Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6829 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6829 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
Oggetto: Accertamento reddito d’impresa – Contabilità parallela – Onere della prova – Giudicato esterno – Riflessi.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2280/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘avv. NOME COGNOME e rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale rilasciata nell’atto di costituzione di nuovo difensore.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della C.t.r. della Sicilia, sezione staccata di Catania, n. 3842/2014, depositata il 12.12.2014 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27.11.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, quanto ai motivi primo, secondo e terzo, e la declaratoria di inammissibilità per il resto;
udito per la controricorrente l’Avvocato dello Stato.
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Catania, la società RAGIONE_SOCIALE esercente l’attività di commercializzazione di auto usate, impugnava l’avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate, all’esito della verifica eseguita mediante accesso presso la sede della contribuente, aveva contestato l’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati ai fini Ires, Irap e Iva, rettificando di conseguenza la dichiarazione dei redditi presentata per l’anno 2016. In particolare, nel corso delle operazioni era stato rinvenuto un registro denominato ‘Consegna documenti clienti’, utilizzato sin dal 1998, nel quale erano annotati i passaggi di proprietà relativi ad undici autovetture, il cui ricavato non era stato riportato nella contabilità regolarmente tenuta. A tal riguardo, la società contribuente sosteneva di essersi limitata ad esporre nei suoi locali le autovetture, lasciate dai proprietari in conto vendita, e di essere rimasta sempre estranea al trasferimento della proprietà di tali ben i, avvenuto direttamente dal proprietario all’acquirente e senza il riconoscimento di alcun compenso.
In primo grado, l’impugnazione veniva rigettata dalla C.t.p., secondo cui la spiegazione fornita dalla società contribuente era inidonea a superare la presunzione di occultamento dei ricavi.
Avverso tale decisione proponeva appello la società contribuente, ribadendo di non aver conseguito alcun ricavo in relazione al passaggio di proprietà delle autovetture indicate nel registro in questione, poiché esse erano state lasciate presso i locali aziendali solo in conto vendita. Precisava, inoltre, che l’interesse al compimento di tale operazione derivava dalla possibilità di entrare in contatto con coloro che vendevano la propria autovettura e che potevano divenire potenziali acquirenti, in quanto interessati ad acquistarne un’altra, fornita appunto dalla società contribuente.
La C.t.r. confermava la decisione di primo grado, osservando che il rinvenimento della rubrica denominata ‘Consegna documenti clienti’ consentiva di fondare la presunzione di occultamento di redditi e che le giustificazioni addotte dalla contribuente, sulla quale gravava l’onere della prova contraria, non erano sufficie nti, a fronte delle dichiarazioni rese dalle persone sentite dai militari della Guardia di finanza, secondo le quali la società non era rimasta estranea alle vendite. Riteneva, peraltro, non credibile che l’esposizione delle autovetture e la presentazione di esse ai potenziali acquirenti fosse potuta avvenire senza alcun compenso per la società.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE sulla base di cinque motivi, ai quali resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate .
Depositava memoria il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che concludeva chiedendo il rigetto del ricorso , attesa l’infondatezza dei primi tre motivi di doglianza e l’inammissibilità dei restanti . Replicava con memoria il ricorrente.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, la società RAGIONE_SOCIALE deduce la sopravvenuta illegittimità della sentenza impugnata per contrasto con precedente giudicato esterno, intervenuto sugli stessi elementi comuni, essendo divenuta definitiva
la sentenza n. 84/2012, con cui la C.t.r. della Sicilia, sezione staccata di Catania, aveva confermato la sentenza di primo grado di annullamento del l’avviso di accertamento derivante dal medesimo p.v.c. e relativo all’anno 2004. Tale sentenza, nell’esaminare i medesimi presupposti alla base dell’avviso di accertamento impugnato nella presente sede, aveva ritenuto che il contenuto della rubrica rinvenuta dai verbalizzanti nell’autosalone della società contribuente non costituisse una presunzione grave, precisa e concordante, trattandosi di brogliaccio informale.
Con il secondo motivo di doglianza, la società RAGIONE_SOCIALE deduce la motivazione apparente e la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., nonché dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., non avendo la CRAGIONE_SOCIALE. tenuto in alcun conto le argomentazioni e le prove offerte dalla società ricorrente ed avendo fondato la propria decisione solo sulla base delle presunzioni dell’Ufficio.
Con il terzo motivo di doglianza, la società RAGIONE_SOCIALE deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c., non avendo la C.t.r. esaminato e deciso nessuna delle specifiche doglianze contenute nell’atto di appello ed avendo omesso l’esame delle prove documentali offerte dalla contribuente.
Con il quarto motivo di doglianza, la società RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, n. 4; 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., non avendo la C.t.r. tenuto conto che la società accertata era del tutto estranea alla compravendita dei veicoli indicati nella rubrica, lasciati presso l’autosalone solo in conto vendita, così confermando un accertamento basato su mere presunzioni.
Con il quinto motivo di doglianza, la società RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, n. 3, e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972; 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992; 2697 e 2927 c.c.; 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo la CRAGIONE_SOCIALE. fondato la propria decisione sulle sole risultanze delle sommarie informazioni raccolte dagli agenti della Guardia di finanza, in assenza di ulteriori elementi, ed avendo omesso di vagliare la sussistenza del concreto interesse della società ricorrente di compiere tale attività di esposizione dei veicoli, potendo poi così acquisire nuovi clienti.
Con il controricorso , l’Agenzia delle entrate eccepisce l’inammissibilità del ricorso, in quanto limitato a riproporre le medesime difese svolte nel merito e richiedendo sostanzialmente una rivalutazione della vicenda fattuale. Contesta, comunque, la fondatezza di ciascun motivo di doglianza.
Il Pubblico Ministero conclude per il rigetto del ricorso, osservando che il giudicato non può mai riguardare la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti; che il giudice di merito non è tenuto a dar conto dell’esame di tutte le prove prodotte ; che l’omessa pronuncia non è configurabile per l’omessa considerazione di fatti secondari.
Il primo motivo , relativo all’esistenza di un giudicato esterno, è infondato.
Giova ricordare che, in materia tributaria, il giudicato relativo ad un singolo periodo di imposta non è idoneo a far stato in periodi successivi o antecedenti, se non limitatamente a situazioni relative a “qualificazioni giuridiche” o ad altri eventuali “elementi preliminari” rispetto ai quali possa dirsi sussistente un interesse protetto avente carattere di durevolezza nel tempo, non estendendosi detto vincolo a tutti i punti che costituiscono antecedente logico della decisione, ed in particolare alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti. Ne consegue che il giudicato formatosi su situazioni di fatto,
quali nella specie l’accertamento dei presupposti dell’imposta di consumo dell’energia elettrica e delle condizioni per l’esenzione contemplata dall’art. 52 del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, effettuato in relazione ad un determinato periodo di imposta, non è suscettibile di estendere i suoi effetti automaticamente ad un altro periodo di imposta, essendo fondato su indagini di fatto e rilievi riferiti a quel periodo, che non sono estendibili oltre il rapporto tributario preso in esame (Cass. n. 13897/2008, Rv. 60397101). La Suprema Corte ha, altresì, affermato che la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità (Cass. n. 38950/2021, Rv. 66341801).
Nella specie , l’accertamento contenuto nella sentenza richiamata dal ricorrente non attiene agli elementi costitutivi della fattispecie che assumono carattere permanente, ma alla valutazione delle prove e alla ricostruzione dei fatti. Non sussiste, quindi, il dedotto contrasto con altra pronuncia passata in giudicato. Peraltro, manca agli atti la prova del passaggio in giudicato della sentenza invocata dal ricorrente.
Anche il secondo motivo di doglianza, relativo all ‘apparente motivazione in ordine al rigetto delle argomentazioni e delle prove offerte dalla società ricorrente, è infondato.
Giova ricordare che, a seguito della riforma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’unica contraddittorietà della motivazione che può rendere nulla una sentenza è quella insanabile e l’unica
insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella insuperabile (cfr. Cass., Sez. Un, 28 ottobre 2022, n. 32000). A tal riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che è oggi denunciabile in sede di legittimità solo l’anomalia motivazionale ch e si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. 27 dicembre 2023, n. 35947; Cass. 11 ottobre 2023, n. 28390; Cass. 18 settembre 2023, n. 26704; Cass. 13 gennaio 2023, n. 956 del 2023; Cass.17 novembre 2022, n. 33961). Questa anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione o di sua contraddittorietà (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; nello stesso senso anche le più recenti Cass. nn. 28930 del 2023 e 33961 del 2022).
Peraltro, la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132, n. 4, c.p.c. e l’osservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c. non richiedono che il giudice del merito dia conto di tutte le prove dedotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente e necessario che egli esponga in maniera concisa gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione; ne consegue che risponde al modello legale la motivazione per relationem in cui il giudice di secondo grado abbia fatto riferimento all’esame degli atti del primo giudizio ed alla conformità ad essi della motivazione estesa dal giudice di primo grado, in tal modo consentendo il controllo sul riesame della questione oggetto della domanda (Cass. n. 22801/2009, Rv. 60975501).
9.1. Orbene, seppur sinteticamente, risulta abbastanza chiaro l’iter logico della motivazione seguita dalla C.t.r., secondo cui il
rinvenimento della contabilità occulta è sufficiente a far presumere l’esistenza di ricavi non dichiarati e le argomentazioni del contribuente non sono state ritenute idonee a superare tale presunzione. In particolare, la C.t.r. ha fatto riferimento anche ai riscontri rappresentati dalle dichiarazioni degli acquirenti, sentiti dalla Guardia di finanza, che riferiscono di un coinvolgimento della società contribuente nelle compravendite; nonché all’utilizzo del termine ‘ clienti ‘ nella dicitura del registro, ritenendo inverosimile che l’attività di esposizione delle autovetture e la loro presentazione ai potenziali acquirenti sia avvenuta senza alcun un compenso.
Una siffatta motivazione consente di individuare l’iter argomentativo seguito dai giudici di merito e, per tale ragione, essa si sottrae alla censura articolata, collocandosi al livello del minimo costituzionale, richiesto dalla giurisprudenza sopra richiamata (cfr., da ultimo, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024, n. 9807; Cass. 7 marzo 2024, n. 6127).
10. Parimenti infondato è il terzo motivo di doglianza, con cui si lamenta l’omessa pronuncia in ordine alle specifiche doglianze contenute nell’atto di appello ed alle prove documentali offerte dalla contribuente e la violazione dell’onere della prova.
Orbene, giova ricordare che il vizio di omessa pronuncia è configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto e non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto.
A tal riguardo, la Suprema Corte ha affermato che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta
valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 24155/2017, Rv. 64553801; nello stesso senso Cass. n. 29191/2017, Rv. 64629001 e Cass. n. 25710/2024, Rv. 67229502). È stato, altresì, precisato che, è configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logicogiuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (Cass. n. 12131/2023, Rv. 66761401).
Del resto, l’obbligo di motivazione del giudice è ottemperato mediante l’indicazione delle ragioni della sua decisione, ossia del ragionamento da lui svolto con riferimento a ciascuna delle domande o eccezioni (nel giudizio di primo grado) o a ciascuno dei motivi d’impugnazione (nei giudizi d’impugnazione), mentre non è necessario che egli confuti espressamente – pur dovendoli prendere in considerazione – tutti gli argomenti portati dalla parte interessata a sostegno delle proprie domande, eccezioni o motivi disattesi e cioè anche gli argomenti assorbiti o incompatibili con le ragioni espressamente indicate dal giudice stesso, dovendosi ritenere,
diversamente, che la motivazione non possa qualificarsi come “succinta” nel senso voluto dall’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., tanto più ove venga in rilievo una ordinanza pronunziata dalla Suprema Corte ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ. (Cass. n. 12123/2013, Rv. 62671401).
10.1. Alcune questioni possono, quindi, risultare assorbite dalla decisione presa dal giudicante. A tal riguardo, si distingue tra assorbimento “proprio”, che si verifica quando la decisione della domanda assorbita divenga superflua per effetto della decisione sulla domanda assorbente, con conseguente sopravvenuta carenza di interesse all’esame della domanda rimasta assorbita, ed assorbimento “improprio”, che si ha quando la decisione assorbente escluda la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporti un implicito rigetto della domanda formulata e dichiarata assorbita. La Suprema Corte ha affermato che, a prescindere dalla forma di assorbimento, la relativa declaratoria implica la specifica indicazione, da parte del giudice, dei presupposti in fatto e in diritto che la legittimano sicché, ove ciò non avvenga, si è in presenza di una omissione di pronuncia, comportante la nullità della decisione sul punto (Cass. n. 26507/2023, Rv. 66912901).
10.2. Giova, altresì, ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento
ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. n. 26769/2018, Rv. 65089201).
Inoltre, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 c.p.c.) (Cass. n. 13395/2018, Rv. 64903801).
10.3. Nel caso in esame, la società ricorrente, nel lamentare la violazione del principio dell’onere della prova, contesta ai giudici di merito di non aver tenuto conto delle prove da lei fornite. Con tale doglianza, però, la ricorrente chiede sostanzialmente una rivalutazione del fatto, criticando il convincimento che il giudice di merito si è formato in esito all’esame del materiale probatorio ed evocando altri fatti non risultanti dalla motivazione e non presi in considerazione.
La valutazione delle prove raccolte, tuttavia, compresa la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. (Cass. n. 1234/2019, Rv. 65267201; Cass. n. 1216/2006, Rv. 58799801) e l’idoneità degli elementi presunti vi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’ id quod plerumque accidit , i fatti ignoti da provare (Cass. n. 12002/2017, Rv. 64430001) costituisce un’attività riservata, in via esclusiva, all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito. Ed infatti, le conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio consistito, come stabilito dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame
di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia.
Per contro, non risulta che la C.t.r. abbia violato la regola della ripartizione dell’onere della prova, correttamente ponendo a carico del contribuente l’onere, ritenuto non assolto, di fornire una ragionevole spiegazione della finalità della rubrica rinvenuta dalla Guardia di finanza e del relativo collegamento a quanto indicato nelle scritture contabili.
11. Gli ultimi due motivi di doglianza sono inammissibili
Come costantemente affermato dalla Suprema Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. n. 34476/2019, Rv. 656492-03).
Orbene, con i motivi in esame, che per la loro intima connessione possono essere esaminati congiuntamente, la parte ricorrente contesta alla C.t.r. di non aver tenuto conto che la società accertata era del tutto estranea alla compravendita dei veicoli indi cati nella rubrica, lasciati presso l’autosalone solo in conto vendita, e di aver fondato la propria decisione sulle sole risultanze delle sommarie informazioni raccolte dagli agenti della Guardia di finanza, in assenza di ulteriori elementi, avendo omesso di vagliare la sussistenza del concreto interesse della società ricorrente di compiere tale attività di esposizione dei veicoli, potendo poi così acquisire nuovi clienti.
Con tali doglianze, tuttavia, la ricorrente, dietro lo strumento della violazione di legge, chiede una rivalutazione dei fatti dedotti nelle fasi di merito, che è inammissibile nella presente sede.
Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il ricorso va, pertanto, rigettato e la parte ricorrente va condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese relative al presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio, a carico della ricorrente, del contributo unificato, ove dovuto (Cass. SU, n. 4315/2020, Rv. 65719803).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso ;
condanna la ricorrente RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore dell ‘Agenzia delle entrate delle spese del giudizio, che liquida in euro 5.400,00, oltre le eventuali spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione