Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33218 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33218 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
Oggetto: tributi -operazioni oggettivamente inesistenti -onere della prova – prova contraria
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11598/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA) in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE (C.F. 02185770613), rappresentato e difeso dall’Avv. COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE in virtù di procura speciale in calce al controricorso, elettivamente domiciliata presso il suo domicilio digitale PEC EMAIL
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 6894/10/19 depositata in data 16 settembre 2019. Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 21 novembre 2024.
RILEVATO CHE
Il contribuente COGNOME, in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, già dichiarata fallita, ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2011, notificato anche nei suoi confronti quale legale rappresentante della società dichiarata fallita ; con l’avviso impugnato l’Ufficio, con accertamento a tavolino che aveva fatto seguito a ll’ invio di un questionario, ha disconosciuto costi e detrazione relativi (come risulta dalla sentenza impugnata a quattro fatture di acquisto in quanto attinenti a operazioni oggettivamente inesistenti, trattandosi di fatture provenienti da soggetto privo di organizzazione (RAGIONE_SOCIALE). L’Ufficio ha valorizzato, in particolare, la dichiarata assenza di organizzazione del fornitore e la circostanza che le fatture emesse avessero numerazione progressiva non cronologica, con recupero di IRES, IRAP e IVA.
La CTP di Caserta ha accolto il ricorso.
La CTR della Campania, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato l’appello dell’Ufficio. Ha ritenuto il giudice di appello l’effettiva esistenza delle operazioni sottostanti, alla luce dei pagamenti eseguiti (alcuni con assegni circolari e altri con assegni bancari con riscontro sui conti correnti della società contribuente dichiarata fallita), nonché -quanto alla prova dell’esistenza delle operazioni sottostanti – dei documenti di trasporto delle merci e delle dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà di alcuni dipendenti.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio , affidato a tre motivi, al quale resiste con controricorso il contribuente.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 43 l. fall. nonché dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia, per non avere il giudice di appello rilevato il difetto di legittimazione attiva del legale rappresentante della società fallita, stante il disinteresse espresso dal curatore della società fallita a impugnare l’avviso di accertamento.
Il primo motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte, sopravvenuta alla proposizione del ricorso (Cass., Sez. U., 28 aprile 2023, n. 11287), secondo cui, qualora i presupposti di un rapporto tributario si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l’atto impositivo può impugnarlo, ex art. 43 l. fall., a condizione che il curatore si sia astenuto dall’impugnazione, assumendo un comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l’abbiano determinato, ciò in quanto « il rapporto giuridico d’imposta (…) permane in capo al debitore anche in costanza della procedura fallimentare e pur dopo la sua chiusura » (Cass., Sez. U., n. 11287/2023, cit.). Conseguentemente, in caso di acquiescenza del curatore a impugnare l’atto impositivo, persiste l’interesse e la legittimazione straordinaria del debitore ad impugnare gli atti che costituiscano manifestazione della pretesa tributaria, essendo diversi l’interesse del curatore e quello del debitore a impugnare l’atto impositivo e ciò indipendentemente da una scelta consapevole o meno della curatela (Cass., Sez. V, 29 agosto 2024, n. 23329).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 12, comma 7, l. 27 luglio 2000, n. 212, nonché degli artt. 19, 21 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 , nella parte in cui la sentenza impugnata ha censurato l’omesso
contraddittorio con il legale rappresentante della società fallita ai fini dell’emissione dell’atto impositivo impugnato , osservando che il contraddittorio preventivo è necessario solo in caso di tributi armonizzati e che nella specie non sarebbe stata assolta la prova di resistenza. Censura, inoltre, la pregnanza degli elementi indiziari valorizzati dal giudice di appello, con particolare riferimento alle dichiarazioni di terzi (dipendenti), che avrebbero valore di mero indizio.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. Il giudice di appello non ha dichiarato nullo l’atto impositivo per omissione del contraddittorio preventivo (ai fini IVA e ai fini delle imposte sul reddito), ma lo ha annullato nel merito per assenza del presupposto impositivo, valorizzando le prove contrarie addotte da parte contribuente. Il riferimento al contraddittorio preventivo è stato utilizzato dal giudice di appello al solo fine di evidenziare l’inutilità di un accertamento eseguito in assenza dei presupposti sostanziali della pretesa tributaria, in quanto il contribuente avrebbe, se del caso, potuto offrire la prova dell’esistenza delle operazioni sottostanti sin dalla fase amministrativa.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 2727 e ss. cod. civ., nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto assolto l’onere della prova contraria da parte della società contribuente, evidenziando come la prova contraria offerta dal legale rappresentante della società dichiarata fallita sarebbe priva di pregnanza indiziaria e non potrebbe assolvere a tale onere, atteso che i beni di cui alle fatture di acquisto non sarebbero stati oggetto di acquisto tout court in quanto provenienti da soggetto dichiaratamente privo di organizzazione e in base a documentazione che non può essere utilizzata per tale scopo .
Il terzo motivo è fondato. L’onere della prova circa l’esistenza dell’operazione sottostante non può ritenersi assolto con l’esibizione
della fattura, ovvero con la regolarità formale delle scritture contabili, né con la regolarità dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., Sez. V, 5 luglio 2018, n. 17619; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27554; Cass., Sez. V, 27 novembre 2019, n. 30937; Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. 28628; Cass., Sez. V, 15 febbraio 2022, n. 4826; Cass., Sez. VI, 22 marzo 2022, n. 9304; Cass., Sez. V, 12 aprile 2022, n. 11737; Cass., Sez. V, 13 luglio 2022, n. 22190; Cass., Sez. V, 14 dicembre 2023, n. 35079). Né tale prova può basarsi esclusivamente su dichiarazioni di terzi che, pur essendo valutabili in favore del contribuente, hanno natura di elemento indiziario (Cass., Sez. V, 22 marzo 2023, n. 8221).
Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione al terzo motivo, cassandosi la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame della prova contraria; al giudice del rinvio è rimessa anche la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il terzo motivo, rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 21 novembre 2024