Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19067 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19067 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24130/2023 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME, presso il cui studio in Roma, alla INDIRIZZO è elettivamente domiciliata;
-controricorrente –
AVVISO DI ACCERTAMENTO
Avverso la sentenza della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA CAMPANIA n. 3124/2023, depositata in data 12/5/2023;
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella camera di consiglio del 22 maggio 2025;
Fatti di causa
All’esito di una verifica fiscale conclusa con la notifica di un processo verbale di constatazione dal quale risultava l’inattendibilità della contabilità , l’Agenzia delle Entrate notificò alla NOME COGNOME e NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALEn.cRAGIONE_SOCIALE un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2015, con cui rettificò il reddito d’impresa dichiarato dalla società, formulando i seguenti rilievi: 1) omessa contabilizzazione di maggiori provvigioni per euro 129.618; 2) indebita deduzione di costi quali ‘quota di indennità di fine mandato a subagenti’ per euro 400.447; 3) indebita deduzione di costi quali sopravvenienze passive per euro 183.853,16.
Poiché il reddito accertato in capo alla società veniva imputato ai due soci in proporzione alla quota di partecipazione del 50% ciascuno, l’Agenzia delle Entrate notificò al socio NOME COGNOME un avviso di accertamento con il quale si rettificò il suo reddito di partecipazione conseguito nell’anno 2015 in euro 418.287.
Notificò inoltre al socio NOME COGNOME un avviso di accertamento con il quale si rettificò il suo reddito di partecipazione conseguito nell’anno 2015 in euro 418.287 .
Sia la società che i soci proposero distinti ricorsi dinanzi alla C.T.P. di Napoli che, dopo averli riuniti, li accolse in parte.
Su appello dell’Agenzia delle Entrate, la CGT-2 della Campania confermò la pronuncia di primo grado, con la sentenza richiamata in epigrafe.
Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Ha resistito con controricorso la società intimata.
Ragioni della decisione
Deve innanzitutto rilevarsi che il ricorso per cassazione non risulta essere stato notificato ai due soci della società di persone odierna controricorrente, nonostante che questa Corte, con orientamento costante, ritenga che nel caso in cui sia impugnato un avviso di accertamento notificato ad una società di persone, sono litisconsorti necessari del susseguente giudizio sia la società che i soci (v., tra le tante, Cass., Sez. 5-, Ordinanza n. 28060 del 30/10/2024).
Tuttavia, essendo il ricorso infondato, si può evitare di ordinare all’Agenzia delle Entrate di integrare il contraddittorio, facendo così prevalere, sulla necessità di un incombente che non porterebbe alcuna concreta utilità ai soci, il principio della ragionevole durata del processo ( ex multis , cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 2723 del l’ 8/02/2010 e Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 12515 del 21/05/2018).
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘ Nullità della sentenza e/o del procedimento e art. 111 Cost., 1, 2 e 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, 132 n. 4 e 156 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per difetto di motivazione, deducendo che la CGT-2 si sia limitata a parafrasare la struttura motivazionale della sentenza di primo grado.
1.1. Il motivo è infondato.
E’ vero che la motivazione della sentenza impugnata è piuttosto stringata, ma è anche vero che essa è sufficiente affinché sia considerato rispettato il cd. ‘minimo costituzionale’ ( Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 – 01).
Il giudice di appello ha, in sostanza, affermato, in continuità con la sentenza di primo grado, che le somme ritenute indeducibili dall’amministrazione si riferiscono alle quote accantonate per il pagamento delle indennità di fine mandato e che, con riferimento al terzo rilievo della ripresa fiscale, la società si era limitata a correggere l’indennità di fine mandato che non era stata calcolata in maniera congrua per gli anni 2013 e 2014.
Rispetto a tali affermazioni, che giustificano in maniera sufficiente la deducibilità delle poste in questione, l’amministrazione non sviluppa critiche puntuali, ma si limita a trascrivere stralci interi dell’atto di appello.
Né la ricorrente evidenzia quali fatti decisivi e oggetto di discussione tra le parti la CGT-2 avrebbe omesso di esaminare.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 109, 101, 105 d.P.R. n. 917 del 1986 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , l’amministrazione censura la sentenza impugnata per avere invertito l’onere della prova in merito all’inerenza dei costi deducibili.
2.1. Il motivo è infondato.
Il giudice di appello, nel pronunciare la sentenza impugnata, non ha invertito l’onere della prova, ma ha affermato, adesivamente alla sentenza di primo grado, che i costi indicati dalla società erano deducibili e che l’appello dell’amministrazione sul punto non era specifico.
Rispetto a tale affermazione, l’amministrazione ricorrente non indica a questa Corte quali fatti e quali prove avesse specificamente dedotto per confutare la deducibilità dei costi.
L’inesistenza o l’indeducibilità di costi, infatti, non può essere meramente affermata dall’amministrazione, sì da scaricare tout court l’onere della prova a carico del contribuente, ma deve attingere
quantomeno un livello di prova indiziaria, secondo il sistema delle presunzioni semplici, dopodiché incombe sul contribuente l’onere di provare l’esistenza o la deducibilità di quei costi (arg. da Cass., s ez. 5Sentenza n. 28628 del 18/10/2021, nonché da Cass., sez. 5Ordinanza n. 9723 del 10/04/2024).
Orbene, nel motivo in esame, l’Agenzia delle Entrate non indica nemmeno quali elementi presuntivi erano stati addotti a sostegno della indeducibilità dei costi, rispetto ai quali la società avrebbe dovuto, da parte sua, controdedurre ed offrire la prova contraria, positiva, della deducibilità.
Il ricorso è, in definitiva, integralmente infondato e deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Poiché è ricorrente l’Agenzia delle entrate, non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore della società controricorrente, al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano in euro 7.000,00, per compensi, oltre al rimborso delle spese generali, iva e c.p.a. come per legge, ed oltre ad euro 200,00 per spese vive.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 22 maggio 2025.