Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 471 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 471 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 21556/2016 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, come da procura a margine del ricorso per cassazione, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 3464/36/16, depositata in data 10 giugno 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio de ll’8 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La società RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di commercio di rottami e materiali di recupero, aveva impugnato l’avviso di accertamento n. TMB032L00395/2013, ai fini delle imposte dirette, Iva e Irap relative all’anno di imposta 2007, scaturito da una verifica della Guardia di Finanza nei confronti della C.M.F. di COGNOME COGNOME ritenuta società cartiera, con il quale l’Ufficio aveva contestato l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla società cartiera per euro 147.542,10, ritenuti costi indeducibili, con indetraibilità della relativa Iva, e aveva determinato il maggior reddito d’impresa e le maggiori imposte dovute.
La Commissione tributaria provinciale di Milano, con sentenza n. 3907/44/2015, aveva respinto il ricorso ritenendo legittimo l’accertamento e non provata dalla società contribuente l’esistenza delle operazioni sottostanti alle fatture.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società contribuente, per quel che rileva in questa sede, sulla base delle seguenti considerazioni:
-) la doglianza sul difetto di preventivo contraddittorio era infondata trattandosi di accertamento scaturito da una segnalazione della Guardia di Finanza e non da accessi, ispezioni o verifiche nei confronti della contribuente destinataria;
-) era emerso, nel corso della verifica, che il fatturante cedente delle merci, la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME era sfornito di adeguate sedi per lo
stoccaggio, idonei mezzi di trasporto, personale dipendente, trasportatori e posizioni contributive e lo stesso titolare della C.M.F. di COGNOME aveva dichiarato di non aver mai svolto attività commerciale e la società contribuente aveva ammesso, in sede contenziosa, che la suddetta ditta relativamente alle cessioni oggetto delle fatture aveva svolto soltanto attività di intermediazione commerciale;
-) la prova, fornita dall’Amministrazione, che la cessione non era stata effettivamente effettuata dal fatturante perché sfornito della dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituiva idoneo elemento sintomatico dell’assenza di buona fede della contribuente cessionaria e l’immediatezza dei rapporti (cedente fatturante – cessionario) induceva ad escludere in via presuntiva – a fronte di una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica – l’ignoranza incolpevole del cessionario circa l’avvenuto versamento dell’Iva a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta;
-) la società contribuente non aveva fornito nessun elemento di prova concreta utile, al di là delle circostanze non significative della ricezione e del pagamento della merce, nonché dell’avvenuta rivendita della stessa, attenendo in realtà le contestate fatture a differenti rapporti economici intercorsi tra la suddetta e la cartiera emittente (intermediazione commerciale);
-) l’effettività della cessione e il pagamento del corrispettivo non costituivano condizioni sufficienti per escludere la ricorrenza di operazioni soggettivamente inesistenti, in relazione alle quali il corrispettivo era stato pagato a un soggetto non legittimato alla rivalsa e non obbligato al pagamento dell’imposta ed, in ogni caso, trattandosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, veniva meno l’inerenza dell’operazione all’attività del soggetto
economico, normativamente prevista dall’articolo 19, comma 1, del d.P.R. n. 633/72.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 2 e dell’art. 12, comma 7 della legge n. 212/2000, dell’art. 32 del d.P.R. n. 600/73 e dell’art. 51 del d.P.R. n. 633/72. La sentenza di appello era censurabile dal momento che l’eccezione formulata in sede di ricorso e ribadita in appello non consisteva nel fatto che la verifica nei confronti del fornitore non potesse legittimare l’accertamento, quanto nel fatto che l’Ufficio, a seguito della verifica nei confronti di un soggetto terzo (fornitore), avesse proceduto direttamente alla notifica dell’avviso di accertamento senza preventivamente comunicare al contribuente accertato i rilievi formulati a suo carico, così da consentire allo stesso, nel rispetto del principio del contraddittorio, di presentare le proprie osservazioni e deduzioni ai sensi dell’art. 12 della legge n. 212/2000. Nel caso di specie, infatti, la società contribuente senza che l’Ufficio formalizzasse i suoi rilievi attraverso la redazione di un processo verbale di constatazione, si era vista notificare un atto impositivo senza alcun preventivo contraddittorio ed esclusivamente sulla base di elementi derivanti da indagini fiscali effettuate nei confronti di un soggetto terzo. La violazione della disposizione contenuta nell’art. 12, comma 7 dello Statuto del contribuente, concretandosi nella violazione del principio della partecipazione del contribuente al procedimento di accertamento, determinava l’illegittimità dell’atto impositivo, dal momento che tale norma, oltre a
garantire il diritto di difesa del contribuente, era posta a tutela del corretto svolgimento della funzione di accertamento, con la conseguenza che la sua violazione determinava la nullità dell’atto di accertamento in quanto emesso con un procedimento di formazione non conforme allo schema previsto dalla legge.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 Questa Corte è costante nell’affermare che, nelle ipotesi in cui l’avviso di accertamento ha come oggetto tributi non armonizzati (Irpef e Irap) determinati «a tavolino», ossia presso gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria su base documentale, nessuna norma prevede l’obbligo di contraddittorio a pena di invalidità; mentre, se ha per oggetto un tributo armonizzato (come l’Iva), la mancata instaurazione del pur doveroso contraddittorio non può ritenersi causa d’invalidità dell’atto accertativo qualora il contribuente non abbia allegato cosa avrebbe fatto valere in sede amministrativa ove il contraddittorio endoprocedimentale fosse stato attivato (Cass., 1 aprile 2022, n. 10564; Cass., 27 gennaio 2023, n. 2585).
1.3 Specificamente è stato affermato che, in relazione ai tributi «armonizzati», affinché il difetto di contraddittorio endoprocedimentale determini la nullità del provvedimento conclusivo del procedimento impositivo, non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto (Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823, e tra le
tante: Cass., 10 marzo 2021, n. 6619; Cass., Cass., 27 maggio 2021, n. 14723).
1.4 Mette conto rilevare che, la Corte Costituzionale, di recente, con la sentenza 21 marzo 2023, n. 47, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, affermando che in materia di contraddittorio endoprocedimentale, di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti.
1.5 Inoltre, « In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 39, primo comma, lett. c), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta «dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti», da cui derivino presunzioni semplici, desumibili anche da documentazione extracontabile ed in particolare da «contabilità in nero», costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta » (Cass., 11 luglio 2016, n. 14150; Cass., 24 settembre 2014, n. 20094) ed ancora « In tema d’IVA, l’Amministrazione, anche nel caso di regolarità formale della contabilità, può disconoscere la detrazione in ragione di presunzioni semplici basate su dati e notizie apprese da terzi o su accertamenti effettuati presso terzi, atteso l’ampio potere conoscitivo della posizione fiscale, riconosciuto dalla legge e limitato
solo dal rispetto dei diritti costituzionali, con conseguente inversione dell’onere della prova, essendo il contribuente tenuto a dare prova dell’infondatezza della pretesa erariale » (Cass.,16 settembre 2016, n. 18232).
1.6 Ciò posto, nel caso di specie, l’avviso di accertamento è scaturito dalla verifica posta in essere nei confronti di un soggetto terzo (la società RAGIONE_SOCIALE, senza alcun accesso presso i locali del contribuente. Pertanto, per la parte dell’avviso d’accertamento impugnato che si riferisce a tributi «non armonizzati» (imposte dirette e Irap) non vi era alcun obbligo di contraddittorio, non essendo specificamente previsto nella legge istitutiva dei tributi indicati, mentre, per la parte relativa all’Iva, la società contribuente ha lamentato solo genericamente l’omissione del contraddittorio, senza indicare (nemmeno in questa sede) quali ragioni avrebbe potuto dedurre se il chiesto contraddittorio si fosse effettivamente svolto.
Il secondo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/73, dell’art. 54 del d.P.R. n. 633/72 e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ.. La sentenza impugnata era errata per la mancata affermazione del principio secondo cui anche nel caso in cui sia contestata l’indebita deduzione di costi documentati da fatture ritenute riferibili ad operazioni inesistenti l’onere di provare l’inesistenza oggettiva o soggettiva delle operazioni incombe sull’Amministrazione finanziaria anche sotto il profilo della dimostrazione della consapevole partecipazione del cessionario al comportamento evasivo posto in essere dal cedente. In base al combinato disposto dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/73 e dell’art. 54 del d.P.R. n. 633/72, qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamente inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non era stata posta in essere (o almeno nei termini documentati) incombeva
sull’Amministrazione finanziaria che aveva addotto la falsità del documento.
2.1 Il motivo è infondato.
2.2 Deve richiamarsi, al riguardo, l’orientamento di questo Corte secondo cui « qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto » (cfr. Cass., 31 gennaio 2022, n. 2922; Cass., 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27566).
2.3 Più in particolare, l’Amministrazione finanziaria, ove contesti al cessionario/committente l’assenza di buona fede in caso di irregolarità fiscali o di evasione, ha l’onere di allegare e provare gli elementi probatori su cui si fonda la contestazione, tra i quali possono rilevare, in via indiziaria, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione.
In tal caso, conseguentemente, grava in capo al contribuente l’onere di provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione non fosse il fatturante ma altri (Cass., 12 ottobre 2021, n. 27745, richiamata anche dalla società ricorrente nella memoria; Cass., 28 giugno 2018, n. 17173; Cass., 15 dicembre 2017, n. 30148).
2.4 Ciò posto, il giudice tributario di merito, investito della controversia avente ad oggetto l’atto impositivo, deve previamente valutare, con giudizio di fatto censurabile in cassazione solo per vizi attinenti alla congruità ed alla coerenza logica della motivazione, la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, esaminandoli sia singolarmente sia nel loro complesso, ed esponendo adeguatamente l’esito di tale giudizio nella motivazione della sentenza. Quando egli ritiene, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità (non necessariamente di certezza), che detti indizi sono sufficienti a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, con riguardo, nel caso delle frodi carosello, all’esistenza dell’organizzazione fraudolenta, alla partecipazione ad essa del contribuente o, quanto meno, alla consapevolezza da parte sua di avvantaggiarsi della frode con danno dell’erario, la domanda dell’amministrazione deve ritenersi provata; con la conseguenza che si sposta a carico del contribuente, secondo la regola generale ricavabile dall’ art. 2727 cod. civ. e ss., e dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ., l’onere di provare eventuali fatti a suo favore; la mancata deduzione di idonea prova contraria, fin dall’atto introduttivo del giudizio, o l’insuccesso di essa, comportano l’accoglimento della pretesa del fisco fondata su valide presunzioni. In tale contesto, le dichiarazioni rilasciate da terzi, le risultanze delle indagini condotte nei confronti di altre società, gli atti trasmessi dalla guardia di finanza, risultanti dall’attività di polizia giudiziaria, senza esclusione di altri atti, se contenuti negli atti (come il processo verbale di constatazione)
allegati all’avviso di rettifica notificato o trascritti essenzialmente nella motivazione dello stesso, costituiscono parte integrante del materiale indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza.
2.5 La Commissione tributaria regionale ha fatto corretta applicazione dei principi suesposti e, con un accertamento in fatto, non sindacabile in questa sede, ha affermato che la circostanza che la cessione non era stata effettivamente effettuata dal fatturante perché sfornito della dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituiva idoneo elemento sintomatico dell’assenza di buona fede della contribuente cessionaria e che l’immediatezza dei rapporti escludeva in via presuntiva (a fronte di una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica) l’ignoranza incolpevole del cessionario circa l’avvenuto versamento dell’Iva a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta; i giudici di secondo grado hanno pure messo in evidenza che, a fronte di ciò, la società contribuente non aveva fornito nessun elemento di prova concreta utile, al di là delle circostanze non significative della ricezione e del pagamento della merce, nonché dell’avvenuta rivendita della stessa, attenendo in realtà le contestate fatture a differenti rapporti economici intercorsi tra la suddetta e la cartiera emittente (intermediazione commerciale) e che né l’effettività della cessione, nè il pagamento del corrispettivo costituivano condizioni sufficienti per escludere la ricorrenza di operazioni soggettivamente inesistenti, in relazione alle quali il corrispettivo era stato pagato a un soggetto non legittimato alla rivalsa e non obbligato al pagamento dell’imposta (cfr. pagine 3 e 4 della sentenza impugnata).
2.6 Peraltro, deve essere rilevato come la contribuente nemmeno sembra cogliere la ratio decidendi dell’impugnata sentenza, in particolare laddove la CTR ha in fatto accertato che le operazioni in contestazione erano soggettivamente inesistenti, facendo da ciò
discendere la corretta applicazione dei principi appena sopra spiegati; in effetti, la contribuente, nella sua censura, fa invero riferimento alla diversa fattispecie delle operazioni oggettivamente inesistenti, senza però dolersi in modo specifico di quanto la CTR ha invece stabilito essere stata la natura delle operazioni poste alla base della ripresa.
3. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 8 novembre 2023.