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Onere della prova e dazi doganali: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha chiarito l’onere della prova in contenziosi su dazi doganali antidumping. Annullando una sentenza di merito, ha stabilito che i rapporti di indagine dell’OLAF (Ufficio europeo per la lotta antifrode) hanno piena valenza probatoria, spostando sul contribuente l’onere di dimostrare il contrario. La Corte ha inoltre definito in modo restrittivo le condizioni per invocare la buona fede, la quale richiede un errore attivo da parte delle autorità doganali e non la semplice fiducia in certificati d’origine poi rivelatisi falsi.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova nei Dazi Doganali: la Cassazione Chiarisce il Valore dei Rapporti OLAF

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale del diritto doganale: l’onere della prova in caso di contestazioni sull’origine delle merci e sull’applicazione di dazi antidumping. La decisione chiarisce il valore probatorio delle indagini condotte dall’Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode (OLAF) e restringe notevolmente i confini della “buona fede” invocabile dall’importatore. Il caso riguardava una società che aveva importato beni dichiarandoli provenienti da un paese con dazi agevolati, mentre l’Agenzia delle Dogane, sulla base di un rapporto OLAF, ne contestava la reale provenienza, assoggettandoli a dazi ben più onerosi. La questione centrale è diventata stabilire chi dovesse provare cosa.

I Fatti: L’Importazione Contesa e le Indagini Antifrode

Una società importatrice, assistita da uno spedizioniere doganale, introduceva in Italia merci (viteria) dichiarando come paese d’origine le Filippine, beneficiando così di un regime daziario preferenziale. L’Agenzia delle Dogane, tuttavia, riceveva una segnalazione dall’OLAF che indicava come i prodotti fossero in realtà fabbricati a Taiwan, un paese soggetto a dazi antidumping, e solo transitati per le Filippine per eludere tali dazi.

Sulla base di queste informazioni, l’Amministrazione procedeva alla revisione delle dichiarazioni doganali, emettendo avvisi di rettifica per il recupero dei maggiori dazi e atti di irrogazione delle sanzioni sia nei confronti dell’importatore sia dello spedizioniere. Le società si opponevano, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado. I giudici di merito ritenevano che l’Agenzia non avesse fornito prove sufficienti, limitandosi a richiamare i rapporti OLAF e la revoca dei certificati da parte delle autorità filippine, senza dimostrare la frode o la malafede delle società importatrici.

L’Onere della Prova: Chi Deve Dimostrare l’Origine delle Merci?

La Corte di Cassazione ha ribaltato la prospettiva dei giudici di merito, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Dogane su questo punto cruciale. I giudici supremi hanno riaffermato un principio consolidato: gli accertamenti e i rapporti redatti dagli organi esecutivi dell’OLAF hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari. Questi atti, equiparabili ad atti pubblici, costituiscono una prova sufficiente per l’amministrazione doganale.

Di conseguenza, l’onere della prova si inverte: una volta che l’Agenzia fonda la sua pretesa su tali rapporti, spetta al contribuente (l’importatore) fornire la prova contraria per contestarne il fondamento. Non è l’Amministrazione a dover specificare ogni singolo riscontro investigativo, ma è l’operatore a dover dimostrare, con prove concrete, la correttezza della propria dichiarazione e la reale origine delle merci.

La Buona Fede dell’Importatore e i Suoi Stretti Limiti

Un altro punto fondamentale della decisione riguarda l’esenzione dal recupero dei dazi per “buona fede” dell’operatore, prevista dall’art. 220 del Codice Doganale Comunitario. La Corte di Cassazione ha sottolineato che questa esenzione è soggetta a condizioni molto rigorose e cumulative:

1. Errore attivo dell’autorità doganale: L’errore che ha causato il mancato pagamento dei dazi deve essere direttamente imputabile a un comportamento attivo delle autorità competenti, non alla mera ricezione passiva di dichiarazioni inesatte fornite dall’esportatore.
2. Errore non riconoscibile: L’errore deve essere tale da non poter essere ragionevolmente scoperto da un operatore diligente e con esperienza.
3. Rispetto delle norme: L’operatore deve aver rispettato tutte le disposizioni normative previste per la sua dichiarazione in dogana.

Nel caso specifico, i giudici hanno chiarito che la fiducia riposta in certificati di origine, poi rivelatisi falsi, non è sufficiente a integrare la buona fede. Un importatore professionale, infatti, ha un dovere di diligenza qualificata che lo obbliga a verificare, nei limiti del possibile, l’attendibilità delle informazioni fornite dall’esportatore, specialmente quando esistono dubbi o indagini in corso, come quelle dell’OLAF.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha cassato la sentenza d’appello perché il giudice di merito ha errato nell’invertire l’onere della prova, addossandolo all’Agenzia delle Dogane nonostante la presenza di solidi elementi probatori forniti dall’OLAF. I rapporti dell’ufficio antifrode, inclusi documenti e informazioni raccolte durante le indagini, sono utilizzabili come prove e non possono essere svalutati a mere asserzioni. Inoltre, la Corte ha censurato la valutazione sulla buona fede, ritenendola superficiale. I giudici di appello non hanno verificato la sussistenza delle rigide condizioni cumulative previste dalla normativa comunitaria, in particolare l’assenza di un errore attivo delle autorità doganali. Hanno erroneamente presunto la buona fede delle società senza accertare se queste avessero adottato la diligenza richiesta a un operatore professionale per sincerarsi della veridicità delle dichiarazioni doganali.

Le Conclusioni: Implicazioni per Importatori e Spedizionieri

L’ordinanza della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, rafforza il valore probatorio delle indagini OLAF, rendendo più difficile per gli importatori contestare gli accertamenti doganali basati su di esse. In secondo luogo, ribadisce che la buona fede non è uno scudo automatico: gli operatori del settore devono dimostrare un comportamento proattivo e diligente nella verifica delle informazioni sull’origine delle merci. Affidarsi ciecamente ai documenti forniti dall’esportatore non è sufficiente per evitare il recupero dei dazi e l’applicazione di sanzioni. Infine, viene confermata la responsabilità solidale dello spedizioniere doganale che agisce come rappresentante indiretto, il quale è anch’esso debitore dell’obbligazione doganale.

Che valore probatorio hanno i rapporti dell’OLAF (Ufficio europeo per la lotta antifrode) in un contenzioso doganale?
Secondo la Corte di Cassazione, i rapporti e gli accertamenti compiuti dall’OLAF hanno piena valenza probatoria. Sono considerati atti dotati di fede pubblica e sono sufficienti a fondare la pretesa dell’amministrazione doganale, invertendo l’onere della prova a carico del contribuente.

Quando un importatore può invocare la propria buona fede per evitare il pagamento a posteriori di dazi doganali non versati?
L’importatore può invocare la buona fede solo se dimostra la sussistenza di tre condizioni cumulative: 1) un errore attivo imputabile alle autorità doganali (non la semplice accettazione di documenti falsi); 2) l’errore non era ragionevolmente riconoscibile da un operatore diligente; 3) l’importatore ha rispettato tutte le normative vigenti. La semplice fiducia in un certificato d’origine inesatto non è sufficiente.

In caso di false dichiarazioni sull’origine della merce, anche lo spedizioniere doganale (rappresentante indiretto) è responsabile del pagamento dei dazi?
Sì. L’ordinanza conferma che il soggetto che emette dichiarazioni doganali in rappresentanza indiretta (agendo in nome proprio ma per conto dell’importatore) è considerato dichiarante ed è solidalmente responsabile con il suo mandante per il pagamento dell’obbligazione doganale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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