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Onere della prova dazi: Cassazione e indagini OLAF

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Dogane in un caso di dazi antidumping. Oggetto del contendere era l’origine di merci importate, dichiarate dalle Filippine ma sospettate di provenire da Taiwan. La Corte ha stabilito che, di fronte a una relazione dell’OLAF (Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode) e alla revoca dei certificati, l’onere della prova dazi si inverte, passando dall’amministrazione al contribuente. Quest’ultimo deve quindi dimostrare attivamente la correttezza dell’origine dichiarata per beneficiare delle agevolazioni. La sentenza di secondo grado, che aveva erroneamente richiesto prove aggiuntive all’Agenzia, è stata annullata con rinvio.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

L’Onere della Prova nei Dazi Antidumping: La Cassazione Chiarisce il Ruolo dell’OLAF

L’ordinanza della Corte di Cassazione in commento affronta un tema cruciale per le aziende che operano nel commercio internazionale: l’onere della prova dazi in caso di contestazione sull’origine preferenziale delle merci. Con una decisione netta, la Suprema Corte ha ribaltato le sentenze di merito, chiarendo il valore probatorio delle indagini dell’OLAF (Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode) e delineando con precisione i doveri dell’importatore. Questo principio è fondamentale per comprendere chi deve dimostrare cosa quando l’amministrazione doganale mette in dubbio la legittimità di un’agevolazione tariffaria.

I Fatti di Causa: Importazioni Sospette e l’Indagine Antifrode

Il caso ha origine da una serie di importazioni di elementi di fissaggio in acciaio inossidabile, dichiarati come provenienti dalle Filippine, un paese che gode di un regime doganale preferenziale. Sulla base di queste dichiarazioni, le società importatrici avevano beneficiato di un trattamento tariffario agevolato.

Tuttavia, a seguito di indagini condotte dall’OLAF e di informazioni ricevute dalle autorità filippine, l’Agenzia delle Dogane ha contestato tale origine. Secondo l’amministrazione, le merci non erano state prodotte nelle Filippine ma provenivano in realtà da Taiwan, un paese non preferenziale. Si trattava, secondo l’accusa, di un mero ‘trasbordo’ finalizzato a eludere i dazi antidumping. Di conseguenza, l’Agenzia emetteva avvisi di accertamento per recuperare i dazi non versati e irrogava le relative sanzioni.

La Decisione dei Giudici di Merito e l’onere della prova sui dazi

Nei primi due gradi di giudizio, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione alle società contribuenti. I giudici di merito avevano ritenuto che le prove portate dall’Agenzia delle Dogane – principalmente la relazione OLAF e la revoca postuma dei certificati di origine da parte delle autorità filippine – fossero semplici indizi, insufficienti a provare con certezza la diversa origine della merce. Secondo la Corte Tributaria Regionale, l’Ufficio non aveva fornito una ‘prova ulteriore’ e inconfutabile, lasciando di fatto l’intero onere probatorio a carico dell’amministrazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha completamente ribaltato questa prospettiva, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Dogane. Il ragionamento dei giudici di legittimità si fonda su principi consolidati del diritto doganale comunitario, che meritano di essere analizzati nel dettaglio.

Innanzitutto, la Corte ha ribadito che il certificato di origine (come il modello FORM-A) è una condizione necessaria per accedere al regime preferenziale, ma non costituisce una ‘prova legale assoluta’ dell’effettiva origine della merce. L’autorità doganale del paese importatore ha sempre il diritto di verificarne la veridicità in presenza di ‘ragionevoli dubbi’.

Il punto centrale della decisione riguarda il valore probatorio delle indagini OLAF. La Corte ha affermato che gli accertamenti e le relazioni finali redatte dall’OLAF hanno piena rilevanza probatoria e possono, anche da sole, costituire il fondamento per un avviso di accertamento. La normativa europea, infatti, considera tali atti ‘equipollenti’ alle relazioni redatte dagli ispettori nazionali.

Di conseguenza, di fronte a elementi probatori così significativi come una relazione OLAF e la revoca dei certificati da parte delle stesse autorità che li avevano emessi, si verifica un’inversione dell’onere della prova dazi. Non è più l’amministrazione a dover fornire ulteriori prove, ma è il contribuente (l’importatore) a dover dimostrare, con prove contrarie, la sussistenza delle condizioni per beneficiare del regime agevolato. I giudici di merito hanno quindi errato nel non applicare questo principio, continuando a gravare l’Agenzia di un onere probatorio che si era già trasferito sulla controparte.

Conclusioni

La decisione della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche per tutti gli operatori del commercio internazionale. Essa sottolinea che la fiducia nel certificato di origine non può essere cieca. In caso di contestazioni fondate su indagini antifrode europee, l’importatore assume un ruolo attivo: deve essere in grado di documentare e provare in modo inequivocabile l’origine dichiarata della merce. Affidarsi passivamente alla documentazione formale, senza una solida tracciabilità del prodotto, espone a rischi significativi, tra cui il recupero dei dazi, sanzioni e lunghi contenziosi. Questa sentenza rafforza gli strumenti di lotta alle frodi doganali e richiama gli importatori a una maggiore diligenza nella gestione della catena di approvvigionamento.

Un certificato di origine è una prova assoluta dell’origine della merce?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il certificato di origine (es. FORM-A) è un titolo di legittimazione per fruire di un regime doganale preferenziale, ma non costituisce una ‘prova legale assoluta’ e può essere contestato dalle autorità doganali in presenza di ragionevoli dubbi.

Che valore ha una relazione dell’OLAF in un contenzioso sui dazi?
Una relazione finale dell’OLAF ha piena rilevanza probatoria. Può essere posta, anche da sola, a fondamento di un avviso di accertamento per il recupero dei dazi, in quanto la normativa europea la considera ‘equipollente’ a una relazione degli ispettori dello Stato membro.

Su chi ricade l’onere della prova in caso di contestazione sui dazi antidumping basata su indagini OLAF?
Inizialmente, l’onere è sull’amministrazione doganale. Tuttavia, di fronte a prove come una relazione OLAF o la revoca dei certificati di origine da parte delle autorità estere, l’onere della prova si inverte e ricade sul contribuente (l’importatore), che deve dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare del regime agevolativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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