prova in caso di operazioni oggettivamente inesistenti. Quando l’Agenzia delle Entrate fornisce un quadro di indizi gravi, precisi e concordanti (prova presuntiva) sulla fittizietà delle fatture, l’onere della prova si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. La Corte ha cassato la decisione del giudice di merito che aveva erroneamente svalutato il quadro indiziario, concentrandosi solo su singoli elementi probatori mancanti anziché su una valutazione complessiva.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova su Fatture False: la Cassazione detta le regole

In materia di contenzioso tributario, la questione dell’onere della prova in caso di fatture per operazioni inesistenti è un tema centrale e costantemente dibattuto. Con la recente sentenza n. 21920 del 2 agosto 2024, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza sui principi che regolano la ripartizione di tale onere tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, sottolineando l’importanza della prova presuntiva e di una valutazione complessiva degli indizi.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una società vinicola a cui l’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento per il recupero di IVA indetraibile relativa a fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. Secondo l’Amministrazione, la società aveva registrato acquisti di mosto provenienti da imprese qualificabili come ‘cartiere’ o ‘missing traders’. Le indagini avevano rivelato un complesso schema fraudolento in cui un’altra società agiva da ‘filtro’ per mascherare l’origine illecita delle forniture.

Mentre la Commissione Tributaria Provinciale aveva dato ragione all’Erario, la Commissione Tributaria Regionale aveva ribaltato la decisione. Secondo i giudici d’appello, l’Agenzia delle Entrate non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare la fittizietà delle operazioni, lamentando la mancata produzione in giudizio di elementi chiave (come dichiarazioni e intercettazioni) citati in un’ordinanza di custodia cautelare penale. La CTR aveva concluso che, in assenza di tali prove, si potesse parlare al massimo di una ‘verosimiglianza’ della frode, non di una prova certa.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’Onere della Prova

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza regionale dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando principalmente la violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) e sulla prova per presunzioni (art. 2727 e 2729 c.c.).

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa a un nuovo esame. La Corte ha ribadito i suoi consolidati principi in materia.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella corretta interpretazione della prova presuntiva nel diritto tributario. La Cassazione ha spiegato che:

1. Prova a carico dell’Amministrazione: L’Amministrazione Finanziaria può assolvere il proprio onere della prova sulla fittizietà delle operazioni anche attraverso presunzioni semplici, purché queste siano ‘gravi, precise e concordanti’. Non è necessaria una prova diretta, che in casi di frode è spesso impossibile da ottenere.

2. Inversione dell’onere: Una volta che l’Ufficio ha fornito un quadro indiziario solido e coerente, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Sarà quest’ultimo a dover dimostrare l’effettiva esistenza e l’inerenza delle operazioni contestate. La semplice esibizione della fattura e la prova del pagamento non sono sufficienti, poiché questi elementi sono tipicamente presenti anche negli schemi fraudolenti.

3. Errore del Giudice di Merito: Il grave errore della CTR è stato quello di effettuare una valutazione ‘atomistica’ e non ‘complessiva’ degli indizi. Invece di analizzare l’insieme degli elementi forniti dall’Agenzia (l’esistenza di società cartiere, il ruolo della società filtro, i legami tra i soggetti coinvolti), si è concentrata esclusivamente sulla mancanza di alcuni specifici documenti (le trascrizioni delle intercettazioni), ritenendoli indispensabili. La giurisprudenza, al contrario, impone al giudice di valutare tutti gli elementi presuntivi nel loro complesso, poiché essi possono rafforzarsi a vicenda, fornendo una prova logica valida anche se singolarmente insufficienti.

La Corte ha quindi affermato che la CTR ha pretermesso di considerare che l’Amministrazione è legittimata ad avvalersi della prova logico-indiziaria, la quale, attraverso l’analisi di un coerente sviluppo argomentativo, può portare a dimostrare la falsità delle operazioni fatturate.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cruciale: nella lotta all’evasione fiscale basata su fatture false, la prova presuntiva è uno strumento fondamentale per l’Amministrazione Finanziaria. I giudici tributari non possono scartare un impianto accusatorio basato su indizi solidi solo perché mancano alcuni elementi di prova diretta. Essi devono, invece, compiere una valutazione globale e logica di tutti gli elementi a disposizione. Per i contribuenti, la sentenza rappresenta un monito: di fronte a contestazioni fondate su un quadro presuntivo serio, è necessario fornire prove concrete e sostanziali della realtà delle operazioni, andando ben oltre la mera documentazione formale.

Chi deve provare inizialmente che una fattura è falsa?
L’onere iniziale spetta all’Amministrazione Finanziaria, la quale può dimostrare la fittizietà dell’operazione anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, senza necessità di una prova diretta.

Cosa succede una volta che l’Agenzia delle Entrate ha fornito un quadro indiziario solido?
L’onere della prova si sposta sul contribuente. A questo punto, è il contribuente che deve dimostrare con prove concrete che le operazioni contestate sono state effettivamente realizzate e sono inerenti all’attività d’impresa.

Il giudice può ignorare alcuni indizi e basare la sua decisione solo sulla mancanza di prove dirette come intercettazioni o dichiarazioni?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice di merito deve compiere una valutazione complessiva e sintetica di tutti gli elementi presuntivi forniti, non una valutazione atomistica. Gli indizi si rafforzano a vicenda e devono essere considerati nel loro insieme per verificare se costituiscono una prova valida.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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