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Onere della prova: contratto fittizio e IVA indetraibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 13870/2025, ha annullato una sentenza di merito in materia di IVA. Il caso riguardava un contratto di appalto riqualificato dall’Amministrazione Finanziaria come somministrazione illecita di manodopera. La Corte ha chiarito che, a fronte di presunzioni dell’Ufficio sull’inesistenza dell’operazione, l’onere della prova di dimostrare la realtà del servizio spetta al contribuente. La sentenza impugnata è stata cassata anche per motivazione apparente, poiché non spiegava adeguatamente perché le prove dell’Ufficio fossero state disattese.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova: Contratto Fittizio e IVA Indetraibile

L’ordinanza n. 13870/2025 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sull’onere della prova in ambito fiscale, specialmente quando un contratto d’appalto viene contestato dall’Amministrazione Finanziaria perché ritenuto una simulazione per nascondere una somministrazione illecita di manodopera. La decisione chiarisce come si ripartisce il dovere di dimostrare i fatti tra Fisco e contribuente e quali sono i requisiti minimi di una motivazione giudiziale per essere considerata valida.

I Fatti del Caso: Un Appalto Sotto la Lente del Fisco

Una società per azioni riceveva un avviso di accertamento per il periodo d’imposta 2008. L’Agenzia delle Entrate aveva riqualificato un contratto di appalto di servizi, stipulato dalla società con un’altra impresa, come un contratto di somministrazione illecita di manodopera. Di conseguenza, l’Ufficio aveva rideterminato l’IVA dovuta, negando la detrazione dell’imposta relativa a tale contratto e applicando interessi e sanzioni.

La società contribuente impugnava l’atto e otteneva ragione sia in primo grado (Commissione Tributaria Provinciale) sia in appello (Commissione Tributaria Regionale). L’Amministrazione Finanziaria, non soddisfatta, ricorreva per la cassazione della sentenza di secondo grado, lamentando principalmente due vizi: la violazione delle norme sull’onere della prova e la nullità della sentenza per motivazione apparente.

La Ripartizione dell’Onere della Prova secondo la Cassazione

Il punto centrale della controversia riguarda chi deve provare cosa. La Suprema Corte, accogliendo il ricorso del Fisco, ha ribadito principi consolidati in materia. Nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, come una prestazione di servizi mascherata da un fittizio contratto di appalto, l’onere della prova si articola in due fasi:

1. L’Amministrazione Finanziaria: Deve fornire elementi, anche presuntivi, che facciano dubitare della veridicità dell’operazione. Esempi tipici sono la mancanza, da parte della società appaltatrice, di un’adeguata struttura organizzativa (mezzi, personale, locali) per eseguire la prestazione pattuita.
2. Il Contribuente: Una volta che il Fisco ha fornito questi indizi, la palla passa al contribuente. Spetta a quest’ultimo dimostrare l’effettiva esistenza e la natura delle operazioni contestate. La Corte chiarisce che, a tal fine, non è sufficiente esibire la fattura o le scritture contabili, poiché questi documenti sono spesso creati proprio per dare un’apparenza di realtà a un’operazione fittizia.

Nel caso specifico, la Commissione Tributaria Regionale aveva errato, gravando l’Ufficio di una prova piena dell’inesistenza, invertendo di fatto le regole stabilite dall’art. 2697 del codice civile.

La Critica alla Motivazione Apparente

Strettamente connesso al primo motivo è il vizio di motivazione. La Cassazione ha ritenuto che la sentenza d’appello fosse affetta da “motivazione apparente”. I giudici di merito, infatti, si erano limitati a smentire le presunzioni del Fisco con argomentazioni superficiali e illogiche, come il semplice riferimento alla “possibilità” per l’appaltatore di usare le strutture del committente, senza spiegare perché tale circostanza fosse sufficiente a provare la genuinità del contratto.

Inoltre, la CTR aveva dato peso eccessivo a elementi formali (come le autorizzazioni in materia lavoristica possedute dall’appaltatore) senza confrontarsi con gli altri elementi di fatto portati dall’Ufficio, quali i mancati versamenti di imposte e contributi, la scarsa chiarezza della documentazione contrattuale e, soprattutto, la mancanza di una struttura operativa adeguata. Questo approccio meramente formale, che non entra nel merito della sostanza economica dell’operazione, rende la motivazione incomprensibile e, quindi, nulla.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su principi giurisprudenziali consolidati. In primo luogo, ha ricordato che la somministrazione irregolare di manodopera, mascherata da appalto, rende la prestazione fatturata inesistente e, di conseguenza, l’IVA relativa indetraibile. L’esborso sostenuto dall’apparente appaltante è privo di giustificazione causale e non può essere dedotto come costo.

In secondo luogo, ha ribadito che la prova dell’inesistenza oggettiva delle operazioni, a carico del Fisco, può essere fornita tramite presunzioni semplici e precise. Spetta poi al contribuente fornire la prova contraria della reale esistenza delle operazioni, prova che non può esaurirsi nella mera esibizione della documentazione contabile.

Infine, la Corte ha sottolineato che una sentenza deve avere una motivazione che permetta di comprendere l’iter logico-giuridico seguito dal giudice. Una motivazione che si limita a enunciazioni generiche o che ignora elementi di prova cruciali è solo apparente e viola la legge, determinando la nullità della decisione.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia per un nuovo esame. La decisione ribadisce un messaggio chiaro per le imprese: la forma non può prevalere sulla sostanza. Non basta avere un contratto formalmente corretto se poi la realtà operativa è diversa. In caso di accertamento fiscale, il contribuente deve essere pronto a dimostrare con prove concrete la realtà e l’inerenza delle operazioni economiche, al di là dei soli documenti formali. La corretta gestione e documentazione dei rapporti con i fornitori di servizi diventa, quindi, un elemento cruciale per evitare pesanti contestazioni fiscali.

In caso di contestazione di un appalto fittizio, a chi spetta l’onere della prova?
L’onere della prova è ripartito: l’Amministrazione Finanziaria deve inizialmente fornire elementi presuntivi (es. mancanza di struttura dell’appaltatore) che mettano in dubbio la genuinità dell’operazione. Successivamente, spetta al contribuente dimostrare con prove concrete l’effettiva esistenza della prestazione contestata.

Perché la sentenza del giudice d’appello è stata annullata per “motivazione apparente”?
La sentenza è stata annullata perché le sue motivazioni erano illogiche, superficiali e non spiegavano in modo comprensibile perché le prove presentate dall’Amministrazione Finanziaria fossero state ritenute insufficienti. Si è limitata a considerazioni formali senza analizzare la sostanza dei fatti.

È sufficiente presentare la fattura per dimostrare l’effettività di un’operazione e detrarre l’IVA?
No. Secondo la Corte, l’esibizione della fattura o delle scritture contabili non è sufficiente a provare l’esistenza dell’operazione, in quanto tali documenti vengono spesso utilizzati proprio per dare un’apparenza di realtà a operazioni fittizie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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