Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13916 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13916 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3072/2018 R.G. proposto da : COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 3583/2017 depositata il 19/06/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/03/2025
dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
Con l’avviso di accertamento n. TJF019400295/2012 l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione maggiori redditi per l’anno d’imposta 2009, nei confronti del sig. COGNOME COGNOME accertando l’indeducibilità di Euro 98.757 costi asseritamente sostenuti per il versamento di provvigioni passive al sig. COGNOME -nonché della somma di Euro 15.406 -relativa ad asseriti omaggi a clienti -a fronte di un reddito dichiarato di Euro 38.541.
Il ricorso del contribuente avverso tale atto impositivo era accolto dalla sentenza n. 26220/2015 della CTP di Roma.
L’appello proposto dall’ufficio è stato invece accolto dalla CTR di Roma, con la sentenza oggetto della presente impugnazione.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il contribuente sulla scorta di due motivi.
Resiste l’ufficio con controricorso.
E’stata, quindi, fissata udienza camerale per il 06.03.2025, in vista della quale il contribuente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso proposto dal contribuente avverso la sentenza della C.T.R. di Roma, n. 3583/2017 si fonda su due motivi, di seguito sintetizzati:
Violazione degli artt. 113, 115, 116 c.p.c. per omesso rilievo di documenti probatori di costi passivi e provvigioni erogate, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Violazione degli artt. 113, 115, 116 c.p.c. per errata valutazione di prove documentali ed esclusione totale di costi passivi certi, spese di pubblicità, omaggi a clienti, in riferimento all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.
Il primo motivo è infondato. Deduce parte ricorrente che i giudici d’appello non avrebbero preso in esame la documentazione versata in atti al fine di dimostrare i costi effettivamente sostenuti in ragione dell’attività che il COGNOME svolgeva in favore dell’Agenzia Lloyd del sig. COGNOME Ove di tali documenti fossero stati esaminati, prosegue il ricorrente, il reddito e quindi il recupero a tassazione sarebbero stati ridotti in modo corrispondente.
A sostegno di tali affermazioni il ricorrente riproduce all’interno del ricorso talune contabili bancarie e copia di assegni che vengono indicati, come pure si afferma, ‘in via esemplificativa’.
Orbene, anche a non voler rilevare il contenuto sostanzialmente meritale del motivo, il semplice esame degli assegni riprodotti rende evidente l’incongruenza della censura rispetto alla motivazione della decisione di merito impugnata, nonché l’irrilevanza di detti documenti, in sé considerati.
La motivazione della sentenza d’appello, seppure sintetica, appare infatti congrua, partendo da una corretta rilevazione dell’onere probatorio a carico del contribuente:
‘Si osserva al riguardo, che la Corte di cassazione ha affermato che il contribuente può dedurre soltanto i costi e gli altri oneri realmente sopportati che, in caso di contestazione da parte dell’Ufficio, devono essere da lui provati in modo certo e preciso (cfr., fra le altre, Cass. n. 543 del 12 gennaio 2007). Secondo la Cassazione le spese sostenute, per essere deducibili, devono risultare da elementi sufficientemente specifici e attendibili’ ‘Applicando tali principi alla fattispecie, deve ritenersi che, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, l’Ufficio abbia correttamente operato, ritenendo non sufficientemente comprovati
gli elementi a suffragio della deducibilità dei proventi del collaboratore né il contribuente ha prodotto ulteriore documentazione da cui potersi dedurre che le attività in questione erano state effettivamente svolte e che i compensi per le stesse erano stati effettivamente sostenuti’.
Orbene, il ricorrente censura tali affermazioni facendo riferimento ad assegni che il COGNOME avrebbe versato a Lloyd di Forzano Carmelo, ma è evidente che di per sé tali assegni possono al più dimostrare che effettivamente il COGNOME aveva raccolto premi assicurativi per conto dell’Agenzia, ma nulla dimostrano quanto alle provvigioni che quest’ultima avrebbe in tesi -versato al subagente e che costituirebbero costi deducibili per oltre 98.000 Euro.
Il primo motivo di impugnazione, pertanto, prima ancora che inammissibile in quanto volto ad ottenere una nuova valutazione di merito delle prove offerte in giudizio, risulta del tutto infondato e privo di adeguato confronto con la decisione impugnata.
3. Il secondo motivo di ricorso è, invece, inammissibile. Con tale censura, infatti, si contesta la valutazione del giudice d’appello secondo cui il contribuente aveva omesso di giustificare ‘con elementi concreti ed attendibili’ gli ‘omaggi a clienti’ che lo stesso aveva inteso dedurre per l’importo complessivo di Euro 15.406.
Ma è evidente che, in tal modo, si sollecita un nuovo esame delle prove e una diversa valutazione delle stesse: compiti che sono propri del giudizio di merito e non del presente procedimento di legittimità, così come da ultimo precisato -sulla scorta di una giurisprudenza assolutamente costante -da Sez. 2, ord. n. 10927 del 23/04/2024 (Rv. 670888 -01), per la quale ‘deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di
legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme’; in precedenza anche Sez. U, sent. n. 34476 del 27/12/2019 (Rv. 656492 – 03) ha affermato esplicitamente che ‘È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’. Peraltro, il motivo è anche formulato in modo ambivalente e tale da operare un richiamo contestuale ai vizi di cui al n. 3 ed al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Tuttavia, un conto è la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ed altro è la censura motivazionale della decisione.
Quanto a quest’ultima, peraltro, non può non rilevarsi che la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 ha ridimensionato la possibile censura motivazione del provvedimento di merito, circoscrivendola alla necessità che ‘venga individuato un preciso fatto storico, sottoposto al contraddittorio delle parti, di natura decisiva, che il giudice del merito abbia omesso di considerare’ (Sez. 5, ord. n. 18886 del 04/07/2023). Si è infatti correttamente sostenuto che ‘L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate’ (Sez. 6 – 1, ord. n. 2268 del 26/01/2022; in precedenza cfr. Sez. U, sent. n. 8053 del 07/04/2014).
Ciò posto, il ricorrente non individua il fatto storico che il giudice avrebbe omesso di considerare, ma sollecita semplicemente, come
anticipato, una diversa ed in questa sede inammissibile valutazione probatoria.
Peraltro, in via concorrente, il motivo è anche contraddittorio e formulato attraverso un riferimento a vizi di legittimità sovrapposti e fra loro ‘mescolati’ in modo inammissibile.
Si è infatti correttamente osservato che in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874 del 23/10/2018).
In definitiva, pertanto, il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna alle spese, secondo il principio di soccombenza, con liquidazione in dispositivo.
Occorre, infine, dare atto dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se ed in quanto dovuto per legge, a carico della parte ricorrente.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, che liquida in euro 5.800# oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura prevista per il ricorso, se ed in quanto dovuto per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione