Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21526 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21526 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 3727/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentata e difesa dall’ avvocato NOME COGNOME in forza di procura speciale a margine del ricorso per cassazione (PEC: EMAIL
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle Entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 3325/10/2020, depositata il 19.06.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Messina rigettava il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso un avviso di
Oggetto:
Tributi
accertamento relativo ad Ires, Irap, Iva ed altro, per l’anno d’imposta 2005;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Sicilia rigettava l’appello proposto dalla società contribuente, osservando, per quanto qui ancora rileva, che:
-l’avviso di accertamento impugnato era stato legittimamente motivato poiché lo stesso richiamava per relationem il processo verbale di constatazione, ritualmente conosciuto dalla contribuente, la cui copia era stata prodotta nel giudizio dall’Agenzia delle entrate;
-la prova dell’inerenza e dell’esistenza dei costi, che gravava sulla contribuente, in quanto soggetto onerato di dimostrare l’imponibile maturato, non era stata, nella specie, fornita;
-la contribuente non aveva giustificato i costi contestati dall’ Amministrazione finanziaria per mancanza di inerenza, in relazione ad alcune fatture in cui non vi era corrispondenza tra il luogo di destinazione dei beni indicato nelle fatture e quello risultante dal documento di trasporto; in particolare, il luogo di destinazione della merce non coincideva né con la sede dell’impresa o un deposito della stessa, né con il luogo in cui era stato avviato il cantiere edilizio e questo era sintomo dell’esistenza di un costo non inerente ;
-l’assunto dell’Agenzia , secondo cui quanto contabilizzato e dichiarato dalla società con riferimento alla vendita dei beni immobili non corrispondeva alla realtà, trovava adeguato riscontro non solo nelle valutazioni de ll’OMI (osservatore mercato immobiliare), ma anche -e soprattutto -nelle dichiarazioni rese dagli acquirenti degli immobili, in merito ai prezzi corrisposti che non trovavano pieno riscontro nella contabilità della società; inoltre, la società non aveva offerto una ricostruzione della contabilità alternativa, al fine di neutralizzare il ragionamento induttivo operato dall’amministrazione finanziaria, limitandosi ad affermare che i ricavi complessivi del
periodo 2003-2007 erano superiori al prezzo complessivo delle vendite effettuate nello stesso periodo, senza considerare che le singole operazioni non trovavano conferma nella documentazione contabile della società;
-la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi;
l ‘Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42 d.P.R. n. 600/1973 e 56 d.P.R. n. 633/1972, in relazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere il Collegio ritenuto validamente motivato l’avviso di accertamento, sebbene non vi fosse stato allegato il PVC, depositato nel giudizio solo in appello ed incompleto, in quanto privo degli allegati; in particolare, non erano stati allegati i questionari inviati ai cessionari con le relative risposte e gli atti di mutuo; aggiunge che l’Ufficio non aveva motivato sulle differenze delle somme imputate a ricavi non dichiarati, accertate sulla base del raffronto tra i ricavi registrati e dichiarati e le differenze ritraibili dai contratti di mutuo, non motivando neppure in ordine alle dichiarazioni rilasciate dagli acquirenti che confermavano, quale prezzo pagato per la compravendita, quello dichiarato nel rogito;
il motivo è infondato;
con riferimento alla disciplina introdotta dal c.d. Statuto dei diritti del contribuente, ratione temporis applicabile, si è statuito che, in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (art. 7, l. n. 212 del 2000) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione finanziaria,
sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, legge 7 agosto 1990, n. 241, nel senso che il contribuente ha diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non ha il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto;
pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass. n. 28756 del 2020; n. 11866 del 2018);
dalla sentenza impugnata si evince che l’avviso di accertamento era ‘ legittimamente motivato, richiamando per relationem il processo verbale di constatazione ritualmente conosciuto dalla contribuente ‘ ;
la ricorrente, invece, oltre a non impugnare specificatamente la statuizione secondo la quale il PVC era ‘ritualmente conosciuto dalla contribuente’, non ha spiegato, in concreto, le ragioni specifiche per le quali avrebbero dovuto essere allegati ulteriori atti o documenti (specificamente gli allegati dinanzi indicati), indicando in quale modo tale omissione avrebbe leso il suo diritto di difesa, posto che in ricorso si riferisce che le dichiarazioni rilasciate dagli acquirenti erano comunque riportate nel p.v.c.: in realtà si è limitata ad esporre generiche doglianze in relazione ad atti non conosciuti;
nella sostanza, col motivo si sovrappone al piano dell’allegazione quello della prova (significativamente si lamenta in ricorso che
l’Ufficio non ha tenuto conto delle dichiarazioni degli acquirenti) , dovendosi, invece, distinguere il piano della motivazione dell’avviso di accertamento da quello della prova della pretesa impositiva e, corrispondentemente, l’atto a cui l’avviso si riferisce dal documento che costituisce mezzo di prova (Cass. n. 8016 del 2024);
– con il secondo motivo la contribuente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600/1973, 54 e 55 d.P.R. n. 633/1972, 35, comma 23-bis d.l. n. 223/2006, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto legittimo il metodo di accertamento adottato dall’Ufficio per la rettifica, sebbene la ricostruzione dei maggiori ricavi si fondi su elementi illegittimi e contrastati dai fatti; precisa che l’accertamento non poteva fondarsi sulle valutazioni dell’OMI, se non integrato da altri elementi validamente accertabili; aggiunge che le dichiarazioni rese dagli acquirenti, che peraltro confermavano il prezzo indicato negli atti di acquisto, non erano allegate all’avviso di accertamento e al PVC depositato in atti e che le differenze non potevano essere rilevate dai documenti relativi ai mutui, in quanto l’art. 35, comma 23bis del d.l. n. 223 del 2006 era entrato in vigore in data 4.07.2006;
– il motivo è infondato;
-occorre rammentare, in proposito, che l’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008) ha modificato l’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 (così come l’art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA), eliminando le disposizioni introdotte dall’art. 35 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, a seguito di un parere motivato del 19 marzo 2009 della Commissione europea, la quale, nell’ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, aveva rilevato l’incompatibilità -in relazione, specificamente, all’IVA, ma con valutazione ritenuta estensibile dal
legislatore nazionale anche alle imposte dirette -di tali disposizioni con il diritto comunitario;
a seguito di tale modifica è stata ripristinata la disciplina normativa anteriore al luglio 2006, con la soppressione della presunzione legale iuris tantum di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, con la conseguenza che il giudice può, in generale, desumere l’esistenza di attività non dichiarate anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti, e ciò con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto unionale, che ha spinto il legislatore nazionale del 2009 ad intervenire (Cass. n. 9474 del 2017, Cass. n. 26487 del 2016 e Cass. n. 20419 del 2014);
la decisione impugnata ha correttamente applicato il mutato assetto normativo ai principi sopra richiamati, avendo considerato anche gli altri elementi probatori sui quali si fondava l’accertamento , fra cui l’importo de i mutui ipotecari richiesti dagli acquirenti, e avendo verificato che questi, unitamente ai dati desumibili dall’O.M.I., integravano un quadro presuntivo grave, preciso e concordante, posto che le ‘ dichiarazioni rese dagli acquirenti in merito ai prezzi corrisposti ‘ non trovavano ‘ pieno riscontro nella contabilità della società ‘ , sicché la censura impinge nel merito richiedendo, nella sostanza, una rivalutazione del materiale probatorio esaminato dal giudice di appello, per giungere ad un risultato opposto a quello stabilito nella sentenza impugnata;
con il terzo motivo deduce la violazione e/o falsa interpretazione delle norme di cui agli artt. 39 d.P.R. n. 600/1973, 54 e 55 d.P.R. n. 633/1972, 109, comma 2, d.P.R. n. 917/1986 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., perché la CTR, ai fini della imputazione dei maggiori ricavi al periodo d’imposta 2005, non ha considerato tutti i ricavi dichiarati, riconducibili all’unico fabbricato in
relazione al quale si è concentrata tutta l’attività di costruzione e vendita, esercitata dalla contribuente nel periodo dal 2003 al 2007, ma solo quanto riportato negli atti di vendita, stipulati in ciascun anno d’imposta, senza tenere conto anche delle caparre confirmatorie che, pur non costituendo ricavi nel periodo di riscossione, influenzano il bilancio nel periodo d’imposta (ai fini IVA e delle imposte dirette) in cui viene stipulato l’atto di trasferimento, provocando un possibile effetto di duplicazione;
il motivo è inammissibile sia per difetto di specificità, non avendo la ricorrente riportato, nel testo del ricorso per cassazione, il contenuto dei documenti a cui fa riferimento nel formulare detta censura, sia perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata;
i giudici di appello hanno, infatti, rilevato che la contribuente non aveva offerto ‘ una ricostruzione della contabilità alternativa, al fine di neutralizzare il ragionamento induttivo operato dall’amministrazione finanziaria, limitandosi ad assumere che i ricavi complessivi del periodo 2003 -2007 sono superiori al prezzo complessivo delle vendite effettuate nello stesso periodo. Ciò, peraltro, non appare sufficiente per escludere quanto accertato dall’Amministrazione finanziaria, considerato che ciascuna operazione singola deve trovare pieno riscontro nella documentazione contabile della società; il chè nella fattispecie in esame non avviene ‘;
con il quarto motivo, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’ art. 109 del d.P.R. n. 917/86 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la CTR ritenuto deducibili i costi, per complessivi € 28.540,65 , derivanti da fatture emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE, relativa alla fornitura e posa in opera degli infissi in alluminio, cancelli di ferro e pannelli di legno, per mancanza di inerenza, solo perché il luogo di destinazione indicato
nei documenti di accompagnamento era diverso da quello indicato in fattura, con conseguente indetraibilità dell’IVA, nonostante la tipologia dei beni non creasse alcun dubbio sulla loro inerenza e la diversa destinazione dipendesse dal fatto che in quel periodo l’edificio era ancora in costruzione e non vi si poteva stoccare il materiale al suo interno;
il motivo è infondato;
come ha più volte precisato questa Corte, ‘In tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa’ ( ex plurimis , Cass. n. 13300 del 2017);
anche in tema di IVA, questa Corte ha condivisibilmente affermato che, ai fini della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente, in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato (Cass. n. 18904 del 2018);
a tale proposito occorre considerare che, sia in tema di imposizione diretta sia in tema di IVA, la fattura costituisce elemento probatorio a favore dell’impresa solo se redatta in conformità ai requisiti di forma e di contenuto prescritti dall’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972 e, quindi, idonea a rivelare compiutamente natura, qualità e quantità
delle prestazioni attestate (Cass. n. 21980/15, n. 21446/14, n. 24426/13, n. 9108/12, n. 5748/10), sebbene il contribuente possa integrare il contenuto della fattura con elementi di prova idonei a dimostrare la deducibilità dei costi (Cass. n. 1147/2010; n. 20719 del 2024);
-con particolare riferimento all’IVA, la Corte di giustizia (con sentenza 15 settembre 2016, causa C-516/14, Barlis RAGIONE_SOCIALE c. RAGIONE_SOCIALE e Aduaneira ), seguita dalla giurisprudenza interna (Cass. n. 23384 del 2017, n. 10211 e n. 13882 del 2018; n. 29290 del 2018; n. 18208 del 2021; n. 20719 del 2024), nell’esaminare le condizioni formali di esercizio del diritto di detrazione dell’imposta, ha considerato che la normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (art. 226, punto 6 della direttiva n. 2006/112, di contenuto analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonché della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi; ciò al fine di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA. L’Amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, dall’art. 219 della direttiva 2006/112, che assimila a una fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale. Incombe, tuttavia, su colui che chiede la detrazione dell’IVA l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’Amministrazione ritenga necessari per valutare se si
debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta ( ex plurimis , Cass. n. 32483 del 2024);
nella specie, la CTR ha accertato che, a fronte delle incongruenze tra le fatture e i documenti di trasporto circa il luogo di effettiva destinazione dei beni acquistati, la contribuente non aveva fornito alcuna prova a supporto delle giustificazioni addotte per spiegare la rilevata discrasia, dato che il luogo di destinazione della merce non coincideva né con la sede dell’impresa o un deposito della stessa, né con il luogo in cui era stato avviato l’unico cantiere edilizio, confermando la mancanza del requisito di inerenza di detti costi, non essendo stata dimostrata la loro concreta destinazione all’esercizio dell’attività di impresa ;
con il quinto motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 , comma 5, d.lgs. n. 472/97, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per la errata liquidazione ed irrogazione delle sanzioni;
con il sesto motivo denuncia la v iolazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 36 d.lgs. 546/92 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. per non essersi la CTR pronunciata in ordine alla censura relativa all’applicazione delle sanzioni per la violazione dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997;
il sesto motivo è fondato, con assorbimento del quinto motivo;
a fronte di una specifica censura sulle sanzioni, proposta con il ricorso introduttivo (p. 5 e ss.) e riproposta con l’atto di appello (p. 9), la CTR non si in alcun modo pronunciata sull’entità delle sanzioni in relazione all’applicabilità dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997;
in conclusione, va accolto il sesto motivo di ricorso, assorbito il quinto e rigettati i restanti motivi; la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, in
diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, assorbito il quinto, e rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 29 aprile 2025 .