Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10998 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10998 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ICI
sul ricorso iscritto al n. 14952/2017 del ruolo generale, proposto
DA
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, in ragione di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE.
– RICORRENTE –
CONTRO
il COMUNE DI COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE, in persona del Sindaco pro tempore , con sede in INDIRIZZO Gizzeria (CZ).
– INTIMATO – per la cassazione della sentenza n. 3436/1/2016 della Commissione tributaria regionale della Calabria (Catanzaro), depositata il 2 dicembre 2016, non notificata.
UDITA la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio celebratasi in data 5 dicembre 2024.
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è l’avviso di accertamento in atti con cui il Comune di Gizzeria liquidò l ‘ICI per l’anno d’imposta 2008 nella misura di 17.028,00 €, ritenuta dovuta dalla contribuente in relazione a vari immobili dalla medesima posseduti.
La suindicata Commissione respinse l ‘appello proposto dal la contribuente, ritenendo che:
fosse generica, a fronte dell’attribuzione catastale alla società delle particelle di terreno oggetto di accertamento, l’eccezione con cui la contribuente aveva dedotto di non essere titolare di taluni mappali oggetto di tassazione, senza però indicare quali di essi non fossero di sua proprietà;
-fosse « valida l’indicazione, quale responsabile dell’accertamento, della dr.ssa NOME COGNOME quale organo di RAGIONE_SOCIALE, soggetto abilitato a svolgere l’attività di riscossione per conto del Comune di Gizzeria»;
fosse ugualmente generica l’eccezione secondo cui alcune delle particelle erano destinate ad uso agricolo, non essendo state indicate quale di esse avessero tale destinazione, né essendo sufficiente, ai fini probatori, il contratto di uso agricolo prodotto in primo grado, non dimostrando l’attualità dell’utilizzo agricolo per il periodo oggetto di tassazione;
l’esistenza di un vincolo paesaggistico di tipo conformativo (e non inibitorio) incidesse solo sul valore del bene da tassare, ritenendo sul punto generica l’eccezione della contribuente volta a dedurre un minor valore senza tuttavia specificarlo.
Avverso tale pronuncia la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione, notificandolo in data 29 maggio/6 giugno 2017, formulando cinque motivi d’impugnazione , depositando in data 18 novembre 2024 memoria ex art. 380bis .1, c.p.c.
Il Comune di Gizzeria è restato intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente ha eccepito , in relazione all’art. 360, primo comma, n um. 3 e 4, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 36 d.lgs. n. 546/1992 « per mancato rispetto del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, erronea e carente indicazione delle richieste delle parti, carente esposizione dei motivi posti al momento della decisione, omissione di pronuncia e difetto di motivazione» (v. pagina n. 10 del ricorso).
Nello specifico, l’ istante ha lamentato l’errato riferimento nella pronuncia in esame sia alla sentenza appellata (che non era la n. 1166/05/2015, ma la n. 61/05/2016), che all’anno di imposta (che non era il 2005, ma il 2008), nonché l’omessa indicazione delle richieste della ricorrente e l’omessa pronuncia su alcune di esse, senza esporre i motivi posti a base della decisione.
1.1. La doglianza va respinta.
L’erronea indicazione della sentenza appellata e dell’anno d’imposta della tassa in esame non risultano aver inciso per lo meno ciò non è stato allegato dalla contribuente – sulla riferibilità della decisione alla sentenza di primo grado ed all’imposta in oggetto, risultando in tale contesto il dedotto vizio riconducibile ad un mero ed ininfluente errore materiale.
Il motivo si palesa, invece, del tutto generico e, come tale, inammissibile nella parte in cui ha lamentato l’omessa indicazione delle « richieste della ricorrente » e l’omessa pronuncia « su alcune richieste della ricorrente» (v. pagina n. 11 del ricorso), senza considerare che la Commissione ha rinviato alle «conclusioni come da verbale» (v. sentenza) e, soprattutto, senza specificare il contenuto di dette, non altrimenti decifrabili, «richieste».
La motivazione della sentenza poi esiste, per come sopra riportata, e non può considerarsi apparente, risultando chiare le ragioni della decisione, restando, per altro verso, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (v., tra le tante, Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass., Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass., Sez. U., 9 giugno 2017, n. 14430; Cass., Sez. U., 19 giugno 2018, n. 16159; Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9558 e Cass., Sez. U., 31 dicembre 2018, n. 33679; Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., Sez. T, 31 gennaio 2023, n. 2689; e da ultimo Cass., Sez. T., 29 luglio 2024, n. 21174).
Appena aggiungendo sul punto che il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, non è tenuto cioè a discutere ogni singolo elemento o a argomentare sulla condivisibilità o confutazione di tutte le deduzioni difensive, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, num. 4, c.p.c., che esponga gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati, ma considerati subvalenti rispetto alle ragioni della decisione (cfr. Cass., Sez. T, 19 maggio 2024, n. 12732; Cass., Sez. VI/T, 2 febbraio 2022, n. 3108, che richiama
Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937; Cass., Sez. VI, 17 maggio 2013, n. 12123 e anche Cass., Sez. I, 31 luglio 2017, n. 19011, Cass., Sez. I, 2 agosto 2016, n. 16056 e Cass., Sez. T., 24 giugno 2021, n. 18103).
Con la seconda censura la contribuente ha dedotto, in base ai parametri di cui all’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 3 d.lgs. n. 504/1992, in ragione dell’asserita inesistenza o mancanza di prova del presupposto impositivo, vale a dire della titolarità dei beni « seppure limitatamente ad alcune particelle di terreno indicate nell’avviso di accertamento» (v. pagina n. 11 del ricorso), contestando la decisione impugnata, in quanto « agli atti non vi è prova di alcuna attribuzione catastale: non vi è infatti alcuna visura o certificato catastale », osservando ancora che « le risultanze catastali non hanno alcuna efficacia probatoria della titolarità del diritto di proprietà» (v. pagina n. 12 del ricorso), sottolineando infine che l’onere della prova relativamente al presupposto impositivo gravava sull’ente impositore.
2.1. Anche tale motivo non ha fondamento.
Intanto, esso pecca di autosufficienza, perché non riporta, né riassume il contenuto dell’avviso impugnato in parte qua .
Inoltre, la censura si scontra frontalmente con l’accertamento fattuale compiuto dalla Commissione circa « l’attribuzione catastale alla società delle particelle di terreno interessate dall’accertamento» (v. pagina n. 2 della sentenza) e coinvolge la Corte in un consentito riesame dell’accertamento di merito eseguito dal Giudice regionale.
Sotto altro profilo, non può che riaffermarsi il principio, al quale la Commissione distrettuale si è attenuta, secondo cui, al di fuori dell’ipotesi della rivendicazione, per la quale l’art. 948 c.c., prevede
un regime probatorio rigoroso, la proprietà può essere provata, come tutti i fatti, anche con presunzioni e quindi anche attraverso il ricorso alle risultanze catastali (così Cass., Sez. II, 18 marzo 2019, n. 7567/2019, che richiama Cass., Sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16094).
A fronte, quindi, tale presunzione di appartenenza dei beni alla società, competeva, dunque, alla stessa dimostrare il contrario e la decisione impugnata si è uniformata a tale principio.
Con il terzo motivo di impugnazione la contribuente ha denunciato in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2, comma 1 lettera c ), d.lgs. n. 504/1992 e 2135 c.c., « per la mancata considerazione dell’uso agricolo delle proprietà della RAGIONE_SOCIALE» (v. pagina n. 13 del ricorso), ritenendo infondata e priva di motivazione l’affermazione secondo la quale « il contratto di uso agricolo non dimostra l’attualità dell’uso agricolo per il periodo soggetto a tassazione» (v. pagina n. 13 del ricorso).
3.1. Anche in tal caso valgono le osservazioni sopra svolte in tema di motivazione apparente.
Il ragionamento del Giudice regionale risulta essersi esplicitato in termini chiari, avendo ritenuto che il contratto prodotto non dimostrasse la destinazione ad uso agricolo del bene nell’anno di imposta di riferimento.
Corretta o meno che sia, la motivazione esiste, mentre il motivo tradisce, nella parte in cui assume l’infondatezza di tale valutazione, un uso improprio del paradigma censorio prescelto (art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c.), celando, in realtà, sotto il regime della violazione di legge, un mero, generico, dissenso rispetto alla valutazione compiuta dalla Corte.
Con la quarta ragione di contestazione, la società ha dedotto, con riguardo ai canoni di cui all’art. 360, primo comma, num. 3 e 4, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 1, commi 161 e 162, della legge n. 296/2006, degli artt. 4 e 11 d.lgs. n. 504/1992 e dell’art. 2967 c.c., osservando, sotto un primo aspetto, che il potere di procedere all’accertamento di ufficio in materia di imposta comunale sugli immobili è conferito esclusivamente all’ente comunale e, sotto altro versante, che non erano stati dimostrati i poteri di RAGIONE_SOCIALE, ritenuto dalla Commissione soggetto abilitato a svolgere l’attività di riscossione, nonché la qualità di organo di tale società da parte della dr.ssa COGNOME
4.1. Neanche tale motivo merita di essere accolto, per più ragioni.
Innanzitutto, la doglianza si rivela errata nella sua prima parte, giacchè il Comune, in applicazione del l’art. 52 d.lgs. n. 446/1997, che regola la potestà regolamentare generale dei comuni, può affidare ai soggetti terzi indicati nella norma suddetta (ritenendo ciò “più conveniente sotto il profilo economico o funzionale”) il servizio non solo di riscossione delle imposte locali, ma anche di accertamento mediante apposita convenzione (cfr., ex multis, Cass. n. 24276/2019).
Sotto altro profilo, deve osservarsi che non risulta violato l’art. 2697 c.c., non essendo stato rovesciato il criterio di riparto dell’onere della prova, avendo il Giudice regionale « ritenuta valida la indicazione come responsabile dell’accertamento della dr.ssa NOME COGNOME quale organo di RAGIONE_SOCIALE, soggetto abilitato a svolgere l’attività di riscossione per conto del comune di Gizzeria» (così nella sentenza impugnata), il che -contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente -ha posto sulla contribuente l’onere di dimostrare l’illegittimità dell’affidamento dell’incarico alla società di riscossione.
Questa Corte, infatti, ha chiarito che, ove il Comune, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 446/1997, affidi il servizio di accertamento e riscossione ai soggetti terzi indicati nella suddetta norma, il potere di accertamento è demandato al concessionario, al quale è pertanto conferita anche la legittimazione processuale per le relative controversie, sicché, in caso di contestazione della legittimità della delega, grava sul contribuente l’onere di specificarne i profili di illegittimità (cfr. Cass., Sez. T., 30 settembre 2019, n. 24276).
Si spiega allora come non sia utile alle aspettative della ricorrente il rilievo secondo il quale «non si comprende in forza di quali elementi probatori, la CTR di Catanzaro ritenga che la dr.ssa COGNOME sia organo (?) della RAGIONE_SOCIALE e che la RAGIONE_SOCIALE sia soggetto abilitato a svolgere l’attività di riscossione per conto del Comune di Gizzeria» (v. pagina n. 14 del ricorso), dovendo essere l’istante a provare l’illegittimità dell’affidamento.
Con la quinta ed ultima ragione di contestazione l’istante ha dedotto, con riferimento ai paradigmi di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, 4 e 5, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 212/2000, 97 Cost., 2697 c.c., 3, lett. b ) della legge n. 241/1990, nonché degli artt. 2 e 5, comma 5, ed 11, comma 2, d.lgs. n. 504/1992, oltre che dell’art. 1, comma 162, della legge n. 296/2006, «per la carenza di motivazione dell’atto impugnato» (v. pagina n. 15 del ricorso), lamentando che:
-« non è il ricorrente che deve dedurre il valore dell’area fabbricabile, ma è l’avviso di accertamento che deve contenere una sua motivazione tale da rendere evidenti e chiari i criteri adottati dall’ente impositore nella determinazione della base imponibile. » (v. pagina n. 15 del ricorso);
-« l’accertamento in questione non contiene, né esprime né prevede un parametro oggettivo di valutazione delle aree
fabbricabili; non contiene alcuna considerazione, né riferimento ai valori reali di mercato, né tanto meno alle effettive capacità edificatori non contiene alcun riferimento e alcuna valutazione dell’esistenza (pacifica) del vincolo paesaggistico che in base a quanto asserito dalla stessa CTR incide sul valore da tassare» (v. pagine nn. 19 e 20 del ricorso);
-« il Comune non ha effettuato, né provato le valutazioni estimative in forza delle quali avrebbe dovuto determinare la base imponibile » (v. pagina n. 20 del ricorso);
-« il Comune di Gizzeria avrebbe dovuto tener conto nel suo atto di tutto quanto incide su ll’effettività dello ius aedificandi » (v. pagina n. 21 del ricorso).
5.1. Il motivo risulta inammissibile per più ragioni.
In primo luogo , perché esso è declinato come motivo ‘misto’, essendo stati dedotti sia l’omesso esame di un fatto decisivo, sia la violazione o falsa applicazione di legge, che il difetto di motivazione , con conseguente applicazione del principio per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili.
E ciò perché -diversamente da quanto è emerso nel quarto motivo, in cui le due ragioni di contestazione non si sono sovrapposte tra loro -la suddetta formulazione della censura in esame mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il
compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. tra le tante, da ultimo, Cass., Sez. L, 6 febbraio 2024, n. 3397, che richiama Cass., Sez. I., 23 ottobre 2018, n. 26874; Cass, Sez. IV/III, 17 marzo 2017, n. 7009; Cass., Sez. I, 20 settembre 2013, n. 21611; Cass., Sez. I, 23 settembre 2011, n. 19443).
In secondo luogo, ma in diretta connessione con il primo rilievo, perché il motivo, nel contestare la carenza di motivazione dell’avviso impugnato e la base imponibile ha sovrapposto profili del tutto distinti, confondendo, in particolare, la motivazione dell’avviso con la dimostrazione (prova) dei fatti costitutivi della pretesa fiscale, senza considerare che «La motivazione dell’avviso di accertamento costituisce requisito formale di validità dell’atto impositivo, distinto da quello dell’effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nell’eventuale giudizio avente ad oggetto detta pretesa (così, tra le tante, Cass., Sez. T., 14 maggio 2024, n. 13305, che richiama Cass., Sez. V, 21 febbraio 2020, n. 4639).
Ancora, la censura pecca di autosufficienza nella parte in cui assume l’esistenza di un vizio di motivazione dell’avviso impugnato (v. il suo incipit : « no n è il ricorrente che deve dedurre il valore dell’area fabbricabile, ma è l’avviso di accertamento che deve contenere una sua motivazione tale da rendere evidenti e chiari i criteri adottati dall’ente nella determinazione della base imponibile: In assenza di detta motivazione vi è violazione del diritto di difesa del contribuente» (v. pagina n. 15 del ricorso), dolendosi, al fondo, dell’implicita motivazione del Giudice regionale circa la sua adeguatezza.
In tale prospettiva, difatti, il motivo omette di trascrivere o riassumere, anche in sintesi e per quanto rileva, il contenuto rilevante dell’avviso di accertamento impugnato.
Va allora ribadito che il consolidato principio espresso da questa Corte secondo cui « qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento -il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell ‘ atto stesso -è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente (ndr. o quantomeno riassuma) i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo», occorrendo assolvere al duplice onere imposto dall ‘ art. 366, primo comma, num. 6., c.p.c. di produrre agli atti il documento contestato e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso (così, tra le tante, Cass., Sez. T, 27 giugno 2023, n. 18387; Cass., Sez. T, 21 giugno 2023, n. 17840, che richiama cfr. Cass., Sez. V, 28 giugno 2017, n. 16147, Cass. Sez. V, 13 febbraio 2015, n. 2928, Cass., Sez. V, 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., Sez. V, 19 dicembre 2022, n. 37170; Cass., Sez. 5 civ., 13 novembre 2018, n. 29093, che richiama Cass. Sez. VI/III, 28 settembre 2016, n. 19048 e, sul piano generale, Cass., Sez. U. civ., 27 dicembre 2019, n. 34469; Cass., Sez. T., 25 ottobre 2022, n. 31554, che richiama Cass., Sez. V, 4 aprile 2013, n. 8312, Cass., Sez. V, 19 aprile 2013, n. 9536, Cass., Sez. V, 10 dicembre 2021, n. 39283, Cass., Sez. V, 6 novembre 2019, n. 28570, Cass., Sez. V, 14 marzo 2022,
n. 8156, Cass., Sez. VI/V, 11 maggio 2022, n. 14905 ed ancora Cass., Sez. I, 19 aprile 2022, n. 12481).
Alla stregua delle complessive ragioni che precedono il ricorso va respinto.
Non vi è ragione di liquidare le spese del presente grado di giudizio, non avendo il Comune di Gizzeria svolto difese.
Nondimeno, va dato atto che sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte della ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte della ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 dicembre 2024.