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Onere della prova: contratto e tardiva fatturazione

Una società ha contestato una sanzione per tardiva fatturazione relativa alla cessione di scorte di magazzino, legata a un contratto di affitto d’azienda. La Corte di Cassazione, confermando la decisione del giudice di rinvio, ha stabilito che, a fronte di elementi presuntivi forniti dall’Agenzia delle Entrate, spetta al contribuente l’onere della prova di dimostrare con prove certe e documentali che la cessione è avvenuta in una data successiva a quella desumibile dal contratto. Le semplici affermazioni generiche non sono sufficienti a invertire tale onere.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della prova: la data del contratto prevale se il contribuente non dimostra il contrario

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 33190 del 2024 offre un’importante lezione sull’onere della prova nel contenzioso tributario, in particolare nei casi di presunta tardiva fatturazione. Quando un contratto prevede una data specifica per il trasferimento di beni, spetta al contribuente dimostrare con prove concrete e documentali che l’operazione è avvenuta in un momento successivo. Vediamo insieme i dettagli di questa complessa vicenda giudiziaria.

I Fatti del Caso

Una nota società operante nel settore delle acque minerali ha ricevuto dall’Agenzia delle Entrate un atto di contestazione per tardiva fatturazione ai fini IVA, relativa all’anno 2003.

La controversia nasce da un contratto di affitto di ramo d’azienda stipulato nel 2002 con un’altra società. Il contratto prevedeva, tra le varie condizioni sospensive per la sua piena efficacia dal 1° gennaio 2003, la cessione delle scorte di magazzino entro il 31 dicembre 2002.

L’Agenzia delle Entrate sosteneva che la cessione si fosse perfezionata il 1° gennaio 2003, data di decorrenza del contratto, ma la fattura era stata emessa solo l’8 agosto 2003. La società contribuente, invece, affermava che la cessione fosse avvenuta proprio in quella data posteriore, poiché le condizioni sospensive non si erano avverate entro il termine previsto e si era reso necessario un nuovo accordo tra le parti.

Il Percorso Giudiziario e il Principio dell’Onere della Prova

Il caso ha attraversato un lungo iter processuale. Inizialmente, la Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione alla società, ritenendo non provata la tardività della fatturazione. L’Agenzia delle Entrate ha però impugnato la decisione in Cassazione, che, con una prima ordinanza nel 2018, ha annullato la sentenza e rinviato la causa a un’altra sezione della CTR.

Il principio chiave stabilito dalla Cassazione in quella sede era cruciale: l’Agenzia aveva fornito elementi presuntivi sufficienti per sostenere che la cessione fosse avvenuta il 1° gennaio 2003, invertendo così l’onere della prova. Tocava ora alla società contribuente dimostrare il contrario. Il giudice del rinvio, attenendosi a questo principio, ha respinto l’appello della società, portando a un nuovo ricorso in Cassazione, oggetto della presente analisi.

Le Argomentazioni della Società Ricorrente

Nel suo ultimo ricorso, la società ha lamentato:
1. Violazione delle norme sulla prova presuntiva: la CTR avrebbe preteso una “prova certa” e documentale, impedendo alla società di difendersi con altre prove presuntive.
2. Motivazione apparente e omesso esame di fatti decisivi: secondo la ricorrente, la cessione non poteva essere automatica, trattandosi di beni generici che necessitavano di individuazione. Inoltre, altre condizioni sospensive, come il raggiungimento di accordi sindacali, non si erano verificate entro la scadenza.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo in parte inammissibile e in parte infondato. Gli Ermellini hanno chiarito che il giudice del rinvio ha correttamente applicato i principi sanciti dalla prima ordinanza della Cassazione.

La motivazione della sentenza impugnata non è stata considerata “apparente”, ma logica e sufficiente. Il punto centrale ribadito dalla Corte è che, una volta che l’Amministrazione finanziaria fornisce elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti (in questo caso, le clausole contrattuali e altri elementi fattuali come le dichiarazioni del legale rappresentante), l’onere della prova di un diverso svolgimento dei fatti si sposta interamente sul contribuente.

La Corte ha specificato che la società avrebbe dovuto produrre “una prova documentale certa” da cui si potesse evincere un nuovo accordo tra le parti per posticipare la cessione. Non essendo stato prodotto alcun atto aggiuntivo, verbale di consegna o scambio di corrispondenza che attestasse una data diversa, le argomentazioni della società sono state ritenute mere affermazioni generiche e insufficienti a superare la presunzione.

Inoltre, le censure relative alla natura dei beni o al mancato avveramento di altre condizioni sono state giudicate come un tentativo di riesaminare il merito della vicenda, attività preclusa nel giudizio di legittimità, che si limita a verificare la corretta applicazione della legge.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale nel diritto tributario: il contribuente non può limitarsi a contestare genericamente le presunzioni sollevate dall’Agenzia delle Entrate, soprattutto quando queste si fondano su accordi contrattuali scritti. Per dimostrare una realtà fattuale diversa da quella desumibile da un contratto, è necessario fornire prove concrete, preferibilmente documentali, che attestino in modo inequivocabile la nuova intesa tra le parti. L’onere della prova, una volta invertito, diventa un ostacolo che può essere superato solo con elementi probatori solidi e specifici, non con semplici deduzioni o affermazioni di principio.

In caso di accertamento per tardiva fatturazione, su chi grava l’onere della prova se la data di cessione dei beni è controversa?
Inizialmente, l’Agenzia delle Entrate deve fornire elementi presuntivi (come un contratto) che indichino la data in cui l’operazione si è conclusa. Se tali elementi sono sufficientemente validi, l’onere della prova si inverte e spetta al contribuente dimostrare, con prove concrete, che la cessione è avvenuta in una data diversa e successiva.

Quale tipo di prova deve fornire il contribuente per superare la presunzione a suo sfavore?
La Corte ha chiarito che il contribuente deve produrre una prova “certa”, preferibilmente documentale, come un atto aggiuntivo al contratto, un verbale di consegna delle merci o uno scambio di lettere che dimostri un nuovo accordo tra le parti per posticipare la cessione. Affermazioni generiche o la semplice invocazione di condizioni sospensive non sono sufficienti.

È possibile introdurre nuove questioni o prove nel giudizio di rinvio?
No. Il giudizio di rinvio è un procedimento “a struttura chiusa”. Le parti non possono proporre nuove domande, eccezioni o documenti, ma la causa deve essere decisa sulla base di quanto già acquisito nel processo prima della sentenza della Cassazione. L’introduzione di nuove tematiche è considerata inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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