Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14876 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14876 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/06/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 2088/2016 R.G. proposto da
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso (PEC: EMAIL; EMAIL);
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 3203/22/2015, depositata il 9.07.2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della CTP di Milano che aveva
Oggetto:
Tributi
rigettato il ricorso proposto dalla predetta contribuente avverso l’ avviso di accertamento, per IVA e imposte dirette, in relazione a ll’anno 2008 , con il quale era stata ritenuta non di competenza dell’anno in esame la deduzione di due perdite su crediti ed erano stati recuperati a tassazione alcuni costi oggetto di 12 fatture emesse dalla cooperativa RAGIONE_SOCIALE (riguardanti la messa a disposizione di personale della cooperativa, da adibire a varie mansioni presso la società ricorrente), ritenuti indeducibili per difetto di effettività ed inerenza;
i giudici di appello hanno osservato, per quanto ancora qui rileva, che:
benchè i servizi resi dalla cooperativa fossero stati fatturati ‘in modo non completamente aderente a quanto previsto dalla normativa vigente relativamente alla descrizione delle prestazioni ‘, tale irregolarità era comunque imputabile al soggetto che aveva emesso le fatture; la non inerenza del costo non poteva basarsi solo su detto elemento, avendo la contribuente dimostrato la regolarità dei pagamenti e la presenza in azienda del personale messo a disposizione dalla cooperativa, superando la presunzione dell’Ufficio in ordine alla inerenza e alla certezza del costo;
-l’A genzia delle entrate impugnava la sentenza con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
la società contribuente resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, l ‘ Agenzia deduce l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per avere la CTR, con riferimento al rilievo relativo al disconoscimento dei costi, omesso di considerare che la non inerenza del costo si fondava non solo sulla genericità delle fatture contestate, in violazione dell’art. 21 del d.P.R.
n. 633 del 1972, ma anche sulla differenza dei relativi importi rispetto a quanto pattuito nel contratto di appalto e sulla mancanza di richiesta da parte della cooperativa di variare le modalità di messa a disposizione della manodopera, come previsto dal medesimo contratto;
con il secondo motivo, deduce la violazione degli artt. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, 109 TUIR e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel ritenere che la mancanza, nelle fatture contestate, dei dati normativamente prescritti non fosse elemento sufficiente per escluderne l’inerenza, senza considerare che l’onere di provare l’inerenza gravava sulla contribuente;
-i primi due motivi, che per connessione vanno esaminati unitariamente, sono inammissibili;
l ‘Agenzia ricorrente deduce solo apparentemente una violazione di norme di legge, ma in realtà mira alla rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 4/07/2017), prospettando nel ricorso non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
-al riguardo occorre richiamare l’orientamento consolidato di questa Corte, secondo il quale, ‘In tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare,
oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa’ ( ex plurimis , Cass. 26.05.2017, n. 13300);
anche in tema di IVA, questa Corte ha affermato che, ai fini della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente, in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato (Cass. n. 18904 del 17/07/2018);
a tale proposito occorre altresì considerare che, sia in tema di imposizione diretta sia in tema di IVA, la fattura costituisce elemento probatorio a favore dell’impresa solo se redatta in conformità ai requisiti di forma e di contenuto prescritti dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e, quindi, idonea a rivelare compiutamente natura, qualità e quantità delle prestazioni attestate (Cass. n. 21980/15, n. 21446/14, n. 24426/13, n. 9108/12, n. 5748/10), sebbene il contribuente possa integrare il contenuto della fattura con elementi di prova idonei a dimostrare la deducibilità dei costi (Cass. n. 1147/2010);
colui che chiede la detrazione dell’IVA, pertanto, ha l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne, ma può fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, ritenuti necessari per valutare se si debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta;
anche secondo la giurisprudenza unionale (sentenza 15 settembre 2016, causa C-516/14, COGNOME –RAGIONE_SOCIALE c. RAGIONE_SOCIALE e Aduaneira ), il contribuente ha l’obbligo di indicare l’entità e la natura dei servizi forniti (art. 226,
punto 6 della direttiva n. 2006/112, di contenuto analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonché di specificare la data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi, al fine di consentire alle Amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA, anche se l’Amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto delle ulteriori informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dall’art. 219 della direttiva 2006/112, che assimila a una fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale (Cass. n. 18208/2021);
la CTR si è attenuta ai suddetti principi, in quanto, con riferimento ai costi oggetto di disconoscimento, ha accertato che la contribuente aveva dimostrato non solo di avere regolarmente pagato le relative prestazioni, ma anche che il personale distaccato era effettivamente presente presso l ‘azienda della contribuente e, quindi, l’effettività delle prestazioni, indicando gli elementi sulla base dei quali ha ritenuto superato l’onere della prova posto a carico della contribuente, sicchè la censura si limita a proporre un nuovo apprezzamento dei fatti e degli elementi di prova, operato dal giudice di merito in ordine all’inerenza e alla certezza dei costi fatturati;
con il terzo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per mancanza di motivazione o motivazione apparente in ordine alla sussistenza degli elementi di prova sulla cui base la CTR ha ritenuto comprovati i pagamenti delle fatture e la presenza in azienda del personale, in relazione alle fatture oggetto di contestazione.
– il motivo è infondato;
come hanno sottolineato le Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 7.04.2014), l’anomalia motivazionale denunciabile in Cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
-deve trattarsi, dunque, di un’anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico, ma anche nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, non essendo più ammissibili mere censure di contraddittorietà ed insufficienza motivazionale (Cass. n. 23940 del 12/10/2017);
solo in tali casi la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo” , in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232);
la sentenza impugnata non è affetta da tale grave vizio, in quanto presenta una motivazione che, seppure sintetica, palesa l’ iter logico seguito dai giudici di appello, che hanno annullato la ripresa relativa al disconoscimento di alcuni costi documentati da fatture aventi un contenuto generico, ritenendo sufficienti gli elementi indicati dalla contribuente al fine di superare la presunzione di non inerenza e di mancanza di certezza del costo;
le argomentazioni svolte esplicitano le ragioni della decisione, per cui eventuali profili di insufficienza della motivazione, anche se
sussistenti, non la viziano in modo così radicale da renderla meramente apparente, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 5.800,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 12 febbraio 2025