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Onere della prova: chi deve provare i redditi?

Una contribuente impugna un avviso di accertamento per redditi da locazione non dichiarati, sostenendo che l’onere della prova sulla titolarità degli immobili spettasse all’Agenzia delle Entrate. La Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che, a fronte di un accertamento motivato, l’onere della prova si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’infondatezza della pretesa. L’appello è stato inoltre dichiarato inammissibile per la regola della ‘doppia conforme’.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova: Quando Spetta al Contribuente Provare?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Num. 29585/2025) torna a fare chiarezza su un principio cardine del contenzioso tributario: la ripartizione dell’onere della prova. La questione, centrale in moltissimi procedimenti, riguarda chi, tra Fisco e contribuente, debba dimostrare la fondatezza delle proprie affermazioni. La Corte, nel decidere su un caso di redditi da fabbricati non dichiarati, ha ribadito principi fondamentali che ogni contribuente dovrebbe conoscere.

I Fatti del Caso: Un Accertamento per Redditi da Fabbricati non Dichiarati

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a una contribuente per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2012. Secondo l’Agenzia delle Entrate, la signora aveva percepito redditi da fabbricati per oltre 200.000 euro, derivanti dalla locazione di alcuni immobili, senza però dichiararli. La contribuente ha impugnato l’atto, ma ha perso sia in primo grado (Commissione Tributaria Provinciale) sia in appello (Commissione Tributaria Regionale). Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto le sue difese generiche e prive di un adeguato supporto probatorio.

Il Ricorso in Cassazione e l’onere della prova

Giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, la contribuente ha basato il suo ricorso sulla presunta violazione delle norme che regolano l’onere della prova (art. 2697 c.c.) e la valutazione delle prove (art. 115 c.p.c.). A suo dire, sarebbe spettato all’Agenzia delle Entrate dimostrare in modo inconfutabile la sua titolarità dei diritti sugli immobili da cui provenivano i redditi. Lamentava, inoltre, che i giudici di merito avessero omesso di esaminare un documento (una visura catastale) che, a suo parere, sarebbe stato decisivo per dimostrare la sua estraneità ai fatti.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo in parte inammissibile e in parte infondato, sulla base di due argomenti principali.

L’Inammissibilità per “Doppia Conforme”

In primo luogo, la Corte ha applicato il principio della cosiddetta “doppia conforme”, previsto dall’art. 360, comma 4, del codice di procedura civile. Questa regola impedisce di impugnare in Cassazione una sentenza d’appello per vizi relativi all’accertamento dei fatti (come l’omesso esame di un documento) se la decisione di secondo grado conferma quella di primo grado basandosi sulla stessa ricostruzione fattuale. Nel caso specifico, sia la CTP che la CTR avevano rigettato le argomentazioni della contribuente perché ritenute “affermazioni generiche” e non supportate da “adeguate prove”. Essendoci conformità tra le due decisioni sui fatti, la censura non poteva essere esaminata in sede di legittimità.

La Ripartizione dell’Onere della Prova nel Processo Tributario

Nel merito, la Corte ha chiarito in modo inequivocabile come funziona l’onere della prova nel processo tributario. Se è vero che l’Amministrazione Finanziaria ha il dovere di dimostrare i fatti su cui si fonda la sua pretesa, è altrettanto vero che questo non stravolge i principi generali. Una volta che l’Ufficio emette un avviso di accertamento adeguatamente motivato (circostanza non contestata nel caso di specie), l’onere di fornire la prova contraria si sposta sul contribuente. Spetta a quest’ultimo, quindi, dimostrare con prove concrete che la ricostruzione operata dal Fisco è infondata. Non è sufficiente una semplice negazione, ma è necessario fornire elementi specifici e documentati che smentiscano la pretesa tributaria.

Le Conclusioni: La Decisione della Corte e le Implicazioni Pratiche

In conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, condannando la contribuente al pagamento delle spese legali e di ulteriori somme a titolo sanzionatorio. La decisione ribadisce un messaggio fondamentale per i contribuenti: di fronte a un accertamento fiscale, non basta contestare genericamente. È indispensabile preparare una difesa solida, basata su prove documentali concrete, per poter efficacemente contrastare la pretesa dell’Amministrazione Finanziaria. L’onere della prova, una volta che l’accertamento è validamente formato, grava su chi intende contestarlo.

A chi spetta l’onere della prova in un contenzioso tributario?
Inizialmente, l’Agenzia delle Entrate deve provare i fatti che costituiscono il fondamento della sua pretesa tributaria, emettendo un avviso di accertamento motivato. Successivamente, l’onere della prova si sposta sul contribuente, il quale deve dimostrare con prove concrete l’infondatezza di tale pretesa.

Cosa significa la regola della ‘doppia conforme’?
È un principio processuale secondo cui, se la sentenza di appello conferma la decisione di primo grado basandosi sulle stesse ragioni di fatto, non è possibile presentare ricorso in Cassazione per contestare l’accertamento dei fatti stessi, come l’omesso esame di un documento decisivo.

È sufficiente per un contribuente negare genericamente le accuse dell’Agenzia delle Entrate?
No. Secondo la Corte, una volta emesso un accertamento motivato, le affermazioni generiche e prive di supporto probatorio da parte del contribuente non sono sufficienti per annullarlo. È necessario fornire prove contrarie idonee a dimostrare l’infondatezza della ricostruzione operata dall’Ufficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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