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Onere della prova: Cassazione su frodi IVA e dolo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30439/2025, ha chiarito l’onere della prova a carico dell’Amministrazione Finanziaria in caso di operazioni soggettivamente inesistenti. I giudici hanno stabilito che, per negare la detrazione IVA, non è necessario dimostrare la partecipazione consapevole del contribuente alla frode (frode carosello), ma è sufficiente provare che egli, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe dovuto sapere che l’operazione faceva parte di un’evasione. La sentenza di merito, che richiedeva una prova più stringente, è stata cassata con rinvio.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova nelle Frodi IVA: Basta la Conoscibilità, non il Dolo

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce su un tema cruciale del diritto tributario: l’onere della prova in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, spesso legate a complesse frodi IVA come le “frodi carosello”. La Suprema Corte ha chiarito quale sia il livello di prova richiesto all’Amministrazione Finanziaria per contestare la detrazione dell’IVA e quali siano gli obblighi di diligenza a carico dell’imprenditore. Analizziamo i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Contestazione per Frode Carosello

Il caso trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Amministrazione Finanziaria nei confronti di una società operante nel settore della telefonia. L’accertamento contestava una serie di violazioni per l’anno d’imposta 2005, tra cui l’indebita detrazione IVA, l’omessa regolarizzazione di acquisti intracomunitari e l’infedele dichiarazione. Alla base delle contestazioni vi era il sospetto che la società avesse partecipato, consapevolmente o meno, a una frode carosello attraverso operazioni qualificate come soggettivamente inesistenti.

Il Percorso Giudiziario e l’Errata Valutazione dell’Onere della Prova

Sia in primo che in secondo grado, i giudici tributari avevano dato ragione alla società contribuente. La loro decisione si fondava sulla mancata dimostrazione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, di una “partecipazione consapevole” della società alla frode. In pratica, secondo i giudici di merito, il Fisco non era riuscito a provare che l’azienda fosse un complice attivo e cosciente dello schema fraudolento.

L’Amministrazione Finanziaria, ritenendo errata tale interpretazione, ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici avessero applicato un criterio di prova troppo restrittivo e non in linea con i principi consolidati in materia.

La Decisione della Cassazione: Chiarimenti sull’Onere della Prova

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un nuovo esame. Il punto centrale della decisione risiede proprio nella corretta definizione dell’onere della prova.

I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale: per contestare la detraibilità dell’IVA in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare due elementi:

1. L’oggettiva fittizietà del fornitore (ovvero che il soggetto indicato in fattura non è il vero cedente del bene).
2. La “conoscibilità” della frode da parte del cessionario (l’acquirente). Questo significa che il contribuente, usando l’ordinaria diligenza professionale, avrebbe potuto e dovuto accorgersi che l’operazione si inseriva in un contesto di evasione fiscale.

L’errore della corte d’appello è stato quello di richiedere la prova di una “compartecipazione consapevole” alla frode, un elemento soggettivo molto più intenso della semplice “conoscibilità”.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha spiegato che, secondo la giurisprudenza costante, non è richiesta la prova di una piena connivenza o di una partecipazione attiva alla frode da cui sia derivato un profitto specifico per il contribuente. È sufficiente la mera “conoscibilità”. Questo standard si basa sul dovere di diligenza che grava su ogni operatore economico accorto. Se l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti (come ad esempio prezzi anomali, modalità di pagamento insolite, o la scarsa consistenza economica del fornitore), spetta poi al contribuente dimostrare di aver fatto tutto il possibile per verificare la regolarità dell’operazione, agendo con la massima diligenza esigibile.

Il giudice di merito aveva errato nel parametrare la sua valutazione alla “partecipazione consapevole alla frode carosello”, ritenendolo erroneamente “il limite di prova imposto dalla costante giurisprudenza della S.C.”. La Corte ha quindi disposto che il giudice del rinvio dovrà effettuare una nuova valutazione del compendio probatorio, applicando il corretto principio di diritto: la sufficienza della prova della conoscibilità dell’inserimento dell’operazione in un meccanismo fraudolento.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

Questa ordinanza rafforza un messaggio chiaro per tutte le imprese: la lotta alle frodi IVA richiede un ruolo attivo e diligente da parte di tutti gli operatori economici. Non è sufficiente limitarsi a verificare la regolarità formale dei documenti (contabilità, pagamenti tracciabili). È necessario adottare un approccio più sostanziale, prestando attenzione a eventuali “campanelli d’allarme” che possano suggerire l’irregolarità della controparte commerciale. L’onere della prova per il Fisco è circoscritto alla dimostrazione che l’imprenditore “avrebbe dovuto sapere”, e a quel punto spetta a quest’ultimo provare la propria buona fede e la diligenza adottata per non essere coinvolto in operazioni illecite.

Cosa deve provare l’Amministrazione Finanziaria in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
L’Amministrazione Finanziaria deve provare due elementi: l’oggettiva fittizietà del fornitore indicato in fattura e la consapevolezza o la conoscibilità (cioè che il contribuente avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza) che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

È necessaria la prova della partecipazione attiva e consapevole del contribuente alla frode?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non è richiesta la prova di una “compartecipazione consapevole” o di una “connivenza piena”. È sufficiente e idonea la dimostrazione della mera conoscibilità della frode da parte del contribuente, che avrebbe potuto evitarla usando l’ordinaria diligenza professionale.

Cosa deve fare un’impresa per dimostrare la propria buona fede in questi casi?
Quando l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi a sostegno della tesi fraudolenta, spetta al contribuente fornire la prova contraria. Deve dimostrare di aver adoperato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nell’evasione, secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità rispetto alle circostanze del caso concreto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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