Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21735 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21735 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 9935/2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante pro tempore , difesa, giusta procura speciale a margine del ricorso per cassazione, dagli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO.
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO.
– resistente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 3900/29/2017, depositata in data 2 ottobre 2017, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Varese, con sentenza n. 695/2015 del 23 novembre 2015, aveva accolto il ricorso presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento Iva su scambi commerciali relativi all’anno di imposta 2009, con riferimento a fatture per cessione a clienti intracomunitari aventi codici Iva inesistenti o cessati, con conseguente omesso assoggettamento ad Iva dei relativi importi.
La Commissione tributaria regionale, in riforma della sentenza impugnata, ha accolto l’appello proposto dall’Ufficio, ritenendo che, nel caso in esame, pur essendo presenti i requisiti territoriale e oggettivo, era del tutto assente il requisito soggettivo e che, a prescindere dalla indispensabilità o meno del codice identificativo, l’operatore commerciale che riteneva di potere accedere all’esenzione dall’assoggettamento ad Iva, doveva svolgere una attenta verifica e non poteva trincerarsi dietro un preteso concetto di diligenza media.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
L ‘RAGIONE_SOCIALE si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370, primo comma, cod. proc. civ..
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce la violazione o falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , degli artt. 41 e 50 del
decreto legge n. 331 del 1993, degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.. I giudici di appello avevano confermato la pretesa erariale sul presupposto di ritenere che lo status di soggetto passivo coincideva con quello di soggetto dotato di un valido numero identificativo, confondendo l’elemento sostanziale con quello formale. Alla società si rimproverava di non avere svolto il controllo di (mantenuta) validità del codice identificativo Iva dei suoi clienti comunitari, ma il semplice difetto di tale controllo non rendeva perciò solo inesistenti i clienti stessi. Di contro l’esistenza sostanziale non era dimostrata dal possesso di un codice identificativo, ma dal riscontro oggettivo degli elementi comprovanti la soggettività d’imposta. S ulla base RAGIONE_SOCIALE contestazioni dell’Ufficio, i giudici di appello avrebbero dovuto indagare unicamente la sanzionabilità o meno dell’omesso controllo del codice identificativo da parte della società e non concludere che il soggetto ricevente la merce fosse privo di soggettività passiva d’imposta. I giudici di appello da un lato avevano erroneamente attribuito al possesso del codice identificativo un valore sostanziale coincidente con il possesso RAGIONE_SOCIALE status di soggetto passivo e dall’altro avevano considerato il procedimento di controllo del codice un obbligo del contribuente e non già una mera facoltà. Ed in ogni caso si trattava pur sempre di un errore formale procedimentale e non di un difetto dei requisiti sostanzial i prescritti dall’art. 41 del decreto legge n. 331 del 1993.
2. Il secondo mezzo deduce la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., per la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, del decreto legislativo n. 546 del 1992, 132 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111, comma 6, Cost. La Commissione tributaria regionale aveva ri tenuto apoditticamente fondata la tesi dell’Amministrazione finanziaria senza darsi carico né RAGIONE_SOCIALE considerazioni del primo Giudice con le quali, peraltro per le annualità 2009 e 2010, aveva confermato
la sussistenza di tutti i requisiti sostanziali per il regime di non imponibilità Iva RAGIONE_SOCIALE cessioni comunitarie contestate, né RAGIONE_SOCIALE controdeduzioni in appello. In particolare, i giudici di appello avevano reso identiche sentenze sia per l’annualità 2009, sia per l’annualità 2010, senza avvedersi del fatto che i cessionari comunitari erano diversi, eccetto uno e, dunque, non avevano considerato le differenti circostanze fattuali consistite nel coinvolgimento di diversi cessionari comunitari per le due annualità. La motivazione dei giudici di appello, in quanto genericamente espressa in modo fotocopia, non consentiva in concreto di cogliere le specifiche ragioni di valutazione svolte per ciascun accertamento, separatamente per le annualità 2009 e 2010.
Il secondo motivo, la cui trattazione è prioritaria perché involge un vizio di motivazione, è infondato.
3.1 La Commissione tributaria regionale, sul presupposto che l’Ufficio aveva contestato l’effettiva sussistenza dei requisiti necessari ai fini del riconoscimento dell’esenzione Iva e, tra questi, del requisito soggettivo sotto lo specifico profilo RAGIONE_SOCIALE status di soggetto passivo Iva sia del cedente nazionale, che del cessionario intracomunitario (cfr. pag. 1 della sentenza impugnata nella parte dedicata alla narrativa), ha affermato, a pag. 2 della sentenza impugnata, che, pur essendo presenti i requisiti territoriale e oggettivo, era del tutto assente il requisito soggettivo e che, a prescindere dalla indispensabilità o meno del codice identificativo, l’operatore commerciale che riteneva di potere accedere all’esenzione dall’assoggettamento ad Iva, doveva svolgere una attenta verifica e non poteva trincerarsi dietro un preteso concetto di diligenza media. Come, poi, precisato dai giudici di secondo grado, quel che rilevava non era l’attenzione sovradimensionata data ad un requisito semplicemente formale, in quanto l’esenzione dall’Iva era giustificata dal fatto che l’imposta veniva assolta nel Paese di appartenenza dall’altro contraente, per cui l’individuazione di quest’ultimo e, dunque dell’effettivo contraente, era requisito
soggettivo necessario, dato che in mancanza non era possibile individuare da chi sarebbe stata pagata l’Iva nello RAGIONE_SOCIALE estero.
3.2 Risulta, pertanto, evidente che la decisione impugnata assolve in misura adeguata al requisito di contenuto richiesto dalle disposizioni di legge di cui il ricorso lamenta la violazione, attesa l’esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto e di diritto della decisione, sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione 3.3 In proposito, va osservato, con la giurisprudenza di questa Corte, che l’obbligo motivazionale deve ritenersi compiutamente adempiuto allorché per mezzo della concisa esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto e di diritto della decisione venga ad essere illustrato il percorso motivazionale che ha indotto il giudice a regolare la fattispecie al suo esame mediante la norma di diritto applicata e che, di contro, viene meno all’obbligo in parola – e si mostra perciò viziata dal difetto di motivazione apparente o di mancanza della motivazione – la decisione nella quale « il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento » (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105).
3.4 Più specificamente in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la «motivazione apparente» ricorre allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del
ragionamento del giudice (Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881).
3.5 Così delineati i principi statuiti da questa Corte, la censura svolta dal motivo non appare fondata, dal momento che dalla lettura della sentenza impugnata risultano chiaramente esposti, anche se in forma concisa, le ragioni della decisione.
Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
4.1 E’ inammissibile perché non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato che ha affermato, di contro a quanto sostenuto nella censura che, a prescindere dalla indispensabilità o meno del codice identificativo, era necessario la sussistenza del presupposto soggettivo ai fini del riconoscimento dell’esenzione dall’assoggettamento ad Iva; ed invero, i giudici di secondo grado, piuttosto che affermare che lo status di soggetto passivo coincideva con quello di soggetto dotato di un valido numero identificativo e che il semplice difetto di tale controllo rendeva inesistenti i clienti stessi, hanno precisato che l’esistenza sostanziale non era dimostrata dal possesso di un codice identificativo, tanto è vero che hanno espressamente detto che si prescindeva dal carattere indispensabile o meno del codice identificativo e che non bastava essere in possesso di un codice identificativo, essendo necessario il riscontro oggettivo degli elementi comprovanti la soggettività d’imposta.
4.2 Il motivo è pure inammissibile, laddove lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. e, tuttavia, non specifica per quali aspetti la decisione impugnata si pone in contrasto con le norme di legge indicate ed avrebbe potuto essere diversa, esaminando il contenuto precettivo RAGIONE_SOCIALE norme richiamate e raffrontandolo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata. Ed invero, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360,
comma primo, n. 3, cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. U., 28 ottobre 2020, n. 23745).
4.3 Il motivo è, anche, infondato, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, alla quale deve darsi continuità, che ha affermato che « In tema di IVA, e con riguardo alle “cessioni intracomunitarie”, introdotte dal d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito nella legge 29 ottobre 1993, n. 427, allo scopo di evitare doppie imposizioni e affinché l’imposta fosse pagata nello RAGIONE_SOCIALE della Comunità europea nell’ambito del quale il bene è destinato al consumo, la non imponibilità dell’operazione ai sensi dell’art. 41 non è condizionata all’indicazione in fattura del codice identificativo del cessionario estero, atteso che la legge si limita a prescrivere, per il non assoggettamento ad imposta sul territorio italiano, che il detto cessionario estero intracomunitario abbia trasmesso al cedente il proprio numero di partita IVA, e cioè che quello si identifichi come soggetto passivo del tributo nel proprio RAGIONE_SOCIALE di residenza (art. 50, comma 1). Va pertanto esclusa l’imponibilità RAGIONE_SOCIALE operazioni di cessione per il solo fatto che la società cedente abbia omesso di indicare in fattura il codice identificativo del cessionario estero intracomunitario, perché una siffatta sanzione si pone in contrasto sia con gli artt. 41, comma 1, lettera a), e 50, comma 1, della legge, che una esplicita comminatoria in tal senso non contengono, sia con i principi del diritto comunitario, secondo i quali non può la medesima operazione essere assoggettata
ad imposizione tanto nel paese di origine dei beni che in quello di destinazione degli stessi, con un’inammissibile duplicazione d’impost a» (Cass. 15 ottobre 2018, n. 25651; Cass., 13 maggio 2021, n.12822) e che « In tema di IVA, nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti, recuperando l’imposta non versata, la non imponibilità – ai sensi dell’art. 41, comma 1, lett. a), prima parte, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito nella legge 29 ottobre 1993, n. 427 – della cessione intracomunitaria di beni a titolo oneroso, per difetto del presupposto dell’introduzione dei beni ceduti nel territorio di altro RAGIONE_SOCIALE membro, grava sul cedente la prova dei fatti costitutivi del diritto, che intende far valere in giudizio, di fruire della deroga agevolativa rispetto al normale regime impositivo; né è sufficiente, a tal fine, la prova di aver richiesto ed ottenuto la conferma della validità del numero di identificazione attribuito al cessionario da altro RAGIONE_SOCIALE membro, ex art. 50, commi 1 e 2, del decreto legge citato, e di avere indebitamente indicato tale numero nella fattura emessa ai sensi dell’art. 46, comma 1, del medesimo testo normativo, trattandosi dell’adempimento di obblighi formali prescritti per agevolare il successivo controllo ed evitare atti elusivi o di natura fraudolenta, ed occorrendo invece – avuto riguardo alla espressa previsione dell’art. 41, comma 1, lett. a), del d.l. n. 331 del 1993, secondo cui la cessione non imponibile si realizza mediante il trasporto o la spedizione dei beni nel territorio di un altro RAGIONE_SOCIALE membro – la prova dell’effettiva destinazione dei beni ceduti nel territorio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE membro in cui il cessionario è soggetto di imposta » (Cass., 30 luglio 2020, n. 16367; Cass., 24 gennaio 2013, n. 1670; Cass.. 7 ottobre 2011, n. 20575).
4.4 Anche di recente, sotto lo specifico profilo del diritto di detrazione dell’IVA, questa Corte, richiamando la giurisprudenza unionale, ha affermato che « Il principio di neutralità dell’Iva esige che la detrazione dell’Iva a monte sia accordata «se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti» (Corte di Giustizia, sentenza 8 maggio 2008, nei
procedimenti riuniti C-95/07 e C-96/07, RAGIONE_SOCIALE, punto 63; v. anche sentenza 17 luglio 2014, in C-272/13, Equoland), ossia che gli acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’Iva attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili (v. anche Corte di Giustizia, sentenza 11 dicembre 2014, in C-590/13, RAGIONE_SOCIALE, punto 43) » (Cass., 5 gennaio 2022, n. 143, in motivazione).
4.5 Pure la Corte di Giustizia è tornata a ribadire che, « qualora i requisiti sostanziali siano soddisfatti … esistono due sole fattispecie nelle quali l’inosservanza di un requisito formale può comportare la perdita del diritto all’esenzione dall’Iva », ossia « se tale violazione ha come effetto d’impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali» e se il «soggetto passivo abbia partecipato intenzionalmente a una frode fiscale » (Corte di Giustizia, sentenza 17 ottobre 2019, in C-653/18, Unitel sp. z.o.o.) e che « la mancata iscrizione al VIES non costituisce un ostacolo per l’applicazione del regime di non imponibilità IVA nell’ambito RAGIONE_SOCIALE cessioni intracomunitarie, salvo si tratti di casi di frode » (Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 9 febbraio 2017, causa C-21/16).
4.6 Dunque, sia la giurisprudenza di questa Corte, che quella unionale, considerano necessarie, ai fini della realizzazione di una cessione intracomunitaria, esclusivamente le condizioni sostanziali (previste dall’art. 138, par. 1, della direttiva 2006/112/CE e dall’art. 41, comma 1 del decreto legge n.331/93), con la conseguenza che deve ritenersi che la detassazione di un’operazione intracomunitaria può essere messa in discussione nei soli casi previsti, ovvero se il cedente abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale o se la violazione del requisito formale dell’iscrizione al VIES abbia l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa della sussistenza dei requisiti sostanziali e,
come nel caso di specie, del requisito della soggettività passiva d’imposta .
4.7 Ciò posto, in tema di onere della prova nella fattispecie di cessione intracomunitaria ex art. 41 del decreto legge n. 331 del 1993, questa Corte ha affermato che, « quando l’Amministrazione finanziaria contesti l’imponibilità di cessioni relative a merci che si ritengano fittiziamente esportate in altro Paese membro della UE, grava sul cedente l’onere di provare l’effettività del trasporto nel territorio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in cui risiede o, in mancanza, di fornire adeguata prova della propria buona fede, potendo essere negata l’esenzione solo ove risulti, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente sapeva (o avrebbe dovuto sapere) che l’operazione effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente e non abbia adottato tutte le misure ragionevoli per evitare di parteciparvi, così come stabilito da CGUE 6 settembre 2012, in C-273/11, Mecsek» Cass. n. 26062 del 30/12/2015; Cass. n. 4636 del 26/02/2014. Si veda, da ultimo, anche CGUE 17 ottobre 2019, in Causa C-653/18) » (Cass., 24 dicembre 2020, n. 29498, in motivazione) e, più di recente, che « L’onere di provare l’esistenza RAGIONE_SOCIALE scambio intracomunitario è a carico del contribuente, anche in ragione del principio RAGIONE_SOCIALE secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è sempre a carico di chi detta deroga invoca. Sicché, in presenza della disciplina che prevede in via ordinaria l’assoggettamento a Iva RAGIONE_SOCIALE cessioni, incombe sul soggetto che intenda fruire del regime di non imponibilità, previsto per la cessione intracomunitaria, la prova della sussistenza dei requisiti, anche nel caso in cui non siano stati osservati gli obblighi formali relativi alle dichiarazioni Intrastat ed alle indicazioni del codice Iso » (Cass., 6 febbraio 2023, n. 3565).
4.8 Orbene, nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale si è pienamente attenuta ai superiori principi di diritto ed ha evidenziato
la legittimità RAGIONE_SOCIALE contestazioni dell’RAGIONE_SOCIALE in ordine alla mancata sussistenza dei requisiti necessari ai fini dell’esenzione Iva in ragione del mancato raggiungimento della prova RAGIONE_SOCIALE status di soggetto passivo Iva del cessionario intracomunitario, specificando che la prova fornita dalla società contribuente, soggetto cedente, di avere trasferito i beni e di avere ricevuto i pagamenti (richiamata espressamente a pag. 1 della sentenza impugnata) non era idonea a riscontrare chi fosse l’effettivo contraente nello RAGIONE_SOCIALE intracomunitario .
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato.
5.1 Nessuna statuizione va assunta sulle spese processuali, in quanto l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso,
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 24 aprile 2024.