Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34733 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34733 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4713/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
-ricorrente contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO FIRENZE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. SICILIA SEZ.DIST. CATANIA n. 759/2015 depositata il 27/02/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento n. RJ801A401362/2005, notificato il 29/11/2005, l’Ufficio di Catania dell’Agenzia delle Entrate rettificava, ai sensi degli articoli 39 e 41 bis D.P.R.600/1973, la dichiarazione modello unico 2004, relativa all’anno 2003, presentata dal sig. NOME COGNOME accertando un maggior reddito d’impresa, una maggiore Irap ed irrogando le relative sanzioni.
1.1. Con l’atto in questione, che trovava innesco nel processo verbale di constatazione del 29/07/2005, redatto da funzionari dello stesso Ufficio, venivano recuperati a tassazione, ex art. 76 comma 7bis T.u.i.r., costi indeducibili di complessivi euro 2.871.288,00 per acquisti da Hong Kong, Paese avente regime a fiscalità privilegiata incluso nell’elenco di cui all’art. 1 del D.M. 23/01/2002, come modificato dal successivo decreto del 22/3/2002.
1.2. L’Ufficio, in particolare, rilevava la non separata indicazione dei predetti costi negli appositi righi della dichiarazione dei redditi (RF23 e RF35) richiesta dal comma 7ter dell’art. 76 T.u.i.r. e il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’impresa residente in relazione all’effettivo svolgimento, da parte delle imprese estere, dell’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni economiche poste in essere rispondessero ad un effettivo interesse economico.
Il contribuente impugnava detto atto impositivo avanti alla CTP di Catania, eccependone la illegittimità, ed in particolare evidenziando i) di avere proceduto alla regolarizzazione della dichiarazione tramite presentazione di dichiarazione integrativa in data 28/10/2005 e ii) che, comunque, la contestata omissione deve ritenersi “puramente formale”. Il ricorso del contribuente veniva accolto dalla Commissione provinciale, con pronuncia che veniva confermata, con rigetto dell’appello erariale, dalla CTR della Sicilia -Sezione Staccata di Catania con la sentenza in epigrafe indicata.
Avverso la predetta sentenza ricorre l’Agenzia delle entrate, con quattro motivi.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
Il Pubblico ministero, in persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte, chiedendo rigettarsi il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 110, comma 10 (ex art. 76 vigente ratione temporis ) T.u.i.r., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.», censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto illegittimi i rilievi fiscali dell’Ufficio e ha riconosciuto la deducibilità dei costi derivanti dalle operazioni svolte dal contribuente con Paesi a fiscalità privilegiata (nella specie Hong Kong).
1.2. L’Agenzia delle Entrate deduce che il suddetto capo della decisione sarebbe frutto di un’erronea valutazione delle risultanze istruttorie, in quanto né la CTR, né la CTP avrebbero valutato accuratamente i rilievi dell’Ufficio, ma, spogliandosi del potere di decidere, avrebbero aderito alle conclusioni della consulenza tecnica esperita in primo grado, da ritenersi esplorativa, in quanto diretta alla ricerca di elementi di fatto o circostanze non provati.
1.3. Secondo la prospettazione dell’Amministrazione ricorrente, contrariamente a quanto affermato dai giudici del merito, il contribuente non avrebbe fornito elementi sufficienti a superare la presunzione di elusività di cui all’art. 76 T.u.i.r.; gli elementi forniti porterebbero, anzi, alla conclusione che la scelta di avvalersi della società estera sia stata motivata proprio dalla volontà di conseguire i benefici fiscali, donde l’erroneità della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 2, commi 8 e 8 bis d.P.R. 322/98, dell’art. 110, comma 10 (ex art. 76 vigente ratione temporis) T.u.i.r., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.», l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di appello hanno affermato la natura di violazione meramente formale dell’omissione della separata indicazione dei costi nell’apposito riquadro della dichiarazione dei redditi – modello unico 2004, osservando che, conseguentemente, la dichiarazione integrativa presentata dal
contribuente avrebbe prodotto efficacia sanante della mancata indicazione dei costi.
2.1. La difesa erariale contesta tale affermazione, rilevando che la disciplina di cui all’art. 76, comma 7ter T.u.i.r. impone al contribuente l’onere di fornire la prova che le imprese in Paesi ‘black list’ svolgano prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico, e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione e che nel caso di specie, in assenza di questa prova, i costi sostenuti non avrebbero potuto essere ammessi in deduzione, indipendentemente dalla distinta indicazione nella dichiarazione dei redditi. Di conseguenza, anche una tempestiva presentazione della dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 2 commi 8 e 8 bis DPR 322/98 non varrebbe a sanare, nella fattispecie, la mancata indicazione dei costi nella dichiarazione originaria, stante, fra l’altro, la mancanza delle prove richieste dalle norme richiamate.
2.2. Inoltre, osserva l’Amministrazione, la dichiarazione integrativa sarebbe stata presentata in data 28 ottobre 2005, successivamente all’accesso mirato eseguito in data 29 luglio 2005, come risulterebbe dal PVC redatto in tre copie, di cui una consegnata alla parte, che lo ha sottoscritto, donde la sua inefficacia sanante.
I motivi, da trattarsi congiuntamente per la stretta connessione, sono fondati.
3.1. All’epoca dei fatti trovava applicazione l’art. 1 del d.m. 23/01/2002 (“indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate in Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato”), che disponeva che «Ai fini dell’applicazione dell’art. 76, comma 7-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, quale risulta modificato dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 21
novembre 2000, n. 342, si considerano Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato: (…) Hong Kong».
L’art. 76 comma 7 bis del d.p.r. 917/1986, poi confluito nell’art. 110 del medesimo d.p.r., prevedeva che «Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stato o territori non appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati… individuati, con decreto del Ministero delle finanze…».
L’art. 76, comma 7 ter, stabiliva che «le disposizioni di cui al comma 7 bis non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondano ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione…, la deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al comma 7 bis è comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti».
3.2. La legge 296 del 2006 ha eliminato l’ultimo periodo del comma 7 ter, e quindi la subordinazione della deduzione dei costi alla indicazione separata degli stessi nella dichiarazione dei redditi, aggiungendo alla fine dell’art. 110 comma 11 d.p.r. 917/1986 (art. 1 comma 301 della legge 296/2006), la frase «Le spese e gli altri componenti negativi deducibili ai sensi del primo periodo sono separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi».
E’ stato altresì previsto, introducendo all’articolo 8 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, il comma 3-bis , che «Quando l’omissione o incompletezza riguarda l’indicazione delle spese e degli altri componenti negativi di cui all’articolo 110, comma 11, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applica una sanzione amministrativa pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle
spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50.000» e che «La disposizione del comma 302 si applica anche per le violazioni commesse prima della data di entrata in vigore della presente legge, sempre che il contribuente fornisca la prova di cui all’articolo 110, comma 11, primo periodo, del citato testo unico delle imposte sui redditi. Resta ferma in tal caso l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471».
3.3. Tale modifica del previgente regime di indeducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con soggetti domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata (cd. black list), prevista dall’art. 1, commi 301, 302 e 303 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha pertanto carattere retroattivo (Cass., 27 marzo 2015, n. 6205).
3.4. Anche la necessità della separata indicazione in dichiarazione dei costi della ‘black list’ è stata quindi abrogata dalla legge n. 296 del 27-12-2016, ma non con efficacia retroattiva.
3.5. Infine, il d.lgs. n. 417 del 2015 ha inoltre eliminato, ma solamente a decorrere dall’anno 2015, il requisito dello svolgimento di una attività commerciale effettiva. Si legge, infatti, nell’art. 110 commi 10 e 11 che «Le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale… . Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che… le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione». Non si rinviene più, quindi, il riferimento allo svolgimento effettivo di attività commerciale, ma solo a decorrere dal 2015. Infatti, l’art. 5 comma 4 del d.lgs. 14-9-2015 n. 147 prevedeva, poi, che «Le modifiche ai commi 10, 11 e 12 bis del
presente articolo si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del citato decreto».
3.6. Con riferimento all’epoca dei fatti (avendo valore retroattivo la legge n. 296 del 2006), quindi, occorre valutare se la presunzione di indeducibilità dei costi sia superata dal contribuente che riesca a dimostrare alternativamente: lo svolgimento di un’attività commerciale effettiva da parte della struttura organizzativa estera; la sussistenza di un effettivo interesse economico sottostante alle operazioni (v. Cass. 5264/2019).
3.7. È necessario, pertanto, dimostrare da parte del contribuente, con riferimento alla prima esimente, l’attività concretamente svolta dall’impresa estera, quindi l’esercizio di un’attività commerciale ai sensi dell’art. 2195 c.c., caratterizzata da una struttura organizzativa idonea allo svolgimento di tale attività.
Invero, per dimostrare l’effettivo svolgimento di attività economica occorre produrre l’atto di costituzione della società estera, il bilancio ed il certificato di iscrizione presso il registro delle imprese, nonché, anche in base alla circolare 23/05/2003 n. 29/E dell’Agenzia delle entrate, la copia del contratto in virtù del quale l’impresa estera ha la disponibilità dell’immobile, in cui esercita la sua attività, le fatture delle utenze elettriche e telefoniche, i contratti di lavoro dei dipendenti, gli estratti conto bancari, le autorizzazioni amministrative inerenti l’esercizio dell’attività svolta.
3.8. Quanto alla seconda esimente, ossia la dimostrazione dell’effettivo interesse economico, prevista in alternativa alla prima, è necessario valutare la “bontà” del risultato imprenditoriale conseguito, sicché occorre tenere conto di tutti gli elementi e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, attribuendo rilevanza alle condizioni complessive dell’operazione, e tenendo conto del prezzo stabilito negozialmente, della presenza di costi accessori della fornitura, dei tempi di consegna, dell’esistenza di vincoli contrattuali che inducono ad effettuare la transazione con il
fornitore inserito nella black list o comunque che renderebbero eccessivamente onerosa la transazione con altro fornitore (in tal senso anche la circolare n. 51/2010 dell’Agenzia delle entrate).
3.9. L’esame in ordine allo svolgimento di una attività commerciale effettiva da parte della società estera o la sussistenza di un effettivo interesse economico sottostante alle operazioni è stato effettuato in modo incompleto ed insufficiente dai giudici di appello, che non si sono conformati ai principi e criteri affermati da questa Corte.
La Commissione regionale si è limitata a rilevare, genericamente, che «i primi giudici con puntuale ed adeguata motivazione hanno correttamente osservato che le operazioni condotte con ditte estere con fiscalità privilegiata hanno rispettato i canoni previsti dalla legge cioè effettività ed economicità delle operazioni stesse».
Seguono nella sentenza ulteriori considerazioni, parimenti generiche e prive di collegamento con gli aspetti della fattispecie concreta che si sono indicati. I giudici di appello hanno sommariamente affermato che «un’operazione di fornitura non antieconomica è idonea ad integrare i requisiti previsti dalla legge per la deducibilità dei costi a prescindere dalla circostanza che il prezzo praticato dal fornitore sia più conveniente», che «non spetta al fisco a scegliere i fornitori in quanto ogni imprenditore può scegliere i fornitori più idonei sui fini commerciali», che «è evidente che le operazioni devono essere realmente esistenti e realizzate a condizioni di mercato ma in caso positivo non può avere fondamento il divieto delle deduzioni dei relativi costi».
Risultano, in conseguenza dell’accoglimento dei precedenti, assorbiti il terzo motivo di ricorso, rubricato «Nullità della sentenza per violazione di norme procedurali, con riferimento all’art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 546/92, nonché in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.», ed il quarto strumento di impugnazione, anch’esso indicato con il n. 3), e rubricato «Nullità
della sentenza per violazione di norme procedurali, con riferimento all’art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 547/92, nonché in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.».
5. In conclusione, accolti il primo e secondo motivo di ricorso ed assorbiti i restanti, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia -Sezione Staccata di Catania affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia Sezione Staccata di Catania affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27/11/2024.