Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33190 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33190 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
Oggetto: Tributi
IVA 2003 Giudizio di rinvio-
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 26175 del ruolo generale dell’anno 20 19, proposto
Da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio legale COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, n. 9037/18/2018, depositata in data 18 dicembre 2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME di Nocera;
RILEVATO CHE
All’esito di indagine condotta dal Nucleo di Polizia Tributaria a carico di RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti ‘ATF’), l’Agenzia delle entrate -Ufficio di Frosinone, notificava a quest’ultima l’atto con cui veniva irrogata una sanzione amministrativa per assunta tardiva fatturazione di operazione imponibile Iva nell’anno 2003. In particolare, veniva contestato dall’Amministrazione che sebbene nel contratto, stipulato 10 aprile 2002 e avente decorrenza il 1.1.2003, con cui la ATF aveva concesso in locazione a RAGIONE_SOCIALE il ramo d’azienda d’imbottigliamento, fosse stata apposta , tra le altre, la condizione sospensiva che, entro il 31.12.2002, doveva realizzarsi la cessione a titolo oneroso da parte di ATF delle scorte di magazzino (art. 12, lett. f), la relativa fatturazione da parte della contribuente era stata effettuata tardivamente in data 8.8.2003.
2.Avverso il suddetto atto di contestazione, ATF proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Frosinone che con sentenza n. 13/2/2008, lo rigettava.
La Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, con la sentenza n. 383/40/11 accoglieva il gravame della società contribuente ritenendo non provata la tardiva fatturazione né risultante dall’esame del contratto di affitto l’automatica cessione delle scorte di magazzino e dei crediti essendo lo stesso sottoposto ad una serie di condizioni sospensive.
Con ordinanza n. 8948 del 2018, la Corte di cassazione accoglieva il ricorso dell’Agenzia, con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione.
In particolare, per quanto di interesse, in accoglimento di entrambi i motivi di ricorso (per violazione dell’art. 2697 c.c. e per vizio motivazionale), la Corte ha osservato che se -a fronte del contratto di affitto di ramo d’azienda stipulato con RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE cui erano state apposte condizioni sospensive di efficacia entro il 31.12.2002 tra cui quella attinente il trasferimento delle scorte di magazzino (e dei crediti commerciali) -l’Ufficio aveva fornito elementi presuntivi della tardiva emissione, in data 8.8.2023, della fattura avente ad oggetto la cessione dei detti beni alla Sangemini s.p.a., la CTR ‘ non aveva adeguatamente motivato circa la sussistenza degli elementi addotti a prova contraria dalla contribuente non avendo in alcun modo indicato in base a quali presupposti fattuali dovesse ritenersi che il trasferimento dei beni fosse stato effettivamente realizzato in data 8.8.2003 e non in data anteriore, essendosi la contribuente limitata a mere affermazioni del tutto generiche e non circostanziate circa la rinuncia delle parti alla condizione sospensiva di cui all’art. 12, lett f del contratto ‘; la CTR non aveva quindi sostanzialmente motivato sul punto decisivo e controverso della vicenda ‘ costituito proprio dalla rilevata discrasia tra la data di emissione della fattura e la data prevista da contratto per la cessione dei beni ‘.
Riassunto il giudizio, a cura della società, dinanzi alla CTR del Lazio, sezione staccata di Latina, con sentenza n. 9037/18/2018, depositata in data 18 dicembre 2018, veniva rigettato l’appello della società.
In punto di diritto, la CTR, in sede di rinvio, ha osservato che, in base alla pronuncia della Corte di cassazione, a fronte della disciplina contrattuale che aveva confermato l’avvenuto trasferimento delle ‘scorte di magazzino’ con decorrenza 1° gennaio 2003 (l’articolo 1.2.10 del contratto aveva indicat o quale data di trasferimento quella in cui si fossero verificate le condizioni sospensive tutte indicate nel successivo art. 12.1.; l’art. 12 aveva previsto che il contratto di affitto sarebbe divenuto operativo solo al verificarsi entro il 31 dicembre 2002
di tutte le condizioni sospensive di cui all’art. 12.1; l’art. 12.2. aveva stabilito che, in caso di mancato realizzo, alla data del 31.12.2002 di tutte le condizioni di cui all’art. 12 sarebbe intervenuta la risoluzione automatica del contratto di locazione; l’art. 15 aveva stabilito che ogni modifica del con tratto sarebbe dovuta risultare da atto formale sottoscritto), era onere della contribuente provare che i beni fossero stati ceduti in una data diversa (8.8.2003) rispetto a quella prevista nel contratto ; in particolare, mentre l’integrale applicazione del contratto, in data 1° gennaio 2003, aveva trovato riscontro, oltre che nel dato testuale costituito dal contratto stipulato il 10 aprile 2002, in altri elementi fattuali (dichiarazioni del legale rappresentante della società; sostanziale identità delle merci indicate nell’atto di cessione con quelle risultanti dall’inventario al 31 dicembre 2002 ; la relazione dell’organo amministrativo sulla gestione aziendale ex art. 2428 c.c. relativa al bilancio chiuso al 31.12.2003 della Sangemini; relazione del liquidatore al bilancio chiuso al 31 dicembre 2003; nota integrativa al bilancio chiuso al 31.12.03), la ricostruzione prospettata dalla società si basava su argomenti testuali insufficienti quali la sottoposizione del contratto ad alcune condizioni sospensive (che di per sé non provava l’operatività delle stesse oltre il limite temporale del 31 dicembre 2002), il tema della necessità di individuare i beni oggetto di cessione ai sensi dell’art . 1378 c.c. (senza offrire alcuna prova del processo di individuazione o di specificazione delle merci che sarebbe intervenuto succe ssivamente tra le parti), l’affermazione della possibile rinuncia ad una condizione sospensiva senza alcuna formalità; invero, la contribuente- che avrebbe dovuto provare un nuovo accordo delle parti sulla cessione delle scorte – non aveva prodotto né un atto aggiuntivo derogatorio del termine per la cessione, né un verbale di consegna delle scorte né uno scambio di lettere concernente l’argomento; proprio la mancanza di un accordo aggiuntivo avrebbe dovuto determinare la necessità di formalizzare il processo di cessione delle scorte con analitica descrizione dei beni e correlativa fissazione del prezzo.
Avverso la suddetta sentenza, la società contribuente propone ricorso affidato a due motivi illustrato con successiva memoria.
L ‘Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c. e 116 c.p.c. nonché ‘dei principi in materia di prova liberatoria gravante sul contribuente, di adeguatezza e proporzionalità della stessa alla natura e alla consistenza degli elementi indiziari apportati dall’Ufficio’. In particolare, la CTR a veva, da un lato, incorrendo in un vizio del ragionamento presuntivo, ritenuto la conferma, in base alla disciplina contrattuale, dell’ avvenuto trasferimento delle scorte di magazzino con decorrenza 1° gennaio 2003, sebbene si trattasse di un evento futuro rispetto alla data (10.4.2002) di stipula del contratto medesimo, e dall’altro, preteso che la contribuente superasse la presunzione a suo sfavore con una prova certa (riferita alla ‘prova documentale’) sebbene anche quest’ultima potesse avvalersi di una prova presuntiva.
2. Con il secondo motivo si denuncia: 1) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. nonché degli artt. 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546/92 ovvero, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; 2) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2562 e 1322 c.c., delle norme e principi in materia di affitto di ramo d’azienda, dell’art. 115 c.p.c. nonché degli artt. 1378 e 1178 c.c. In particolare, la CTR, in sede di rinvio, avrebbe, con una motivazione apparente, fondato il rigetto dell’appello della società sulla rilevata – in base al dato testuale del contratto stipulato il 10 aprile 2002 e ad altri elementi fattuali (dichiarazione del legale rappresentante della società; sostanziale identità delle merci indicate nell’atto di cessione con quelle risultanti dall’ inventario al 31 dicembre 2002 etc.) -‘ integrale applicazione del contratto in data 1° gennaio 2003 ‘sebbene tale fatto
fosse pacifico, costituendo, invece, fatto ignoto quello della data di cessione delle scorte di magazzino dalla contribuente a Sangemini s.p.a. Peraltro, ad avviso della ricorrente, laddove la sentenza sostenesse la tesi dell’automatismo dell’effetto tras lativo delle scorte di magazzino a seguito del perfezionamento o dell’operatività del contratto di affitto di ramo d’azienda sarebbe viziata da error in iudicando per violazione delle norme in tema di affitto di azienda e dell’art. 1322, comma 1, c.c., essendo rimessa all’autonomia contrattuale l’eventuale cessione delle scorte di magazzino. Inoltre, la CTR, incorrendo in una motivazione apparente, avrebbe affermato la mancata dimostrazione da parte della società del momento e delle ragioni per cui la cessione delle scorte sarebbe divenuta operativa a distanza di tempo dalla data di esecuzione del contratto; con ciò omettendo l’esame in concreto delle deduzioni della contribuente afferenti alle prove liberatorie di natura presuntiva (la sussistenza di altre condizioni sospensive previste nel contratto di affitto di ramo d’azienda non avveratesi alla data del 1.1.2003 e oggetto di rinuncia senza alcuna necessaria formalità da parte delle parti, tra cui , oltre a quella prevista dall’art. 12, lett. f concernente la cessione delle scorte di magazzino, quella contenuta ne ll’art. 12, lett. a concernente la definizione di accordi sindacali; la necessità di individuare i beni oggetto di cessione ai sensi dell’art. 1378 c.c.). La ricorrente denuncia la violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. nell’ipotesi in cui la CTR avesse escluso la veridicità del mancato avveramento, alla data del l’ 1.1.2003, dell’ulteriore condizione sospensiva concretata dall’accordo sindacale, costituendo fatto non contestato dall’Agenzia il perfezionamento dell’accordo sindacale con la Regione Lazio in data 10.11.2003. La ricorrente denuncia, altresì, la violazione degli artt. 1378 e 1178 c.c. per avere la CTR, in sede di rinvio, sostanzialmente negato la sussunzione della fattispecie nello schema della vendita di cose determinate soltanto nel genere, con produzione dell’effetto traslativo solo al momento dell’individuazione delle stesse d’accordo tra le parti, sebbene non fosse ipotizzabile la produzione automatica di tale effetto con riguardo ai beni elencati nell’inventario al 31.12.2001 (allegato al contratto di affitto) stante il continuo divenire delle scorte di magazzino in
un’azienda di notevoli dimensioni, il mutare del valore dei detti beni inventariati e la mancata pattuizione del prezzo di vendita (stabilito soltanto al momento dell’emissione della fattura in data 8.8.2003) .
3.I motivi- da trattarsi congiuntamente per connessione- sono, in parte, inammissibili, in parte, infondati.
3.1. La controversia in esame involge l’impugnativa dell’atto di contestazione della sanzione irrogata alla società RAGIONE_SOCIALE per tardiva fatturazione (in data 8.8.03) avente ad oggetto la cessione delle scorte di magazzino in relazione al contratto di affitto del ramo d’azienda di imbottigliamento stipulato con la Sangemini s.p.a., in data 10.4.2002 e con effetti decorrenti dall’1.1.2003 , nel quale erano state apposte condizioni sospensive da verificarsi entro il 31.12.2002, tra cui quella (art. 12, lett. f) afferente al trasferimento a titolo oneroso delle scorte di magazzino (e dei crediti commerciali) da effettuarsi entro tale data.
3.2.La CTR del Lazio, sezione staccata di Latina, con la sentenza m. 383/40/11, accoglieva l’appello della società contribuente, non risultando provata la contestata tardiva fatturazione e non potendosi evincere dal contratto di affitto del ramo di azienda, sottoposto ad una serie di condizioni sospensive, l’automatica cessione né delle scorte di magazzino né dei crediti.
3.3.Con ordinanza n. 8948 del 2018, la Corte di cassazione, sezione tributaria, accoglieva il ricorso dell’Agenzia con riguardo ad entrambi i motivi proposti (di violazione dell’art. 2697 c.c. e di omesso esame su fatti decisivi e controversi) osservando che – premessa la incontestata apposizione al contratto di affitto del ramo di azienda (stipulato in data 10.4.2002 con decorrenza 1.1.2003) di condizioni sospensive di efficacia da avverarsi entro il 31.12.2002, tra cui quella afferente al trasferimento a titolo oneroso di scorte di magazzino e dei crediti commerciali -‘ nel caso di specie, se da una parte l’Ufficio fornito elementi presuntivi di forza tale da invertire l’onere della prova, la CTR non dall’altra, adeguatamente motivato circa la sussistenza degli elementi addotti a prova contraria dalla contribuente non avendo in alcun modo indicato in base a quali presupposti fattuali dovesse ritenersi che il trasferimento dei beni
fosse stato effettivamente realizzato in data 8.8.2003 e non in data anteriore, essendosi la contribuente limitata a mere affermazioni del tutto generiche e non circostanziate circa la rinuncia delle parti alla condizione sospensiva di cui all’art. 12, lett f del contratto ‘ e che ‘ la CTR non aveva quindi sostanzialmente motivato (o quantomeno sufficientemente) sul punto decisivo e controverso della vicenda costituito proprio dalla rilevata discrasia tra la data di emissione della fattura e la data prevista da contratto per la cessione dei beni ‘.
3.4.Il giudizio di rinvio è soggetto alle comuni regole del codice di procedura civile; lo è anche in materia tributaria; va ribadito che nel giudizio di rinvio è in ogni caso preclusa la proposizione di questioni (domande o eccezioni) nuove, attesa la natura di giudizio a struttura chiusa; consegue che il giudice rimane investito del potere-dovere di riesaminare il merito della causa sulla base di quanto acquisito sino al momento della emissione della sentenza cassata , fermo restando, per le parti, il limite posto dall’art. 394 cod. proc. civ., con conseguente impossibilità, tra l’altro, di prendere nuove conclusioni (cfr. Cass. n. 8872-14, Cass. n. 2085-02; e v. pure, per il processo tributario, Cass. n. 9224-07, secondo cui, anche ex art. 57 del d.lgs. n. 546/ 92, l’esclusione della possibilità di introdurre eccezioni o tematiche nuove non consente, in sede di rinvio, l’ampliamento della materia del contendere neppure attraverso la produzione di documenti; sez. 5, Ord. n. 29886 del 2017; Cass. 25/07/2023, n. 22262). Il giudizio di rinvio, quale prefigurato dagli artt. 394 e ss c.p.c., è un procedimento a struttura chiusa, nel quale non soltanto è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum , formulando nuove domande o nuove eccezioni, ma dove sono altresì da ritenersi operanti le preclusioni che derivano dal giudicato implicito formatosi con la sentenza emessa dalla Corte di cassazione (cfr. in termini Cass. n. 10046 del 2002; Cass. n. 1437 del 2000; Cass. n. Sez. L, Sentenza n. 11411 del 2018).
3.5.Infondata è la censura – da analizzarsi logicamente in via prioritaria – di vizio di motivazione apparente avanzata con il secondo mezzo.
3.6.Premesso che si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni contr ollo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., sez. 5, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021) nella specie, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia carente o incoerente sul piano della logica giuridica, contenendo una sufficiente esposizione delle ragioni sottese al rigetto dell’appello della società. In particolare, il giudice del rinvio ha ritenuto che: 1) da un lato, il dato testuale costituito dal contratto stipulato il 10 aprile 2002 cui afferivano condizioni sospensive da verificarsi entro il 31 dicembre 2002 tra cui quella relativa alla cessione a titolo oneroso delle scorte di magazzino (art. 12, lett. f), rafforzato da una serie di altri elementi fattuali concordanti (dichiarazioni del legale rappresentante della società; sostanziale identità delle merci indicate nell’atto di cessione con quelle risultanti dall’inventario al 31 dicembre 2002 etc. ), dimostrava l’integrale applicazione del negozio alla data del 1.1.2003; 2) dall’altro , la contribuente non aveva offerto ‘ alcuna dimostrazione circa il momento e le ragioni per cui la cessione delle scorte sarebbe divenuta operativa a tale distanza di tempo dalla data di esecuzione del contratto ‘ reputando gli argomenti addotti da quest’ultima insufficienti, quali la sottoposizione del contratto a condizioni sospensive (il che non provava che esse avessero operato oltre il limite temporale del 31 dicembre 2002), la necessità di individuare i beni oggetto di cessione ai sensi dell’art. 1378 c.c. (senza alcuna prova del processo di individuazione o specificazione delle merci che sarebbe intervenuto successivamente tra le parti), la possibile rinuncia ad una condizione sospensiva senza alcuna formalità (l’assenza di un accordo aggiuntivo avrebbe dov uto determinare la necessità di formalizzare il processo di cessione delle scorte con
una analitica indicazione dei beni e con la correlativa fissazione del prezzo di cessione). In particolare, ad avviso della CTR, la contribuente per provare – in ossequio ai principi di cui all’art. 2697 c.c. e alla pronuncia della Corte di cassazione – che le scorte di magazzino fossero state cedute in una data diversa da quella prevista dal contratto avrebbe dovuto produrre ‘ una prova documentale certa da cui ricavare che le parti avevano raggiunto un nuovo accordo sulla cessione delle scorte; al contrario non era stato prodotto né un atto aggiuntivo derogatorio del termine per la cessione né un verbale di consegna delle scorte né uno scambio di lettere concernente l’argomento ‘. La sentenza presenta, pertanto, un argomentare logico e sufficiente idoneo ad assicurare il rispetto della soglia del “minimo costituzionale” imposto dall’art. 111 della Costituzione.
3.7. Quanto all’assunta violazione dei criteri del ragionamento presuntivo (dedotta con il primo mezzo) e delle norme in materia di affitto di ramo d’azienda nonché dell’art. 1322 c.c. con riguardo all’asserito automatismo dell’effetto traslativo delle scorte di magazzino a seguito del perfezionamento o dell’operatività del contratto di affitto (dedotta con il secondo mezzo) trattasi di censure inammissibili in quanto, in realtà, tendono inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito.
3.8.Invero, nella sentenza impugnata, il giudice del rinvio – in ossequio alla ordinanza n. 8948 del 2018 che sul punto aveva ritenuto già forniti dall’Ufficio, ( in base al dato testuale della previsione nel contratto di affitto di ramo d’azienda della condizione sospensiva da verificarsi entro il 31.12.2002 afferente alla cessione onerosa delle scorte di magazzino) gli ‘ elementi presuntivi di forza tale da invertire l’onere della prova ‘ – ha ribadito sostanzialmente che la disciplina contrattuale ( l’articolo 1.2.10 del contratto aveva indicato quale data di trasferimento quella in cui si fossero verificate le condizioni sospensive tutte indicate nel successivo art. 12.1.; l’art. 12 aveva previsto che il contratto di affitto sarebbe divenuto operativo solo al verificarsi entro il 31 dicembre 2002 di tutte le condizioni sospensive di cui all’art. 12.1; l’art. 12.2. aveva stabilito che,
in caso di mancato realizzo, alla data del 31.12.2002 di tutte le condizioni di cui all’art. 12 sarebbe intervenuta la risoluzione automatica del contratto di locazione; l’art. 15 aveva stabilito che ogni modifica del contratto sarebbe dovuta risultare da atto formale sottoscritto) unitamente ad altri elementi fattuali concordanti (dichiarazioni del legale rappresentante della società; sostanziale identità delle merci indicate nell’atto di cessione con quelle risultanti dall’inventario al 31 dicembre 2002 e tc.) confermava l’integrale applicazione del contratto alla data del 1° gennaio 2003. V a, al riguardo, ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui ‘ È inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito ‘ (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass., sez. 5, Ord. n. 18721 del 13/07/2018; Cass., sez. 5, 26 novembre 2020, n. 26961).
3.9.Sul versante della prova a contrario , quanto all’assunta violazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c. e 116 c.p.c. nonché ‘dei principi in materia di prova liberatoria gravante sul contribuente, di adeguatezza e proporzionalità della stessa alla natura e alla consistenza degli elementi indiziari apportati dall’Ufficio’ – prospettata con il primo mezzo – per avere la CTR preteso da parte della società contribuente una ‘ prova certa ‘ da cui ricavare che le parti avevano raggiunto un nuovo accordo sulla questione delle scorte, laddove anche la contribuente poteva superare le presunzioni a suo sfavore attraverso prove liberatorie di natura presuntiva, trattasi di una censura infondata avendo il giudice del rinvio dato puntuale attuazione all’ordinanza della Corte di cassazione. Invero, quest’ultima, nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia con riguardo ad entrambi i motivi (di violazione dell’art. 2697 c.c. e di omesso esame di un fatto decisivo e controverso), a fronte di elementi presuntivi della tardività della fatturazione, fondati sul dato testuale del contratto di affitto di ramo d’azienda , tali da invertire l’onere della prova, ha ritenuto che la CTR non avesse
dall’altra adeguatamente motivato circa la sussistenza degli elementi addotti a prova contraria dalla contribuente non avendo in alcun modo indicato in base a quali presupposti fattuali dovesse ritenersi che il trasferimento dei beni fosse stato effettivamente realizzato in data 8.8.2003 e non in data anteriore, essendosi la contribuente limitata a mere affermazioni del tutto generiche e non circostanziate circa la rinuncia delle parti alla condizione sospensiva di cui all’art. 12, lett f del contratto; ne consegue che correttamente la CTR in sede di rinvio ha preteso da parte della contribuente una prova ‘certa’ riferita a quella documentale per superare le previsioni contrattuali e dimostrare il trasferimento dei beni in data posteriore alla decorrenza (in data 1.1.2003) degli effetti dell’affitto (‘ A tal fine sarebbe stato necessario produrre una prova documentale certa da cui ricavare che le parti avevano raggiunto un nuovo accordo sulla cessione delle scorte; al contrario non era stato prodotto né un atto aggiuntivo derogatorio del termine per la cessione né un verbale di consegna delle scorte né uno scambio di lettere concernente l’argomento ‘ ).
3.10.Quanto alla denuncia- contenuta nel secondo mezzo- del vizio di omesso esame delle deduzioni difensive addotte dalla contribuente afferenti alle prove liberatorie di natura presuntiva (la sussistenza di altre condizioni sospensive previste nel contratto di affitto di ramo d’azienda non avveratesi alla data del 1.1.2003 e oggetto di rinuncia senza alcuna necessaria formalità da parte delle parti, tra cui, oltre a quella prevista dall’ar t. 12, lett. f concernente la cessione delle scorte di magazzino, qu ella contenuta nell’art. 12, lett. a concernente la definizione di accordi sindacali; la necessità di individuare i beni oggetto di cessione ai sensi dell’art. 1378 c.c.) va ribadito che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base al la nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis ) concerne l’omesso esame di un fatto storico , principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato,
avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 , comma 1, n. 6, c.p.c. e dell’ art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra l e parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015). Né, ovviamente, e a maggior ragione, l’apprezzamento giuridico del giudice, dissonante rispetto alle aspettative e prospettazioni della parte, può assurgere a omesso esame di un fatto controverso e decisivo (Cass. sez. 2, n. 29923 del 2023); in particolare, si è precisato che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo, per le ragioni suindicate ad un vizio inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. 10 giugno 2016, n. 11892; Sez. 5, Ordinanza n. 24584 del 2023). Nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto l’omesso esame di un ‘fatto storico’, ma di profili attinenti alle risultanze probatorie la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte, avendo il giudice del rinvio affermato sul punto che la ricostruzione prospettata dalla società si basava su argomenti testuali insufficienti quali la sottoposizione del contratto ad alcune condizioni sospensive (che di per sé non provava l’operatività delle stesse oltre il limite temporale del 31 dicembre 2002), il tema della necessità di individuare i beni oggetto di cessione ai sensi dell’art. 1378 c.c. (senza offrire alcuna prova del processo di individuazione o di specificazione delle merci che sarebbe intervenuto successivamente tra le parti), l’affermazione della possibile rinuncia ad una condizione sospensiva senza alcuna formalità.
3.11. Inammissibile è la censura – contenuta nel secondo mezzo- di violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. (con riferimento alla dedotta ulteriore condizione sospensiva concretata dall’accordo sindacale di cui all’art. 12, lett. a non avveratasi alla data del 1.1.2003) afferendo ad una questione nuova, non trattata nella sentenza impugnata.
3.12.Ugualmente inammissibile è la censura -prospettata nel secondo motivocon cui si denuncia la violazione degli artt. 1178 e 1378 c.c. sotto il profilo della sussunzione per avere la CTR sostanzialmente negato l’inquadramento della vendita di scorte di magazzino in oggetto nella fattispecie di vendita di cosa determinata solo nel genere, in quanto, da un lato tende ad una inammissibile r ivisitazione di un apprezzamento di merito operato dal giudice del rinvio (‘ al riguardo non è stato offerta alcuna prova del processo di individuazione o di specificazione delle merci che sarebbe avvenuto successivamente tra le parti ‘ ) e , dall’altro, introduce temi d’indagine nuovi ( il continuo divenire delle scorte e giacenze di magazzino; la variazione del valore dei beni inventariati al 31.12.2001; la mancata pattuizione del prezzo).
4.In conclusione, il ricorso va rigettato.
5.Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 5.800,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 9 ottobre 2024