Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26985 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26985 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/10/2024
IRES IVA
AVVISO ACCERTAMENTO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28581/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, incorporante RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO,
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in INDIRIZZO, INDIRIZZO, è domiciliata ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA, n. 6242 del 2016, depositata il 29/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 settembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE, nella qualità di incorporante di RAGIONE_SOCIALE ricorre nei confronti d ell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe . Con quest’ultima la C.t.r., in accoglimento del l’appello dell’Ufficio e in riforma della sentenza della C.t.p. di Cremona ha rigettato il ricorso spiegato dal contribuente avverso l’avviso di accertamento con il quale, per l’anno di imposta 2007, erano state recuperate maggiori Ires, Iva ed Irap ed applicate le conseguenti sanzioni.
L’Ufficio , con l’atto impositivo impugnato , aveva disconosciuto i costi di cui alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE in quanto contenenti indicazioni generiche, tali da non consentire l’esatta individuazione del costo e la correlazione con i ricavi.
Considerato che:
Con il primo motivo, la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , la violazione e falsa applicazione dell’art. 21, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 19 t.u.i.r. e dell’art. 2697 cod. civ.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che non fosse provata l’inerenza dei costi di cui alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE stante la genericità della descrizione RAGIONE_SOCIALE prestazioni rese. Osserva che la C.t.r., nonostante la produzione di documentazione provante l’inerenza del costo, aveva ritenuto che non fosse stato assolto l’onere probatorio non avendola riten uta sufficiente, così confondendo il principio dell’onere della prova con il principio del libero convincimento. Aggiunge che, avendo prodotto documentazione copiosa, dettagliata e mai contestata, spettava all’Ufficio provare che la medesima non fosse veritiera; che la RAGIONE_SOCIALE, a riprova della
confusione dei due principi, aveva omesso di motivare in ordine alla valutazione di quanto prodotto, limitandosi ad allegare che la descrizione RAGIONE_SOCIALE prestazioni era generica, e senza dar conto di tutti gli altri elementi sottoposti a giudizio che avrebbero dovuto portare ad una decisione opposta anche in considerazione del fatto che l’esecuzione dei lavori di cui alla fattura non era mai stata contestata .
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 t.u.i.r.
Assume che la RAGIONE_SOCIALE, a fronte del mancato disconoscimento della veridicità della documentazione di supporto esibita, non aveva valutato se e in quale misura le fatture fossero deducibili, sebbene non fosse mai stata contestata l’esecuzione di opere edili , ad opera della società che aveva emesso le fatture, presso il proprio stabilimento in Crema e il regolare pagamento RAGIONE_SOCIALE stesse; che, invece, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto valutare non solo l’ an , ma anche il quantum.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto connessi, sono infondati.
3 .1. E’ noto che l’inerenza costituisce un requisito fondamentale per la determinazione del reddito d’impresa e riguarda, in termini generali, l’esistenza di una relazione tra i costi e l’attività d’impresa: i costi sono inerenti ove siano collegati all’attività d’impresa produttiva del reddito soggetto a tassazione.
Tale nozione, per le imposte dirette, discende dall’art. 109 t.u.i.r. , sebbene la norma si riferisca, in senso stretto, alla deducibilità dei componenti negativi in quanto riferiti a beni o attività produttive di reddito e, dunque, ad un profilo ulteriore e successivo, che tuttavia, presuppone il concetto di inerenza.
3.2. Questa Corte ha chiarito, tuttavia, che anche in tema di Iva è possibile individuare indicazioni di analoga portata.
In particolare, l’art. 19, primo comma d.P.R. n. 633 del 1972 prevede che il soggetto passivo ha diritto di detrarre l’imposta assolta o dovuta o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione; tale principio evoca le previsioni contenute nella Direttiva 2006/112/CE, laddove la nozione di inerenza non è definita, ma postulata in relazione ai costi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa.
Si è affermata, pertanto, l’unicità del principio di inerenza tanto per le imposte dirette quanto per l’Iva e si è precisato che il concetto di inerenza è coerente con la disciplina di detta ultima e, anzi, appare del tutto rispondente ai parametri desumibili dall’art. 9 della Direttiva 2006/112/CE, secondo il quale si considera soggetto passivo chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività e si considera, in particolare, attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità (Cass. 10/01/2024, n. 978, Cass. 17/07/2018, n. 18904).
3.3. Ribadito che anche in materia Iva il diritto alla detrazione presuppone che vi siano le condizioni sostanziali, tra le quali deve essere annoverata anche l’inerenza dell’operazione rispetto all’attività d’impresa, si è chiarito, quanto alla ripartizione dell’onere della prova , che, rispetto ai singoli requisiti, operano i criteri di riparto rispettivamente pertinenti (Cass. 05/01/2022, n. 140).
3.4. Ciò posto, per giurisprudenza costante di questa Corte, in caso di contestazioni dell’Ufficio in odine ai costi portati in deduzione, in via generale, il contribuente è tenuto provarne e documentarne l’esistenza e la natura, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione
alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé (Cass. 18/08/2022, n. 24880).
La prova deve investire i fatti costitutivi del costo, sicché per quanto riguarda il contribuente, il suo onere è, per così dire, originario, poiché, ancor prima dell’esigenza di contrastare la maggiore pretesa, è tenuto a provare (e documentare) quanto sopra. (Cass. n. 18904 del 2018 cit.).
3.5. Anche per l’inerenza, la prova, dunque, incombe sul contribuente, mentre spetta all’Amministrazione la prova della maggiore pretesa tributaria (Cass. n. 24880 del 2022 cit., Cass. 02/02/2021, n. 2224, Cass. 21/11/2019, n. 30366, Cass. n. 18904 del 2018 cit. ). Quest’ultima, poi, ove ritenga gli elementi dedotti dal contribuente mancanti, insufficienti od inadeguati, oppure riscontri ulteriori circostanze di fatto tali da inficiare gli elementi allegati, può contestare l’inerenza con due modalità: da un lato, può contestare la carenza degli elementi di fatto portati dal contribuente, e quindi la loro insufficienza a dimostrare l’inerenza; dall’altro può addurre l’esistenza di ulteriori elementi tali da far ritenere che il costo non è correlato all’impresa (Cass. n. 2224 del 2021 cit.).
3.6. Ciò posto, la RAGIONE_SOCIALE ha fatto corretta applicazione dei principi sopra esposti.
3.6.1. Risulta dalla sentenza impugnata che l’Ufficio contestava alla società contribuente che le fatture portate in deduzione a titolo di costi erano generiche e che questi ultimi non erano in diretta correlazione con i ricavi che concorrevano a formare il reddito di impresa.
3.6.2. La C.t.r., sul punto, rilevava che le prestazioni indicate nelle fatture erano estremamente generiche e che le stesse non avevano i requisiti previsti dall’art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972 , funzionali alla trasparenza e conoscib ilità RAGIONE_SOCIALE prestazioni, all’attività di controllo e all’esatta identificazione RAGIONE_SOCIALE stesse ; che la genericità della
descrizione, unita all’assenza di un contratto di appalto, si rifle tteva sulla prova dell’inerenza del costo, a carico della contribuente , che, pertanto, non poteva ritenersi assolta. Aggiungeva che vi era un numero estremamente elevato di ore di lavoro addebitate, a fronte RAGIONE_SOCIALE modeste richieste di intervento che risultavano dai verbali ispettivi della Asl, e che i documenti attestanti la spesa non ne provavano l’inerenza. Ribadiva, infine, che la contribuente, per portare in deduzione il costo, avrebbe dovuto produrre idonea documentazione.
3.6.3. Il giudice del secondo grado, pertanto, ha correttamente posto a carico del contribuente l’onere di provare che i costi erano inerenti all’attività di impresa e, dopo aver valutato la documentazione prodotta, ha ritenuto che detta prova non fosse stata raggiunta in quanto le fatture recavano una descrizione estremamente generica RAGIONE_SOCIALE prestazione; non erano corroborate da altra documentazione; le ore di lavoro erano sproporzionate rispetto agli interventi per i quali vi erano i verbali ispettivi della RAGIONE_SOCIALE.
3.7. Concludendo, la sentenza gravata non è incorsa nella allegata confusione tra il principio di ripartizione dell’onere della p rova ed il libero convincimento; piuttosto, la contribuente, pur contestando plurime violazioni di legge, in sostanza chiede a questa Corte una rivalutazione in fatto della documentazione già scrutinata dai giudici d’appello.
E’ consolidato , tuttavia, il principio che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso. Inoltre, l’osservanza degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non richiede che egli dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti. È, infatti, necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed
in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla. Invece, devono reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. In altre parole, il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo dato indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce, in base al giudizio effettuato, gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente. Di conseguenza, il controllo di legittimità è incompatibile con un controllo sul punto, perché il significato RAGIONE_SOCIALE prove lo deve stabilire il giudice di merito. La Corte, inevitabilmente, compirebbe un non consentito giudizio di merito, se, confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie, prendesse in considerazione fatti probatori diversi o ulteriori rispetto a quelli assunti dal giudice di appello a fondamento della sua decisione (cfr. tra le tante, Cass. 20/02/2024, n. 4583, Cass. 15/09/2022, n. 27250, Cass. 11/12/2023, n. 34374 Cass. 21/01/2015, n. 961).
3.8. Va escluso, infine, che la RAGIONE_SOCIALE abbia errato per non aver compiuto una valutazione di tipo quantitativo atteso che la medesima ha ritenuto non provato il requisito dell’inerenza che, esprimendo una correlazione in concreto tra costi ed attività d’impresa, si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde da considerazioni di natura quantitativa.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità , che liquida
in euro 5.600,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2024.