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Onere della prova costi: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un contribuente, un agente di assicurazione, a cui era stata negata la deducibilità di costi per circa 61.000 euro. La Corte ha ribadito che l’onere della prova costi spetta al contribuente, il quale deve dimostrare l’effettività e la certezza delle spese portate in deduzione. Nel caso di specie, le quietanze informali prodotte sono state giudicate insufficienti a tale scopo, confermando la legittimità del recupero fiscale operato dall’Agenzia delle Entrate.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova Costi: Chi Paga il Conto in Caso di Documenti Informali?

Nel complesso mondo del diritto tributario, uno dei principi cardine è l’onere della prova costi: chi afferma di aver sostenuto una spesa deducibile deve essere in grado di dimostrarlo in modo certo ed effettivo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 25543/2024) ha ribadito con forza questo concetto, offrendo importanti spunti sulla validità della documentazione informale e sui limiti del ricorso in ultima istanza. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti del Caso: Sconti ai Clienti e la Lente del Fisco

La vicenda ha come protagonista un agente di assicurazione a cui l’Agenzia delle Entrate ha notificato un avviso di accertamento per l’anno 2008. L’amministrazione finanziaria contestava la deduzione di costi per un importo di oltre 61.000 euro, riqualificandoli come maggior reddito d’impresa. Questi costi, secondo il contribuente, derivavano da “abbuoni provvigionali”, ovvero sconti commerciali concessi ai clienti sulle commissioni percepite.

A sostegno della propria tesi, il professionista aveva prodotto una serie di quietanze informali sottoscritte dai clienti. Tuttavia, questi documenti presentavano diverse anomalie: recavano date cancellate, erano privi di bollo e riportavano la dicitura “per uso amministrativo interno”.

Il Percorso Giudiziario: Due Gradi di Giudizio, un Unico Verdetto

Sia la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) che la Commissione Tributaria Regionale (CTR) hanno respinto le ragioni del contribuente. I giudici di merito hanno ritenuto che l’onere della prova costi gravasse interamente sull’agente e che le prove fornite non fossero idonee a dimostrare i requisiti di effettività e certezza richiesti dall’art. 109 del TUIR (d.P.R. 917/1986). Le quietanze, a causa delle loro irregolarità, sono state considerate inattendibili e insufficienti per giustificare la deduzione.

La Decisione della Cassazione e l’Onere della Prova sui Costi

Giunto dinanzi alla Corte di Cassazione, il contribuente ha lamentato la violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) e l’omesso esame di un fatto decisivo (le quietanze). La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali.

La Corte ha ribadito un principio consolidato: nel processo tributario, la distribuzione dell’onere probatorio è chiara. Spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare i fatti che costituiscono la maggiore pretesa tributaria (ad esempio, maggiori ricavi non dichiarati). Al contrario, grava sul contribuente l’onere della prova costi e dei fatti che danno diritto a deduzioni, detrazioni o esenzioni.

Nel caso specifico, la controversia verteva sul disconoscimento di costi. Pertanto, era corretto porre a carico del professionista il compito di provare, senza ombra di dubbio, l’effettiva esistenza degli sconti concessi e la loro inerenza all’attività d’impresa. Le prove addotte, come già rilevato dai giudici di merito, non soddisfacevano questo standard.

L’Inammissibilità del Motivo sull'”Omesso Esame”

La Cassazione ha inoltre dichiarato inammissibile la censura relativa all’omesso esame delle quietanze. I giudici hanno spiegato che, a seguito della riforma del 2012, il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. è circoscritto a casi di anomalia motivazionale grave (mancanza assoluta, motivazione apparente o perplessa) o all’omesso esame di un “fatto storico” decisivo, non alla semplice insufficienza della motivazione.

Inoltre, nel caso di specie si era verificata una cosiddetta “doppia conforme”: sia la CTP che la CTR avevano rigettato l’appello basandosi sulla medesima valutazione dei fatti. In tali circostanze, il ricorso per cassazione per omesso esame è precluso, a meno che il ricorrente non dimostri che le due decisioni si fondano su ragioni di fatto diverse, cosa che non è avvenuta.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. In primo luogo, la corretta applicazione del principio dell’onere della prova sancito dall’art. 2697 del codice civile, secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Nel contesto fiscale, questo si traduce nell’obbligo per il contribuente di fornire prove certe e inconfutabili dell’esistenza e dell’inerenza dei costi che intende dedurre. Le quietanze informali, viziate da cancellature, prive di bollo e con diciture limitative, non sono state ritenute idonee a soddisfare tale onere. In secondo luogo, la Corte ha applicato rigorosamente i limiti processuali all’impugnazione per cassazione, in particolare per quanto riguarda il vizio di omesso esame di un fatto decisivo in presenza di una “doppia conforme”. La decisione sottolinea che la Cassazione non è un terzo grado di merito e non può rivalutare le prove già esaminate dai giudici precedenti, salvo i casi eccezionali di anomalia motivazionale.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un monito per tutti i contribuenti, imprenditori e professionisti: la tenuta di una contabilità precisa e la produzione di documentazione formalmente ineccepibile non sono meri adempimenti burocratici, ma elementi essenziali per difendere le proprie ragioni di fronte al Fisco. Affidarsi a prove informali o ambigue significa esporsi a un rischio elevatissimo, poiché l’onere di convincere il giudice della legittimità delle proprie deduzioni ricade interamente su di sé. La sentenza riafferma che, in materia di costi, la certezza e l’effettività non sono concetti astratti, ma requisiti da dimostrare con prove concrete e inattaccabili.

Chi ha l’onere della prova per i costi deducibili in un contenzioso tributario?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di provare l’esistenza dei fatti che danno diritto a deduzioni di costi o a componenti negativi del reddito grava sempre sul contribuente.

Perché le quietanze informali presentate dal contribuente non sono state considerate una prova sufficiente?
Le quietanze sono state ritenute inidonee perché presentavano gravi irregolarità: avevano date cancellate, erano prive di bollo e contenevano la dicitura ‘per uso amministrativo interno’. Questi elementi non garantivano i requisiti di effettività e certezza del costo richiesti dalla legge.

Cosa significa “doppia conforme” e perché ha reso inammissibile parte del ricorso?
Si ha una “doppia conforme” quando le sentenze di primo e secondo grado giungono alla stessa conclusione basandosi sulla medesima valutazione dei fatti. Questa circostanza, secondo la legge, preclude la possibilità di ricorrere in Cassazione per il motivo di “omesso esame di un fatto decisivo”, a meno che il ricorrente non dimostri che le ragioni di fatto delle due sentenze erano diverse, cosa che nel caso di specie non è stata fatta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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