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Onere della prova: Cassazione su frodi IVA e cartiere

L’Agenzia delle Entrate contesta a una società operazioni inesistenti con ‘cartiere’ per frode IVA. La Cassazione chiarisce l’onere della prova: l’Agenzia deve fornire indizi della frode e della conoscibilità da parte dell’acquirente; quest’ultimo deve poi dimostrare la propria buona fede e diligenza. La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza d’appello che aveva richiesto la prova della ‘consapevolezza effettiva’ della frode.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova nelle Frodi IVA: La Cassazione Chiarisce i Ruoli tra Fisco e Contribuente

In materia di frodi IVA, specialmente quelle realizzate tramite l’uso di società “cartiere”, la questione centrale è spesso legata all’onere della prova. Chi deve dimostrare cosa? Spetta all’Amministrazione Finanziaria provare la consapevolezza della frode da parte dell’acquirente, o è l’acquirente a dover dimostrare la propria buona fede? Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione torna su questo tema cruciale, fornendo chiarimenti fondamentali sulla ripartizione delle responsabilità probatorie tra Fisco e contribuente.

Il Caso: Operazioni con “Cartiere” e la Difesa del Contribuente

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società operante nel settore automobilistico. L’accertamento mirava al recupero di IRES, IVA e IRAP per l’anno 2004, contestando alla società di aver preso parte a operazioni soggettivamente inesistenti. In pratica, secondo il Fisco, la società aveva acquistato autovetture da ditte individuali che fungevano da mere “cartiere”, interposte fittiziamente in un’operazione di importazione intracomunitaria al fine di evadere l’IVA.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato ragione al contribuente, sostenendo che l’Agenzia non avesse fornito “elementi concreti” ma solo “semplici supposizioni” riguardo alla consapevolezza della frode da parte della società acquirente. Insoddisfatta, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione.

L’Onere della Prova nelle Frodi Carosello: I Principi della Cassazione

La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia, ha ribadito i principi consolidati in materia di onere della prova per le operazioni soggettivamente inesistenti.

Il Ruolo dell’Amministrazione Finanziaria

L’Amministrazione Finanziaria ha il compito di provare, anche attraverso presunzioni e indizi, l’esistenza di un quadro fraudolento. Nello specifico, deve dimostrare due elementi:

1. La fittizietà del fornitore: Deve provare che la società cedente era una mera “cartiera”, un soggetto interposto senza una reale struttura operativa.
2. La conoscibilità della frode: Deve fornire elementi indiziari che dimostrino che l’acquirente, usando l’ordinaria diligenza di un operatore commerciale accorto, era in grado di accorgersi che l’operazione si inseriva in un contesto di evasione fiscale.

Non è quindi richiesta la prova di una consapevolezza piena ed effettiva (dolo), ma è sufficiente dimostrare che l’imprenditore onesto e mediamente esperto avrebbe dovuto nutrire dei sospetti.

Il Ruolo del Contribuente

Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha fornito questo quadro indiziario, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve fornire la prova contraria, ovvero dimostrare di:

* Aver agito in totale assenza di consapevolezza di partecipare a un’evasione fiscale.
* Aver adoperato la massima diligenza esigibile per non essere coinvolto nella frode.

A tal fine, non è sufficiente dimostrare la regolarità formale della contabilità o dei pagamenti, né l’assenza di un beneficio economico diretto dalla rivendita.

La Decisione della Corte: Motivazioni e Conclusioni

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso relativo all’errata applicazione delle regole sull’onere della prova. Il giudice di secondo grado (la CTR) ha commesso un errore di diritto nel richiedere all’Agenzia la prova della “effettiva consapevolezza” della frode da parte dell’acquirente. Questo standard probatorio è troppo elevato e non conforme ai principi stabiliti dalla giurisprudenza. La CTR, di conseguenza, ha sottovalutato gli elementi indiziari forniti dall’Ufficio (come il pagamento anticipato dell’intero prezzo prima della consegna diretta dal fornitore estero e la fatturazione a un prezzo inferiore a quello di acquisto da parte dell’interposto), omettendone un’analisi dettagliata.

La Corte ha inoltre precisato che un’eventuale assoluzione in sede penale, invocata dai resistenti, non poteva essere decisiva in questo caso, sia perché non ne era stata provata l’irrevocabilità, sia perché riguardava solo una parte delle operazioni contestate.

Le conclusioni

La sentenza viene cassata con rinvio a un’altra sezione della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado. Quest’ultima dovrà riesaminare il caso attenendosi scrupolosamente al corretto principio di ripartizione dell’onere della prova. L’ordinanza riafferma un principio fondamentale per gli operatori economici: la buona fede non si presume, ma va dimostrata attivamente quando sussistono indizi gravi, precisi e concordanti di una frode fiscale. È necessario adottare un approccio diligente e proattivo nella scelta e nella verifica dei propri partner commerciali per non rischiare di vedersi negato il diritto alla detrazione dell’IVA.

In una frode IVA con “cartiere”, chi deve provare cosa?
L’Agenzia delle Entrate deve provare, anche con indizi, che il fornitore era fittizio e che l’acquirente poteva accorgersi della frode usando l’ordinaria diligenza. Successivamente, spetta all’acquirente dimostrare di aver agito in buona fede e di aver preso tutte le precauzioni necessarie per evitare di essere coinvolto.

Per negare la detrazione IVA, l’Agenzia delle Entrate deve dimostrare che l’acquirente era pienamente consapevole della frode?
No. Secondo la Corte, non è necessaria la prova della ‘effettiva consapevolezza’ (dolo). È sufficiente che l’Agenzia fornisca elementi indiziari dai quali si desuma che un imprenditore accorto si sarebbe dovuto rendere conto dell’anomalia dell’operazione e del rischio di frode.

Un’assoluzione in sede penale per gli stessi fatti ha automaticamente valore nel processo tributario?
Non necessariamente. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto l’argomento non decisivo perché non era stata fornita la prova che la sentenza penale di assoluzione fosse diventata irrevocabile e, comunque, essa riguardava solo una parte delle operazioni contestate nel giudizio tributario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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