Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21353 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21353 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
Oggetto: Accertamento -Raddoppio dei termini -Onere della prova.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15922/2020 R.G. proposto da
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME del Foro di Venezia, in virtù di procura speciale a margine del ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della C.T.R. del Veneto, n. 1098/2019, depositata il 12.11.2019 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15.4.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Venezia, COGNOME COGNOME, quale socio ed ex legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, impugnava gli avvisi di accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate gli aveva contestato il mancato pagamento dell’Irpef su maggiori redditi da partecipazione, per gli anni 2004 e 2006, avendo beneficiato della distribuzione di utili societari non dichiarati. In particolare, l’amministrazione, sulla base di quanto emerso dalla relazione del commissario giudiziale nominato dal Tribunale di Venezia nell’ambito di una procedura di concordato preventivo, aveva comunicato alla Procura della Repubblica presso il predetto ufficio giudiziario la notizia di reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, per la sot trazione fraudolenta di somme al pagamento delle imposte dovute dalla società RAGIONE_SOCIALE realizzata attraverso la distrazione di riserve iscritte nel bilancio di esercizio e distribuite occultamente ai soci.
In primo grado, la C.t.p. rigettava il ricorso presentato dal contribuente, rilevando che le scritture contabili indicavano una disponibilità nel conto cassa in contanti, che era stata prelevata dai soci al momento della distribuzione delle riserve.
Proposto appello dal contribuente, la C.t.r. confermava la decisione di primo grado, evidenziando che dalla relazione del commissario giudiziale, depositata in data 19.12.2011, risultava un decremento delle riserve e che, quindi, si poteva presumere che le stesse erano state distratte a favore dei soci, sottraendole al pagamento delle imposte. Da tale evento erano scaturiti gli avvisi di accertamento, con conseguente inapplicabilità dell’art. 12, commi 2 e 7, della l. n. 212 del 2000. Riteneva, inoltre, applicabile il raddoppio dei termini per l’accertamento, essendo irrilevante se i debiti tributari erano stati annullati, considerato che nessuna giustificazione era mai stata fornita in ordine alla destinazione delle somme non più presenti nei bilanci societari. Peraltro, il COGNOME, quale amministratore della società, non poteva non essere a conoscenza delle operazioni contestate dall’Ufficio.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione il contribuente, sulla base di sette motivi. Resisteva l’Agenzia delle entrate con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, il contribuente deduce la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 43, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel ritenere applicabile il raddoppio dei termini per l’accertamento, poiché l’amministrazione aveva contestato la distribuzione di utili occulti ai soci di società a ristretta base partecipativa, che non integrava un fatto penalmente rilevante, né era riconducibile al reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000 . Essa poteva, al più, dar luogo alla fattispecie di reato di infedele dichiarazione, di cui all’art. 4 del citato d.lgs., con riferimento alla quale, tuttavia, non sussistevano i presupposti per il superamento della soglia di punibilità. Sostiene, quindi, la mancata corrispondenza tra la condotta contestata e il reato oggetto di denuncia e, comunque, l’inapplicabilità al caso di specie del rad doppio dei termini, anche perché eliminato dalle modifiche apportate all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 dalla legge di stabilità del 2016. Evidenzia, infine, che la denuncia presentata dall’Agenzia delle entrate con riferimento al reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000 era stata archiviata su richiesta dello stesso PM, il quale aveva rilevato che l’indicazione contabile era un’operazione astrattamente neutra, dalla quale non poteva desumersi il compimento di un atto fraudolento.
Con il secondo motivo di doglianza, il contribuente deduce la violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992; 132 c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per la illogica e contraddittoria motivazione della C.t.r. in ordine alla violazione delle prescrizioni dell’art. 12 della l. n. 212 del 2000,
avendo il contribuente lamentato sin dall’inizio del giudizio la violazione del contraddittorio endoprocedimentale.
Con il terzo motivo di doglianza, il contribuente deduce la violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992; 132 c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per la illogica e contraddittoria motivazione della C.t.r. in ordine al difetto di motivazione degli avvisi di accertamento.
Con il quarto motivo di doglianza, il contribuente deduce la violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992; 132 c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per la illogica e contraddittoria motivazione della C.t.r. in ordine alle prove della fondatezza dell’ipotesi formulata dall’Agenzia delle entrate e alle prove contrarie offerte dal contribuente.
Con il quinto motivo di doglianza, il contribuente deduce la violazione degli artt. 2697, commi 1 e 2; 2727 c.c. e 53 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel porre a carico del RAGIONE_SOCIALE l’onere di provare che la destinazione delle riserve era stata diversa dalla distribuzione ai soci, spettando invece all’Agenzia delle entrate l’onere di dimostrare il contrario. Evidenzia, altresì, che il Panisson avrebbe dimostrato che il decremento a bilancio delle riserve era una mera operazione contabile scelta per rimediare al mancato pagamento delle scorte di magazzino, vendute a terzi.
Con il sesto motivo di doglianza, il contribuente deduce la violazione degli artt. 47, comma 1, e 163 del t.u.i.r., nonché 23 e 53 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato la C.t.r. a ritenere legittima la tassazione al 100% degli utili presuntivamente distribuiti ai soci, poiché, ai sensi del citato art. 47, gli utili in qualsiasi forma distribuiti concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo limitatamente al 40 per cento del loro ammontare.
Con il settimo motivo di doglianza, il contribuente deduce la violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992; 132 c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per la illogica e contraddittoria motivazione della C.t.r. in ordine alla legittimità delle sanzioni pecuniarie irrogate, non avendo spiegato in quale modo poteva attribuirsi una responsabilità al RAGIONE_SOCIALE, anche solo a titolo di colpa.
Nel controricorso , l’Agenzia delle entrate chiede il rigetto del ricorso, attesa l’infondatezza di tutti i motivi di censura e la correttezza della decisione della C.t.r.
9. Il primo motivo di doglianza è infondato.
L’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente ratione temporis , stabilisce che, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.
Come più volte chiarito da questa Corte, anche sulla scorta dei principi enunciati dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 247 del 2011, il raddoppio opera in presenza d ell’astratto presupposto del la configurabilità del reato che importa l’obbligo di denuncia, indipendentemente dall ‘ effettiva presentazione della stessa, dall ‘ inizio dell ‘ azione penale e dall ‘ accertamento del reato nel processo (Cass. n. 17586/2019; Cass. n. 22337/2018; Cass. n. 11171/2016), non rilevando né l ‘ esercizio dell ‘ azione penale da parte del p.m., ai sensi dell ‘art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell ‘ imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (Cass. n. 9974/2015; Cass. n. 9322/2017).
9.1. È stato, altresì, affermato che, in tema di accertamento tributario, il cd. raddoppio dei termini, previsto dall ‘ art. 43 del d.P.R.
n. 600 del 1973, attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento e i termini prolungati sono anch ‘ essi fissati direttamente dalla legge, non integrando quindi ipotesi di ‘ riapertura ‘ o proroga di termini scaduti né di reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti, in quanto i termini ‘ brevi ‘ e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro e alle quali si connettono diversi, unitari e distinti termini di accertamento (Cass. n. 23628/2017).
Infine, si è anche precisato che nel caso di raddoppio dei termini per l ‘ accertamento nei confronti di una società di capitali a ristretta base sociale, deve necessariamente conseguire il raddoppio dei termini per l ‘ accertamento nei confronti dei soci, per i quali esso consegue automaticamente in base alla presunzione di percezione degli utili extracontabili conseguiti dalla società, poiché in materia di imposte sui redditi, nell ‘ ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammissibile la presunzione di attribuzione ai soci di utili extracontabili e vi sarebbe un ‘ ingiustificata disparità di trattamento tra socio, che sia anche legale rappresentante, e gli altri soci, pur partecipi alla compagine sociale ristretta (Cass. n. 18451/2021).
9.2. Ciò naturalmente non rende di per sé legittimo qualunque accertamento compiuto dall ‘a mministrazione finanziaria oltre il termine-base fissato dalla legge, dovendo al contrario essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento. Per verificare l ‘ uso pretestuoso del raddoppio dei termini, il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell ‘ obbligo di denuncia, compiendo una valutazione ora per allora (cd. prognosi postuma) circa la loro ricorrenza e accertando, quindi, se l ‘ amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità, con la precisazione però che «il correlativo tema di prova – e, quindi, l ‘ oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice
tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell ‘ obbligo di denuncia penale e non riguarda l ‘ accertamento del reato» (p. 5.3. della sentenza della Corte costituzionale).
9.3. Quanto, poi, al profilo di applicazione temporale, la Suprema Corte ha costantemente affermato che i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, nella versione applicabile ratione temporis , sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l ‘ obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d ‘ imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall ‘ art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l ‘ applicazione dell ‘ art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Cass. n. 16728/2016, Rv. 64096601; conf., Cass. n. 26037/2016, Rv. 64194901; Cass. n. 11620/2018, Rv. 64852701; Cass. n. 666/2025, Rv. 673681 – 01).
Nelle pronunce suindicate, questa Corte ha avuto cura di precisare: a) che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza», applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che è un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell ‘ ufficio tributario ma che deve essere accertato dal giudice; b) che tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento
e processo tributario (in termini, Cass. n. 9974/2015)» (Cass. n. 16728/2016, cit.); c) che su tale assetto nessun effetto spiega la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (l. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonché d.lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati, si applica la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (che non è stato modificato dalla successiva legge n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto; d) che, in relazione a pretesa fiscale su tributi Irap, non è applicabile il raddoppio dei termini di cui all’art. 43 d.P.R. n. 600/1973, giacché le violazioni delle disposizioni che prevedono e disciplinano tale tributo non sono presidiate da sanzioni penali, a differenza di quanto accade per l’Irpef e per l’Iva (Cass. n. 27250/2022; Cass. n. 10483/2018; Cass. n. 11552/2022).
9.4. A tali principi, consolidati da ampia e costante giurisprudenza di questa Corte, ai quali va data ulteriore continuità, la C.t.r. ha dato corretta applicazione, rendendo sufficiente motivazione in fatto ove ha escluso il carattere strumentale della denuncia e ha evidenziato che essa traeva origine dalla relazione redatta dal commissario giudiziale, nominato dal Tribunale di Venezia nell’ambito della procedura di concordato preventivo attivata dalla società RAGIONE_SOCIALE, di cui l’odierno ricorrente era legale rappresentante. Da tale relazione, emergeva che nel bilancio d’esercizio della società, per gli anni 2004 e 2006, erano state diminuite le riserve straordinarie per essere impiegate in ‘altre destinazioni’, senza alcuna giustificazione in ordine al relativo utilizzo. La C.t.r. ha, altresì, rilevato che la ricostruzione dei redditi sociali e del socio fornita dall’amministrazione evidenziava una base imponibile ampiamente superiore alle soglie di punibilità e che la denuncia della notizia di reato inoltre individuava chiaramente la
fattispecie addebitata, forniva una sintetica ricostruzione dei passaggi logici seguiti. Infine, ha rappresentato che la fattispecie di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000 integra un reato di pericolo, essendo irrilevante che poi i debiti tributari siano stati o meno annullati, e che nessuna valida giustificazione era stata fornita dal contribuente sulla destinazione delle somme non più presenti nei bilanci societari e devolute ad ‘altre destinazioni’.
Tali accertamenti di fatto, non sindacabili nella presente sede di legittimità, consentono di ritenere che il giudice di merito ha correttamente effettuato la ‘prognosi postuma’, richiesta dalla sentenza della Corte costituzionale, escludendo ragionevolmente l’uso pretes tuoso del raddoppio dei termini e verificando che l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità.
9.5. È, inoltre, pacifico che gli avvisi di accertamento sono stati notificati in data 16.9.2013, relativamente a violazioni tributarie commesse negli anni d’imposta 200 4 e 2006. Di conseguenza, trattandosi di atti impositivi emessi e notificati prima del 2.9.2015 e riferiti ad annualità antecedenti, è del tutto indifferente, alla luce dei principi di diritto suindicati, la data in cui è stata effettuata la comunicazione di notizia di reato e persino l ‘ omissione di quella comunicazione, perché quello che invece assume rilevanza ai predetti fini è la circostanza che le violazioni tributarie accertate integrino fatti anche penalmente rilevanti.
La C.t.r. ha, pertanto, correttamente ritenuto applicabile la disciplina sul raddoppio dei termini al caso in esame.
10. Parimenti infondati sono i motivi di cui ai nn. 2 e 3.
Giova ricordare che, a seguito della riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’unica contraddittorietà della motivazione che può rendere nulla una sentenza è quella insanabile e l’unica insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella insuperabile (cfr. Cass., Sez. Un, 28 ottobre 2022, n. 32000). A tal riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che è oggi denunciabile in sede di
legittimità solo l ‘ anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all ‘ esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. 27 dicembre 2023, n. 35947; Cass. 11 ottobre 2023, n. 28390; Cass. 18 settembre 2023, n. 26704; Cass. 13 gennaio 2023, n. 956 del 2023; Cass.17 novembre 2022, n. 33961). Questa anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione o di sua contraddittorietà (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; nello stesso senso anche le più recenti e già menzionate Cass. nn. 28930 del 2023 e 33961 del 2022).
7.1. Orbene, la sentenza impugnata, pur in modo sintetico, contiene una motivazione su tutti gli aspetti censurati dal ricorrente. In particolare, nella sentenza impugnata si afferma che, al caso in esame, non risulta applicabile l’art. 12, commi 2 e 7, della l. n. 212 del 2000, poiché gli avvisi di accertamento impugnati sono scaturiti non da un’attività di verifica operata dall’Uffi cio, ma dalla relazione del commissario giudiziale nominato nell’ambito della procedura di concordato preventivo promossa dalla stessa società; che gli avvisi risultano ampiamente motivati, essendo stata allegata ad essi anche copia della denuncia presentata dall’Ufficio, ciò rendendo possibile un’ampia difesa da parte del contribuente; che il decremento delle riserve è stato accertato dal commissario giudiziale e le correlate giustificazioni adottate dal COGNOME non risultano supportate da validi elementi di prova e che nessuna valida giustificazione è stata fornita, nemmeno nel giudizio di appello, sulla destinazione delle som me non più presenti nei bilanci societari e devolute ad ‘altre destinazioni’ ; che, con riferimento alla illegittimità delle sanzioni
irrogate per l’insussistenza dell’elemento soggettivo, il COGNOME era amministratore e legale rappresentante della società, non potendosi quindi negare che fosse perfettamente a conoscenza delle operazioni contestate dall’Ufficio.
U na siffatta motivazione consente di individuare l’iter argomentativo seguito dai giudici di merito.
Per tale ragione, essa si sottrae alla censura articolata, collocandosi al livello del minimo costituzionale, richiesto dalla giurisprudenza sopra richiamata (cfr., da ultimo, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024, n. 9807; Cass. 7 marzo 2024, n. 6127).
Del resto, ha già più volte affermato questa Corte che la valutazione delle prove, e con essa il controllo sulla loro attendibilità e concludenza, e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, sono rimesse al giudice del merito e sono sindacabili in cassazione solo sotto il profilo della adeguata e congrua motivazione che sostiene la scelta nell’attribuire valore probatorio ad un elemento emergente dall’istruttoria piuttosto che ad un altro. In particolare, ai fini di una corretta decisione adeguatamente motivata, il giudice non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo, invece, sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l ‘ iter logico seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli morfologicamente incompatibili con la decisione adottata. In tema di valutazione delle prove, difatti, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia delle prove stesse, nel senso che (fuori dai casi di prova legale) esse, anche se a carattere indiziario, sono tutte liberamente valutabili dal giudice di
merito per essere poste a fondamento del suo convincimento (Cass. n. 14972/2006, Rv. 593037-01; conf: Cass. n. 9245/2007, Rv. 597878-01). Deve, altresì, tenersi conto che, nel giudizio di cassazione, la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass. n. 5279/2020, Rv. 657231-01), vizio, peraltro, non denunciabile nel caso di specie, atteso il limite della doppia conformità delle decisioni di merito.
Vanno, invece, accolti i motivi quarto e quinto , che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi.
Giova ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell ‘ art. 2697 c.c. si configura soltanto nell ‘ ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l ‘ onere della prova a una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c., (Cass. n. 26769/2018, Rv. 65089201, nello stesso senso Cass. n. 13395/2018, Rv. 64903801).
11.1. Ciò posto, gli avvisi di accertamento impugnati nel giudizio di merito sono scaturiti dalla relazione del commissario
giudiziale, da cui risultava un decremento delle riserve iscritte in bilancio. Da tale circostanza, l’amministrazione ha inferito che l’importo corrispondente alla diminuzione delle riserve fosse stato distratto a favore dei soci e sottratto al pagamento delle imposte.
Non si rientra, dunque, nella fattispecie prevista dall ‘ art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, che legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria e la conseguente inversione dell ‘ onere della prova a carico del contribuente (cfr. Cass. n. 21158/2024, Rv. 671650-01).
Non trattandosi di utili extra-bilancio, ma di operazioni contabili afferenti all’ammontare delle riserve, ha errato la C.t.r. nel l’invertire l’onere della prova, ritenendo che spettasse al contribuente spiegare e dimostrare quale altra destinazione avevano avuto le somme non più presenti nel bilancio d’esercizio, che in passato costituivano riserve straordinarie. Per contro, spettava all’amministrazione finanziaria dimostrare che, invece, alla riduzione contabile delle riserve era conseguita una materiale apprensione di somme, poi distribuite ai soci. Sotto tale prospettiva, il giudice di merito avrebbe dovuto, altresì, valutare il materiale probatorio in atti e, in particolare, la deduzione del contribuente, secondo cui il decremento a bilancio delle riserve era una mera operazione contabile scelta per rimediare al mancato pagamento delle scorte di magazzino, vendute a terzi.
L’accoglimento dei suindicati motivi quarto e quinto comporta l’assorbimento dei successivi sesto e settimo .
Pertanto, sulla base di tutte le suesposte considerazioni, in accoglimento del quarto e quinto motivo di ricorso, rigettati i primi tre e assorbiti i successivi sesto e settimo, la sentenza impugnata va cassata e il giudizio va rinviato innanzi al giudice a quo , affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel senso
sopra indicato, nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del quarto e quinto motivo di ricorso, rigettati i primi tre e assorbiti i successivi sesto e settimo, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame, nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione