Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15914 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15914 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 14/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9759/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; -ricorrente- contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Commissione tributaria regionale della Campania, sede di NAPOLI n. 7809/2018 depositata il 14/09/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’amministrazione comunale ha notificato al contribuente, odierno ricorrente, in qualità di società proprietaria di un albergo, un avviso di pagamento di maggior importo relativo a lla TARI dell’anno 2015, deducendo la infedele dichiarazione.
Il contribuente ha proposto ricorso avverso tale provvedimento, innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, la quale ha emesso la sentenza n. 2817/2017 di rigetto del ricorso proposto dal contribuente, ritenendo che l’atto fosse correttamente motivato.
Tale decisione è stata impugnata dalla società contribuente innanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, la quale, con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto l’appello sulla base della considerazione che la motivazione fosse adeguata e che fosse legittima l’emissione dell’avviso di pagamento.
Avverso la suddetta sentenza di gravame, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso il comune.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare deve essere affrontata la questione sollevata da parte controricorrente, che contesta la mancanza di un valido atto di procura.
La giurisprudenza di questa Corte, citata dal controricorrente, ha chiarito che ‹‹ è principio di diritto consolidato quello secondo cui: “In tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l’ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa
qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa” (Cass. sez. un. n. 20596 del 2007). In base a tale principio di diritto, si configura, come meglio chiarisce la motivazione della decisione Paragrafo 1.1., pag. 7), un onere di chi agisce qualificandosi come rappresentate legale della società persona giuridica di fornire l’indicazione della fonte del potere di rappresentanza legale, al quale non si accompagna il relativo onere di dimostrazione. Solo in presenza di detta indicazione si configura l’onere di chi contesti l’esistenza del potete rappresentativo di dimostrare che l’allegazione non trova riscontro nella fonte indicata, in quanto soggetta a pubblicità legale. In mancanza di una indicazione di quella fonte, viceversa, non essendo stata la controparte messa in grado di procedere alla verifica della sussistenza del potere rappresentativo, deve ritenersi che di fronte alla contestazione di quest’ultimo, sia onere della parte che ha visto la sua rappresentanza contestata allegare e dimostrare quale sia l’atto da cui origina l’esercitato potere di rappresentanza legale, inerendo tale attività all’ammissibilità del ricorso.
Nel caso di specie, rilevato che l’azione è stata esercitata da un soggetto qualificatosi come rappresentante legale senza che ne’ nel ricorso ne’ nella procura sia stato indicato da quale atto o rapporto originasse il potere rappresentativo, non essendosi indicato, in particolare se si trattava dello statuto o di altro atto sociale secondo il regime giuridico dell’ordinamento al quale la resistente appartiene, di fronte alla contestazione svolta dai ricorrenti, la resistente avrebbe dovuto replicare e dimostrare tramite la relativa produzione
documentale, potendolo fare a norma dell’art. 372 c.p.c., comma 2, il potere rappresentativo. Viceversa, non solo non lo ha fatto, ma nemmeno ha svolto replica riguardo all’eccezione avversaria. Tanto è sufficiente a ritenere che il potere rappresentativo non sia stato dimostrato e che, dunque, la costituzione tramite il controricorso debba dichiararsi inammissibile, con la conseguenza che la (…) dev’essere considerata come non costituita (Cass. 20563/2014) ›› .
1.1. Questa Corte intende ribadire tal principio, da cui non vi è ragione di discostarsi: poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale, nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica soggetto a pubblicità legale, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità.
1.2. Nel caso di specie la procura non contiene alcun dato identificativo del conferente il mandato, e risulta sottoscritta con forma illeggibile apposta in calce ad un timbro recante la indicazione ‘RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, con indicazione ‘CF=P .IVA P_IVA‘.
Nella intestazione si fa però riferimento all’RAGIONE_SOCIALE di Robinia Luigi, indicandolo come rappresentante legale p.t.
1.3. Nella fattispecie si tratta quindi del rappresentante legale della società, che è notoriamente oggetto di pubblicità legale, sicché la eccezione è infondata.
Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.., si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art.70 del d.lvo n. 507/1993 e l”errore in procedendo’ ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. Si assume da parte ricorrente che c’erano state denunce di inizio e di cessazione dell’attività; che c’erano stati annullamenti giurisdizionali con conseguente duplicazione
di atti impositivi; che non erano state contestate le denunce di inizio e cessazione di attività.
2.1. Trattasi di motivo misto, che per come formulato non risponde ai prescritti requisiti di ammissibilità, e che desta altresì dubbi relativamente al profilo della autosufficienza.
2.2. Ma, in ogni caso, appare manifestamente infondato, atteso che la CTR si è attenuta al seguente principio di diritto, già espresso da questa Corte in tema di TARSU, e di Tari, alla cui stregua si è rilevato che <<per un verso, … le riduzioni di natura agevolativa di cui alla l. n. 147 del 2013, art. 1, comma 659, essendo meramente eventuali, sono subordinate ad un'esplicita previsione del regolamento comunale che ne condiziona l' an e il quantum (v. Cass., 19 agosto 2020, n. 17334 cui adde, ex plurimis , Cass., 29 marzo 2023, n. 8858) e, per il restante, che nel caso di esercizi alberghieri dotati di licenza annuale, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti, ai fini della esenzione dalla tassa non è sufficiente la sola denuncia di chiusura ma occorre allegare e provare la «concreta inutilizzabilità» della struttura (così Cass., 27 dicembre 2018, n. 33426; Cass., 9 novembre 2016, n. 22756 in tema di TARSU; v. Cass., 11 giugno 2024, n. 16138 e Cass., 12 maggio 2021, n. 12624, con riferimento alla TARI) ›› .
2.3. Nel caso di specie vi era il rilascio di una licenza annuale per l'albergo, sicché deve concludersi che la CTR abbia correttamente applicato il principio.
2.4. Difatti, la presentazione di una dichiarazione di parte non escludeva l'esercizio del potere impositivo , né comportava una (tacita) non contestazione della dichiarazione, men che meno in sede giudiziale ove la pretesa impositiva si fondava su di un atto che ne recava l'affermazion e.
La censura di violazione di legge riferita alla duplicazione di atti impositivi è destituita perciò di fondamento, perché la CTR ha dato
correttamente atto di una riedizione del potere in esito a precedenti annullamenti giurisdizionali.
2.5. Ne consegue che le doglianze non possono trovare accoglimento.
Con il secondo motivo di ricorso, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 4 della legge 241/1990, dell'art. 345, 112 e 113 c .p.c., nonché la nullità della sentenza ai sensi de ll'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. per errore in iudicando .
3.1. Nel corpo del motivo, parte ricorrente deduce, in ordine sparso, il difetto di motivazione, il travisamento di fatto, la violazione e falsa applicaz ione dell' art. 42 d.lvo 267/2000 (sulla considerazione che si tratterebbe di un competenza della giunta), la erronea applicazione di normativa, la contraddittoria motivazione, il travisamento del motivo di gravame.
3.2. Si tratta di motivo composito, inammissibile per il suo stesso confezionamento: ' l'inammissibilità discende innanzitutto dal suo confezionamento come motivo composito, simultaneamente voltodenunciare violazione di legge e vizio di motivazione, avuto riguardo al principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. 23 giugno 2017, n. 15651; Cass. 28 settembre 2016, n. 19133; Cass. 23 settembre 2011, n. 19443) ' (Cass. 23/10/2018, n.26874).
3.3. Rimettere al giudice di legittimità il compito di individuare le singole obiezioni teoricamente avanzabili, al fine di ricondurle ad uno dei mezzi di impugnazione previsti dall'articolo 360 del codice di procedura civile, e successivamente determinare quali disposizioni potrebbero essere pertinenti a tale scopo, comporta l'attribuzione, in modo inammissibile, al giudice di legittimità il compito di definire il contenuto giuridico delle contestazioni sollevate dal ricorrente.
3.4. Inoltre, viene espressamente censurato il travisamento del fatto, che è verifica preclusa al giudice di legittimità e, infine, la censura è in palese violazione del principio di autosufficienza, non contenendo riferimento alcuno agli atti di riferimento ed alle censure formulate in sede di gravame.
3.5. Riguardo a tutte le varie deduzioni prospettate, può anche dirsi che la parte non dà alcun conto di come, e dove, le questioni siano state poste, incorrendo in evidente vizio di autosufficienza.
3.6. Quanto, infine, al difetto di motivazione dell'atto impositivo -questione specificamente esaminata dalla CTR -la censura non è specifica e si risolve nella reiterazione di doglianze che il giudice ha specificamente esaminato rilevando -senza che ne risulti ora una specifica censura -che l'atto impositivo era compiutamente motivato.
3.7. Il motivo va dunque dichiarato inammissibile.
Con il terzo motivo di ricorso, non rubricato sotto nessuno dei motivi tipizzati dall'art. 360 , comma primo, c.p.c., parte ricorrente lamenta la ' nullità della sentenza per violaz ione dell'art. art. 111 Cost. per totale difetto di motivazione del motivo n. 4 della originaria impugnazione ' . Assume che non vi sarebbe stata contestazione sul fatto che la struttura sarebbe stata chiusa per lavori, sicché la CTR avrebbe dovuto ridurre proporzionalmente la imposizione.
4.1. Anche tale motivo risulta viziato per difetto di autosufficienza, mancando ogni riferimento ai documenti di rilievo per la censura ed alla loro deduzione in sede di gravame.
Il motivo non indica, infatti, il come (condotta processuale), ed il dove (sede processuale), della non contestazione, con particolare riferimento ai contenuti delle difese che (nel più ampio contesto delle deduzioni, e delle argomentazioni, svolte) si sarebbero risolte nel denunciato difetto di specifica contestazione (v. Cass., 10 dicembre 2019, n. 32192; Cass., 10 agosto 2017, n. 19985; Cass., 9 agosto 2016, n. 16655).
4.2. Va, del resto, rimarcato che, secondo l'orientamento espresso dalla Corte, il principio di non contestazione, di cui all'art. 115 c.p.c., comma 1, si applica anche nel processo tributario ma, attesa l'indisponibilità dei diritti controversi, esso riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e sempreché il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l'esistenza (Cass., 26 luglio 2023, n. 22694; Cass., 18 maggio 2018, n. 12287; Cass., 6 febbraio 2015, n. 2196).
4.3. Inoltre, si è escluso che il dato processuale – che involge il contenuto delle difese svolte in giudizio dall' ente impositore (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 23) – possa costituire fondamento di un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto forma oggetto di contestazione nell'atto impositivo, ove l'amministrazione ha già esposto i fatti costitutivi della sua pretesa, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l'oggetto del giudizio (Cass., 26 luglio 2023, n. 22694, cit.; Cass., 23 luglio 2019, n. 19806).
4.4. Anche l'ultima censura va dunque dichiarata inammissibile.
Il ricorso non può dunque essere accolto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
In conseguenza dell'esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la
presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23/01/2025.