Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3606 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 3606 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22666/2016 R.G. proposto da: COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PIEMONTE- TORINO n. 282/2016 depositata il 25/02/2016.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27/11/2024 dal Co: NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero in persona del sost. Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
udita l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
In data 30 luglio 2012, il contribuente NOME COGNOME è stato destinatario di avviso di accertamento sull’anno d’imposta 2007, in ragione del disconoscimento di maggiori costi esposti in dichiarazione dei redditi, inerenti a fatture emesse nei confronti della ditta RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE. La ripresa a tassazione scaturiva da richiesta di chiarimenti ed esame documentale, cui seguiva la contestazione della genericità delle predette fatture, donde la mancata prova della reale consistenza dei costi sostenuti.
Il giudice di prossimità apprezzava le ragioni della parte contribuente, ma la sentenza veniva riformata sull’appello dell’Ufficio, donde ricorre il signor NOME COGNOME affidandosi a due mezzi cassatori, cui replica con tempestivo controricorso il Patrono erariale.
In prossimità dell’udienza, il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale dottoressa NOME COGNOME ha depositato requisitoria in forma di memoria concludendo per l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Vengono proposti due motivi di ricorso.
Con il primo motivo si propone censura ai sensi dell’articolo 360 numeri 3 e 4 del codice di procedura civile per violazione o falsa applicazione degli articoli 109 del DPR numero 917 del 1986, 8 bis del DPR numero 322 del 1998 e 2697 del codice civile. Nella sostanza si lamenta che la sentenza in scrutinio abbia posto l’onere di provare
la veridicità dei costi in capo al contribuente, pur in presenza di fatture che documentano i costi portati in deduzione, facendo leva sull’unico motivo della mancata inclusione delle fatture negli elenchi CLI.FO trasmessi dai fornitori.
Con il secondo motivo si prospetta ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numeri 3 e 4 del codice di procedura civile per violazione degli articoli 115 e 116 del medesimo codice di rito e del principio di non contestazione, nonché degli articoli 2697 e 2700 del codice civile, dell’articolo 6, quarto comma, della legge numero 212 del 2000.
Nella sostanza si lamenta la violazione del principio di non contestazione per avere la sentenza fatto riferimento a profili documentali non contestati e violazione della ripartizione dell’onere della prova. Nello specifico, la sentenza in scrutinio viene criticata per fare riferimento a dei documenti di appalto e di subappalto su cui non si sono incentrate le ragioni della ripresa a tassazione.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente in ragione della loro stretta connessione, attenendo al sistema di prova dei costi da portare in deduzione dell’imponibile.
Preliminarmente, per questa Corte è ammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, n. 4 e n. 5, c.p.c., allorché esso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. V, 11 aprile 2018, n. 8915), essendo sufficiente che la formulazione del motivo consenta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, sì da consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se essere fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., S.U., 6 maggio 2015, n. 9100, in linea Cass. V. n. 14756/2020).
Occorre premettere che il giudizio tributario è imperniato sul paradigma del ricorso, donde, ai fini dell’individuazione del riparto dell’onere della prova, occorre indagare chi sia attore in senso sostanziale, nonché applicare il principio di vicinanza della prova (Cass. V, n. 15219/2012), alla luce del fondamentale principio per cui spetta all’Amministrazione provare il maggior reddito e spetta al contribuente provare i costi da portare in deduzione (cfr. e pluribus , Cass. V, n. 8808/2012).
Dall’esame documentale non è controverso che il costo in questione sia stato disatteso dall’Amministrazione finanziaria perché la fattura portava dicitura generica, non potendosi quindi verificare la coerenza e la riferibilità, nel preciso ammontare, all’attività d’impresa per cui veniva portato a deduzione, senza limitarsi ad un unico argomento (elenchi CLI.FO). A tale conclusione la sentenza in scrutinio è giunta applicando la regola del riparto probatorio, più volte enunciata da questa Corte, per cui in tema di reddito d’impresa, ai fini della deducibilità dei costi sostenuti, il contribuente è tenuto a dimostrarne l’inerenza, intesa in termini qualitativi e dunque di compatibilità, coerenza e correlazione, non già ai ricavi in sé, ma all’attività imprenditoriale svolta, sicché deve provare e documentare l’imponibile maturato, ossia l’esistenza e la natura dei costi, i relativi fatti giustificativi e la loro concreta destinazione alla produzione (cfr. Cass. V, n. 2224/2021), precisandosi che in tema di IVA, ai fini della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato (cfr. Cass. V, n. 18904/2018). Con particolare riguardo al secondo motivo, occorre evidenziare come il giudice di merito non abbia sindacato fatti non controversi, ma al contrario abbia svolto un’analisi ricostruttiva dei documenti
offerti nell’apporto probatorio delle parti al fine di individuare la consistenza e la qualità dei costi portati in deduzione. In quest’opera di apprezzamento del merito, il collegio di secondo grado ha doviziosamente argomentato l’incongruenza per la scansione temporale di alcuni documenti (subappalto che precede l’appalto), l’inattendibilità di altri (fatture generiche) e l’inconsistenza di alcune giustificazioni addotte (pagamento per contanti), giungendo a conclusioni con un procedimento deduttivo che supera l’ambito di scrutinio riservato a questa Suprema Corte di legittimità (cfr. sentenza impugnata, p. 6).
Il principio di non contestazione, su cui fa leva parte ricorrente, non implica la non conoscibilità o l’apprezzamento di fatti che non siano contestati, sui quali non si sia fondata la ripresa a tassazione, ma consente di vedere aspetti che siano stati introdotti nel giudizio come elementi di valutazione della fattispecie nella sua interezza. Nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di una pretesa fiscale fatta valere mediante l’emanazione dell’atto impositivo nel quale i fatti costitutivi della richiesta sono già stati allegati, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato (cfr. Cass. T, n. 16984/2023. Altresì, cfr. Cass. V, n. 34707/2022).
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).
Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Pertanto, il ricorso è infondato e non può essere accolto.
Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità a favore della parte controricorrente, che liquida in €.settemilaquattrocento/00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso, in Roma, il 27 novembre 2024