Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3770 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3770 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 116/2017 R.G. proposto da:
IMPRESA DI PULIZIE NOME COGNOME MARIA RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, NOME, NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI NOVARA,
elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
contro
AGENZIA
DELLE
ENTRATE
CENTRALE
ROMA
-intimato-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del PIEMONTE n. 988/2016 depositata il 19/07/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte ( hinc: CTR), con la sentenza n. 988/2016 depositata in data 19/07/2016, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Maria RAGIONE_SOCIALE, nonché dai sig.ri COGNOME COGNOME NOME e NOME contro la sentenza n. 225/2014 con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Novara aveva rigettato il ricorso contro gli avvisi di accertamento, con i quali l’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Novara aveva accertato un maggior reddito in relazione all’anno d’imposta 2007.
La CTR, in particolare, ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso incentrato sulla carente motivazione degli avvisi di accertamento, ritenendoli sufficientemente motivati in fatto (in ragione della carenza documentale in risposta al questionario
notificato e alla genericità della descrizione delle operazioni fatturate) e in diritto.
2.1. In secondo luogo, con riferimento alla contestazione relativa al mancato assolvimento degli oneri probatori a carico dell’amministrazione finanziaria e a quella relativa al mancato esame e valutazione dei dati, registri e della documentazione contabile e sulla erronea valutazione della deducibilità dei costi sostenuti dalla società, la CTR ha evidenziato che non è stata fornita documentazione contrattuale esplicativa di quanto richiesto e non sono state prodotte cinque delle nove fatture recanti i costi dedotti. Nelle fatture prodotte non è stata specificata la natura, la quantità e qualità dei beni e dei servizi formanti oggetto delle prestazioni. Non è stato possibile ricondurre con certezza le prestazioni fornite da RAGIONE_SOCIALE e non è possibile ricondurre i pagamenti alle fatture. I ricorrenti, ad avviso della CTR, non hanno dato prova dei costi dedotti e della loro inerenza al reddito d’impresa. 2.2. La CTR ha richiamato, infine, il principio espresso da Cass., n. 15250 del 2012 e ha osservato che l’art. 109 t.u.i.r. stabilisce che la deducibilità di un componente negativo si realizza nell’esercizio di competenza, quando l’ammontare del costo è obiettivamente determinabile da parte del contribuente e ne sia certa l’esistenza. Di conseguenza, il contribuente che abbia registrato in contabilità un costo e abbia esposto un onere deducibile in dichiarazione deve essere in grado di dimostrare la sua effettività.
Contro la sentenza della CTR la società contribuente e i soci hanno proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata contestata la « Nullità della sentenza della CTR per violazione dell’art. 132, 1.co., n. 4 cpc, dell’art. 118 disp. Att. coc, dell’art. 36, 2 co., n. 4, D.Lvo. 546/92, degli artt. 24 e 111 Cost., ai sensi dell’art. 360, 1 co. n. 4 c .p.c., per omessa e/o carente motivazione della sentenza impugnata relativamente all’eccepito difetto di motivazione degli avvisi di accertamento impugnati e dell’eccepito riparto dell’onere probatorio tra fisco e contribuente, con riferimento quindi agli artt. 3 e 53 Cost., artt. 1, 3 e 6 L. 241/90, artt. 5, 6 e 7 L. 212/2000, art. 42 DPR 600/1973, art. 54 e 56 DPR 633/1972, per la motivazione e artt. 1, 6, 22, 39, 41 bis e 42 DPR 600/73, degli artt. 19, 54 e 56 DPR 633/72, degli artt. 16 e 24 D.Lgs. 226/97, dell’art. 8 DPR 322/98, degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., per l’onere della prova».
1.1. Ad avviso di parte ricorrente le asserzioni contenute nella sentenza impugnata -con riferimento alla motivazione dell’avviso di accertamento e alla ripartizione degli oneri probatori -non possono integrare il requisito motivazionale che la sentenza deve possedere. Nonostante la modifica dell’art. 132 c.p.c. e il principio di sinteticità , la motivazione deve, comunque, consentire di verificare la correttezza logica e la congruità della decisione. Nel caso in esame la CTR, disattendendo la censura dell ‘omessa motivazione, si è limitata ad asserire che gli avvisi impugnati contenessero i requisiti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato i recuperi a tassazione, senza specificare in cosa consistessero tali presupposti, che non possono essere integrati in relazione della contestazione della carenza di documentazione del contribuente.
1.2. Anche in merito al riparto dell’onere della prova la CTR si è limitata ad asserire che il contribuente che sostiene dei costi deve dimostrare che devono avere un collegamento con l’attività
produttiva dell’impresa. Rileva, quindi, come per la giurisprudenza di questa Corte non sia sufficiente che il giudice si limiti a richiamare i principi giurisprudenziali, senza alcuna specifica valutazione sui fatti di causa.
Con il secondo motivo è stata contestata la « violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3 cpc, degli artt. 3 e 53 Cost., artt. 1, 3 e 6 L. 241/90, artt. 5, 6 e 7 L. 212/2000, art. 42 DPR 600/1973, art. 54 e 56 DPR 633/1972, sotto il profilo dell’omessa motivazione degli avvisi di accertamento e della conseguente nullità degli stessi».
2.1. La CTR, ad avviso di parte ricorrente, si è limitata in modo del tutto generico, a fornire una motivazione solo apparente, omettendo di indicare se negli atti impugnati fossero presenti i presupposti, in fatto e in diritto, richiamati dalla normativa citata nei parametri evocati a fondamento del motivo di ricorso.
I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente. Tali motivi, oltre a essere carenti sotto il requisito di specificità (non essendo indicate, all’infuori dei parametri che evocano i vizi motivazionali della sentenza impugnata, le ragioni che supportano i numerosi richiami normativi indicati nell’intestazione dei motivi di ricorso, per l’illustrazione dei quali non è sufficiente evocare la mera contrarietà della sentenza impugnata e non è neppure possibile alcuna integrazione argomentativa da parte di questa Corte), sono manifestamente infondati.
3.1. Partendo dalla motivazione della sentenza impugnata occorre evidenziare come secondo questa Corte il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza ricorre allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo
sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., 07/04/2017, n. 9105).
La ricostruzione dell’iter logico giuridico attraverso il quale il giudice perviene alla decisione richiede la lettura complessiva dell’intero impianto motivazionale e delle varie parti del provvedimento impugnato. Di conseguenza, in relazione alla contestazione relativa alla statuizione che ha ritenuto infondate le censure relative alle carenze motivazionali degli avvisi di accertamento impugnati, l’affermazione secondo la quale questi ultimi contengono i presupposti di fatto e diritto e che nelle motivazioni di fatto è dato atto « 1) della carente documentazione in risposta al questionario notificato 2) della genericità della descrizione delle operazioni fatturate » deve essere correlata a quanto indicato, in sede espositiva, in ordine alle contestazioni mosse dall’ufficio al contribuente e in particolare all’insufficienza della risposta data da quest’ultimo al questionario notificato il 04/10/2012, con il quale venivano chieste giustificazioni in relazione ai rapporti economici intrattenuti tra il 2007 e il 2010 con la ditta RAGIONE_SOCIALE con la quale sono state registrate, nel 2007, fatture per Euro 78.000, « tutte riportanti descrizioni generiche quali: ‘lavori eseguiti dei V/cantieri’».
3.2. Quanto appena indicato esclude anche la fondatezza delle censure relative alla motivazione dell’avviso di accertamento.
Infine, la CGT non ha violato i criteri di ripartizione dell’onere della prova, considerato che è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (sulla quale v. anche, infra, sub 4.4.) l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale: « la Corte di cassazione si è pronunciata in merito all’assolvimento dell’onere della prova riguardante la deducibilità dei costi in rapporto alla loro inerenza. Il contribuente che sostiene dei costi deve dimostrare che questi
devono avere un collegamento con l’attività produttiva dell’impresa (Cass., 4443/2010). »
Il terzo motivo di ricorso riguarda la « violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3 cpc, degli artt. 1, 6, 22, 39, 41 bis e 42 DPR 600/73, degli artt. 19, 54 e 56 DPR 633/72, degli artt. 16 e 24 D.Lgs. 446/97, dell’art. 8 DPR 322/98, degli artt. 2697, 2727 e 2729 c. c., dell’art. 1655 e ss. cc, sotto il profilo dell’infondatezza della pretesa erariale per mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Ufficio Tributario, per insussistenza di prove dei fatti ascritti ai contribuenti, per inammissibile inversione dell’onere probatorio, nella parte in cui la sentenza impugnata, litandosi a richiamare un precedente giurisprudenziale, ha onerato il contribuente della dimostrazione dell’inerenza dei costi».
4.1. La ricorrente evidenzia di aver contestato come nel processo tributario trovi applicazione l’art. 2697 c.c. e come la sentenza impugnata si sia limitata a richiamare i principi della giurisprudenza di legittimità, in violazione della normativa richiamata a fondamento del motivo di ricorso che, se correttamente applicata, avrebbe condotto alla reiezione della pretesa impositiva. Rileva come le fatture siano idonee a documentare un costo dell’impresa ex art. 21 d.P.R. 26/10/1972, n. 633 e come queste ultime possano essere disattese solo sulla base dell’indicazione di elementi espressamente indicati dall’ufficio. La giurisprudenza anche europea – attribuisce, in prima battuta, al fisco l’onere di dimostrare quanto intende sostenere. Nel caso in esame l’ufficio non ha assolto all’onere probatorio, non avendo neppure provveduto a interrogare le persone informate sui fatti.
4.2. L’art. 109 t.u.ir. non forni sce una definizione del concetto di inerenza, essendo possibile prevede, in astratto, la variegata
casistica applicativa. Tuttavia, secondo l’interpretazione dottrinale, sono qualificabili come spese inerenti tutte quelle sostenute nell’interesse della realizzazione del programma economico dell’impresa e che possono arrecare un’utilità all’attività produttiva di quest’ultima, sia pure in via soltanto indiretta o mediata. Sono, quindi, deducibili i costi legati da un rapporto di causa-effetto con la produzione del reddito d’impresa, considerato che il co ncetto di inerenza di un costo non deve essere inteso come immediatamente legato ai ricavi, ma all’attività complessivamente svolta dall’impresa.
4.3. Non è quindi condivisibile l’affermazione della CTR secondo le quali non è stata fornita la documentazione contrattuale esplicativa di quanto richiesto, così come quella contenuta negli avvisi di accertamento secondo cui la parte non avrebbe esibito alcuna documentazione esplicativa delle prestazioni effettuate, considerato che non è prevista alcuna forma scritta né ad substantiam , né ad probationem per i contratti di appalto/subappalto. Sussistono, quindi, anche i presupposti per la detraibilità dell’ IVA, ingiustamente esclusa dagli atti impugnati.
4.4. Passando all’esame del motivo di ricorso quest’ultimo è da ritenere infondato. In merito all’interpretazione dell’art. 109 t.u.i.r. e al requisito di inerenza questa Corte (Cass., 03/04/2024, n. 8739) ha recentemente precisato che:
« Per un verso dunque si è negato che il rapporto trovi conforto nella mera contabilizzazione del costo (ex multis, 8/10/2014, n. 21184) e che al contrario incomba sul contribuente l’onere di allegazione della documentazione di supporto da cui ricavare l’imp orto, nonché la ragione e la coerenza economica della spesa al fine della prova dell’inerenza (anche qui, ex multis, 26/05/2017, n. 13300; 30/05/2018, n. 13596; con specifico riferimento all’Iva cfr. 27/09/2013, n. 22130; 7/06/2018, n. 14858). »
-« Sotto altro aspetto tuttavia è stato opportunamente e condivisibilmente avvertito come ai fini della deducibilità dei costi per la determinazione del reddito d’impresa non è sufficiente che l’attività svolta rientri tra quelle previste nello statuto sociale, circostanza che ha un valore meramente indiziario circa la sua inerenza all’effettivo esercizio dell’impresa, incombendo sul contribuente l’onere di dimostrare che un’operazione, anche apparentemente isolata e non diretta al mercato, sia inserita in una specifica attività imprenditoriale e destinata, almeno in prospettiva, a generare un lucro in proprio favore (Cass., 25 febbraio 2015, n. 3746). »
È pertanto il contribuente a dover supportare, con la documentazione adeguata la prova della correlazione dei costi sostenuti con l’attività imprenditoriale. A tal fine non è sufficiente, quindi, la sola produzione di fatture -peraltro solo parziale secondo quanto risulta dalla lettura della sentenza impugnata -ma è necessaria anche l’indicazione puntuale delle prestazioni res e o dei beni acquistati, al fine di verificare la riferibilità dei costi all’esercizio dell’attività imprenditoriale, che non può, quindi, essere meramente affermata dal contribuente, ma deve essere riscontrabile mediante elementi concreti e puntuali.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 04/12/2024.