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Onere della prova e frodi IVA: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19140/2025, ha cassato la sentenza di merito che aveva annullato un avviso di accertamento per IVA. Il caso riguardava operazioni soggettivamente inesistenti con una società ‘cartiera’. La Corte ha ribadito che, una volta forniti dall’Amministrazione finanziaria indizi gravi, precisi e concordanti sulla natura fittizia del fornitore, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza, non essendo sufficiente la prova della mera ricezione della merce.

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Pubblicato il 22 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova nelle Frodi IVA: Buona Fede Sotto Esame

L’ordinanza n. 19140/2025 della Corte di Cassazione riaccende i riflettori su un tema cruciale del diritto tributario: l’onere della prova in caso di operazioni soggettivamente inesistenti. La Suprema Corte ha chiarito che, di fronte a solidi indizi che qualificano un fornitore come ‘società cartiera’, non basta al contribuente dimostrare di aver ricevuto la merce per provare la propria buona fede. È necessario dimostrare di aver agito con la massima diligenza possibile.

I Fatti di Causa

Il caso nasce da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società per azioni. L’Amministrazione contestava la detrazione dell’IVA relativa a numerose fatture emesse da una ditta individuale, ritenuta una ‘società cartiera’. Le indagini avevano rivelato che tale ditta era priva di una struttura organizzativa, non presentava dichiarazioni fiscali, non versava l’IVA e il suo titolare era completamente all’oscuro del settore merceologico di riferimento.

Nonostante questi elementi, sia la commissione di primo grado che quella regionale avevano dato ragione al contribuente. I giudici di merito avevano ritenuto che la società avesse agito in buona fede, basandosi sulla prova che la materia prima fatturata era stata effettivamente utilizzata nel ciclo produttivo. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione delle regole sull’onere della prova.

La Ripartizione dell’Onere della Prova secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza e rinviando la causa alla commissione tributaria regionale per un nuovo esame. Il punto centrale della decisione riguarda la corretta applicazione dei principi che regolano l’onere della prova nelle frodi carosello e nelle operazioni soggettivamente inesistenti.

Il ruolo dell’Amministrazione Finanziaria

In primo luogo, spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, anche tramite presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, che l’operazione nasconde una frode. Gli elementi portati a sostegno nel caso di specie erano schiaccianti:
* Omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali da parte del fornitore.
* Mancata tenuta dei libri contabili.
* Assenza totale di una struttura aziendale (mezzi, dipendenti, locali).
* Titolare privo di competenze tecniche e incapace di fornire dettagli sui propri clienti o fornitori.

Questi indizi, secondo la Corte, sono sufficienti a dimostrare la natura di ‘cartiera’ del fornitore e a far sorgere un fondato dubbio sulla regolarità dell’operazione.

Il dovere del Contribuente

Una volta che l’Ufficio ha assolto al suo onere probatorio, la palla passa al contribuente. A questo punto, non è più sufficiente affermare la propria buona fede o dimostrare l’effettiva consegna della merce. Il contribuente deve fornire la prova contraria, ossia dimostrare di aver agito con la ‘massima diligenza esigibile’ da un operatore accorto per non essere coinvolto nella frode. In altre parole, deve provare di aver fatto tutto il possibile per verificare l’affidabilità e la reale esistenza del proprio fornitore.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha censurato la decisione dei giudici di merito perché hanno erroneamente trascurato la mole di indizi forniti dall’Agenzia. La sentenza impugnata ha invertito l’onere della prova, richiedendo all’Ufficio un’ulteriore prova della malafede del contribuente, quando invece, a fronte di tali indizi, sarebbe stato compito di quest’ultimo dimostrare la propria estraneità alla frode.

I giudici di legittimità hanno ribadito un principio consolidato: la prova del reale utilizzo della merce non è, di per sé, sufficiente a dimostrare la buona fede, poiché non esclude la consapevolezza dell’acquirente di partecipare a un’operazione fraudolenta. La valutazione della buona fede non può basarsi su un singolo elemento (l’uso dei beni), ma deve considerare tutte le circostanze del caso, inclusa la diligenza adoperata nei controlli sul partner commerciale. L’aver ignorato gli evidenti ‘campanelli d’allarme’ sulla natura fittizia del fornitore costituisce una violazione dei doveri di diligenza professionale.

Le Conclusioni

In conclusione, l’ordinanza rafforza il principio secondo cui la lotta all’evasione fiscale richiede una partecipazione attiva e diligente da parte di tutti gli operatori economici. Le aziende non possono limitarsi a una verifica formale dei propri fornitori. Di fronte a elementi che possono far sorgere dubbi sulla loro reale operatività, è necessario attivare controlli più approfonditi. La sentenza chiarisce che l’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti segue un percorso logico preciso: l’Amministrazione fornisce gli indizi della frode, e il contribuente, per salvarsi, deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per non esserne coinvolto. La semplice buona fede, intesa come mera ignoranza, non è uno scudo sufficiente.

A chi spetta l’onere della prova in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
Inizialmente spetta all’Amministrazione finanziaria, che deve fornire elementi presuntivi (indizi gravi, precisi e concordanti) per dimostrare che il fornitore è una società fittizia (‘cartiera’) e che l’operazione si inserisce in un contesto di evasione. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente.

Cosa deve dimostrare il contribuente per non essere ritenuto partecipe della frode?
Il contribuente deve fornire la prova contraria, dimostrando di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per verificare l’affidabilità del fornitore e non essere coinvolto nell’operazione fraudolenta. Deve provare di ‘non sapere e di non aver potuto sapere’ della frode, usando l’ordinaria diligenza professionale.

La prova di aver ricevuto e utilizzato la merce è sufficiente a dimostrare la buona fede?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la prova dell’effettività dell’acquisto e dell’utilizzo dei beni non è, da sola, sufficiente a dimostrare la buona fede del contribuente, specialmente quando l’Amministrazione finanziaria ha fornito prove consistenti sulla natura fittizia del fornitore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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