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Onere della prova costi: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società edile contro un avviso di accertamento per costi indeducibili. La Corte ha ribadito che, a fronte di un quadro presuntivo fornito dall’Agenzia delle Entrate sull’inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente l’onere della prova circa l’effettiva esistenza e inerenza dei costi. È stata inoltre respinta la doglianza sulla mancata allegazione del verbale di constatazione all’avviso, ritenuto sufficientemente motivato in quanto l’atto era già noto al contribuente. Infine, è stata dichiarata inammissibile la questione della doppia imposizione perché sollevata per la prima volta in appello.

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Pubblicato il 20 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della prova costi: la Cassazione detta le regole per le fatture sospette

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta la deducibilità di costi basandosi su fatture per operazioni ritenute inesistenti, su chi ricade l’onere della prova costi? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su questo tema, delineando i confini tra gli obblighi dell’Amministrazione finanziaria e quelli del contribuente. La decisione analizza anche i requisiti di motivazione degli avvisi di accertamento e i limiti alla proposizione di nuove eccezioni in giudizio.

I fatti del caso

Una società operante nel settore delle costruzioni impugnava un avviso di accertamento relativo a Ires, Irap e Iva per l’anno d’imposta 2004. L’Amministrazione finanziaria contestava la deducibilità di alcuni costi derivanti da fatture emesse da un’altra società, sostenendo che le operazioni fatturate fossero inesistenti.
La Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello della società, confermando la legittimità dell’accertamento. Secondo i giudici di merito, l’avviso era correttamente motivato per relationem, richiamando un processo verbale di constatazione già noto alla contribuente. Inoltre, la società non aveva fornito la prova, che su di essa gravava, dell’esistenza e dell’inerenza dei costi contestati. L’Agenzia, infatti, aveva raccolto diverse prove indiziarie, tra cui le dichiarazioni del legale rappresentante e dei dipendenti della società fornitrice, i quali negavano di conoscere la contribuente e di aver mai effettuato i lavori fatturati. Contro questa decisione, la società proponeva ricorso per cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso della società, confermando la sentenza di appello e condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali. I giudici hanno esaminato e respinto uno per uno i motivi del ricorso, fornendo importanti principi di diritto.

Analisi della motivazione e dell’onere della prova costi

Il primo motivo di ricorso riguardava un presunto vizio di motivazione dell’avviso di accertamento, poiché l’Amministrazione non aveva allegato il PVC e altri documenti relativi alle indagini. La Corte ha ritenuto il motivo infondato, chiarendo che l’obbligo di allegare gli atti citati sussiste solo quando questi hanno una funzione integrativa della motivazione. Se l’atto richiamato è già noto al contribuente o se il suo contenuto rilevante è già riportato nell’avviso, non è necessaria l’allegazione. Nel caso di specie, la sentenza impugnata aveva accertato che il PVC era “ritualmente conosciuto dalla contribuente”.

Il secondo motivo, centrale nella controversia, contestava l’inversione dell’onere della prova costi. La società sosteneva che dovesse essere l’Amministrazione a provare l’inesistenza dei costi. La Cassazione ha ribadito il suo orientamento consolidato: in tema di imposte sui redditi, spetta sempre al contribuente dimostrare l’esistenza, l’inerenza e la coerenza economica dei costi deducibili. Quando l’Amministrazione contesta l’inesistenza dell’operazione, può farlo anche tramite presunzioni. Se l’Ufficio fornisce un quadro probatorio presuntivo solido (come in questo caso, basato su dichiarazioni e mancanza di riscontri contabili), l’onere della prova costi si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. La mera regolarità formale delle scritture contabili e dei pagamenti non è sufficiente, poiché tali elementi sono spesso utilizzati proprio per mascherare operazioni fittizie.

La questione della doppia imposizione

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibili il terzo e il quarto motivo di ricorso, con cui la società lamentava una presunta doppia imposizione e l’omessa pronuncia su tale punto. I giudici hanno rilevato che questa doglianza era stata introdotta per la prima volta solo nel giudizio di appello, costituendo una domanda nuova, vietata dalla legge processuale. La novità della questione ne ha precluso l’esame nel merito in sede di legittimità.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su principi consolidati in materia tributaria. Sul piano della motivazione degli atti, viene ribadito il principio di collaborazione e buona fede: l’obbligo di allegazione non è un formalismo fine a se stesso, ma serve a garantire il diritto di difesa del contribuente. Se tale diritto non è leso perché l’atto è già conosciuto, la mancata allegazione non invalida l’avviso. Sul fronte probatorio, la Corte sottolinea che, mentre l’Amministrazione deve fornire elementi sufficienti a sostenere la pretesa impositiva, il contribuente che intende dedurre un costo dal proprio reddito è il soggetto che deve essere in grado di dimostrarne tutti i requisiti di legge: esistenza, inerenza, competenza e certezza. A fronte di un quadro indiziario grave, preciso e concordante fornito dall’Ufficio, l’inerzia probatoria del contribuente non può che portare al rigetto delle sue pretese.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per le imprese. La deducibilità dei costi non si basa solo sulla corretta registrazione contabile delle fatture, ma sulla sostanza economica delle operazioni sottostanti. È fondamentale conservare e poter produrre tutta la documentazione idonea a dimostrare non solo l’avvenuto pagamento, ma anche l’effettiva esecuzione della prestazione e la sua utilità per l’attività d’impresa. In caso di contestazione da parte del Fisco basata su solidi indizi di fittizietà, l’onere della prova costi ricade interamente sul contribuente, che dovrà fornire prove concrete e convincenti per superare le presunzioni dell’Amministrazione finanziaria.

Un avviso di accertamento è valido se non allega gli atti che richiama, come un processo verbale di constatazione (PVC)?
Sì, è valido se l’atto richiamato (il PVC) è già stato legalmente portato a conoscenza del contribuente o se il contenuto rilevante di tale atto è già stato riportato nell’avviso stesso. L’obbligo di allegazione serve a garantire il diritto di difesa, ma non si applica se il contribuente è già in possesso degli elementi per comprendere la pretesa fiscale.

In caso di contestazione di costi per operazioni ritenute inesistenti, chi ha l’onere della prova?
L’onere della prova finale spetta al contribuente. L’Amministrazione Finanziaria deve fornire un quadro di indizi (presunzioni) gravi, precisi e concordanti che facciano ragionevolmente dubitare dell’esistenza dell’operazione. Una volta fornito questo quadro, spetta al contribuente dimostrare con prove concrete l’effettiva esistenza e l’inerenza dei costi che intende dedurre.

È possibile sollevare per la prima volta in Cassazione una questione, come quella della doppia imposizione, non trattata nei gradi precedenti?
No. I motivi del ricorso per cassazione devono riguardare questioni già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello. Non è possibile introdurre per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove, a meno che non siano rilevabili d’ufficio. Nel caso di specie, la questione della doppia imposizione era stata sollevata per la prima volta in appello, rendendola inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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