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Onere della prova e fatture false: la Cassazione

Una società si vede contestare costi per fatture ritenute oggettivamente inesistenti. I giudici di merito le danno ragione basandosi sulla buona fede e sulla regolarità contabile. La Cassazione, con ordinanza 5342/2024, ribalta la decisione, chiarendo che in questi casi l’onere della prova grava sul contribuente, che non può limitarsi a esibire documenti formali. La buona fede è irrilevante se l’operazione non è mai avvenuta.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova e Fatture False: la Cassazione fa Chiarezza

L’ordinanza n. 5342/2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale del diritto tributario: l’onere della prova in caso di contestazioni su fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. La decisione ribadisce principi consolidati, sottolineando come la regolarità contabile e la buona fede del contribuente non siano sufficienti a superare gli indizi di frode forniti dall’Amministrazione Finanziaria.

I Fatti del Caso

Una società operante nel settore agricolo si vedeva recapitare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di costi e la detraibilità dell’IVA relative a quattro fatture ricevute da un fornitore di prodotti vinosi. Secondo il Fisco, tali operazioni erano, almeno in parte, oggettivamente inesistenti.

L’accertamento si basava su una verifica della Guardia di Finanza che aveva fatto emergere una frode fiscale da parte della ditta fornitrice. Un elemento chiave era la dichiarazione dell’autista indicato su un documento di trasporto, il quale aveva negato di aver mai effettuato il viaggio per la consegna della merce.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale accoglievano le ragioni della società contribuente. I giudici di merito ritenevano che la società avesse fornito prove adeguate della regolarità e dell’effettività delle operazioni (registrazione delle fatture, fotocopie dei documenti di trasporto, pagamenti tracciabili con assegni) e che avesse agito in buona fede, non essendo dimostrata la sua consapevolezza del comportamento fraudolento del fornitore.

Il Ribaltamento dell’Onere della Prova secondo la Cassazione

L’Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione, lamentando l’errata applicazione delle norme sull’onere della prova. La Suprema Corte ha accolto il motivo, ritenendolo fondato e cassando la sentenza d’appello.

Il principio cardine riaffermato dai giudici è che, di fronte a indizi gravi, precisi e concordanti forniti dall’Amministrazione Finanziaria circa la fittizietà di un’operazione, l’onere della prova si inverte e passa interamente al contribuente. Non è più il Fisco a dover dimostrare la frode, ma è l’azienda a dover provare, con elementi concreti e inoppugnabili, che la transazione commerciale contestata è realmente avvenuta.

L’Irrilevanza della Buona Fede e dei Documenti Formali

La Corte ha smontato la linea difensiva basata sulla correttezza formale e sulla buona fede, argomentando che tali elementi sono inefficaci nel contesto di operazioni oggettivamente inesistenti.

I giudici hanno chiarito che l’esibizione di fatture, registrazioni contabili e mezzi di pagamento tracciabili non costituisce prova sufficiente. Anzi, questi documenti sono proprio gli strumenti tipicamente utilizzati in uno schema fraudolento per creare un’apparenza di realtà. Pertanto, non possono da soli vincere le presunzioni contrarie sollevate dal Fisco.

Inoltre, la buona fede del contribuente è un concetto che non trova applicazione quando l’operazione è oggettivamente inesistente. Se una fornitura di beni o una prestazione di servizi non è mai avvenuta, il soggetto che ha ricevuto la fattura ne è necessariamente consapevole. La buona fede può essere valutata, semmai, solo nei casi di inesistenza soggettiva, dove l’operazione è reale ma intercorre tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale. L’Amministrazione Finanziaria può basare il proprio accertamento anche su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Una volta forniti tali elementi indiziari (nel caso di specie, la testimonianza dell’autista e il contesto di frode del fornitore), scatta l’inversione dell’onere della prova. Il giudice di merito, prima di valutare la prova contraria del contribuente, deve esaminare analiticamente gli indizi forniti dal Fisco. La Corte Regionale aveva errato nel non compiere questa disamina, soffermandosi unicamente sulla presunta buona fede della società e sulla regolarità formale dei suoi documenti, elementi ritenuti dalla Cassazione non significativi e insufficienti a dimostrare l’effettività dell’operazione.

Le Conclusioni

L’ordinanza rafforza un principio fondamentale a tutela dell’Erario: la lotta all’evasione tramite fatture false richiede un approccio rigoroso nella valutazione delle prove. Per le imprese, la lezione è chiara: la mera regolarità contabile e la tracciabilità dei pagamenti non bastano a mettersi al riparo da contestazioni fiscali. È indispensabile essere in grado di fornire prove concrete e materiali dell’avvenuta esecuzione delle prestazioni o della consegna dei beni. La decisione della Cassazione impone quindi un livello di diligenza superiore nella gestione dei rapporti con i fornitori e nella conservazione della documentazione a supporto delle operazioni commerciali.

In caso di contestazione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, su chi grava l’onere della prova?
Una volta che l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti che suggeriscono la non esistenza dell’operazione, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare l’effettiva esistenza della transazione.

La semplice esibizione di fatture, registrazioni contabili e pagamenti è sufficiente a provare che un’operazione è realmente avvenuta?
No. Secondo la Corte, questi elementi formali non sono sufficienti a superare le presunzioni di inesistenza fornite dall’Agenzia delle Entrate, poiché vengono normalmente utilizzati proprio per far apparire reale un’operazione fittizia.

La buona fede del contribuente è rilevante quando viene contestata l’esistenza oggettiva di un’operazione?
No. La Corte chiarisce che, se l’operazione non è mai avvenuta (inesistenza oggettiva), non si può configurare la buona fede del contribuente, il quale sa se ha effettivamente ricevuto o meno il bene o la prestazione fatturata. La buona fede è rilevante solo nei casi di inesistenza soggettiva (operazione reale ma con parti diverse da quelle indicate).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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