Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21442 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21442 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2224/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
CURATELA FALLIMENTARE AZIENDA RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’ Emilia-Romagna n. 1068/2019, depositata il 30 maggio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -La Direzione provinciale di Ravenna dell’Agenzia delle entrate notificava all’ Azienda RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. THQ033I01237/2013, relativo all’anno di imposta 2011 con cui recuperava a tassazione ai fini IRES costi ritenuti indeducibili, in quanto afferenti ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti . In particolare, l’atto impositivo prendeva le mosse dalla verifica pluriennale effettuata dalla Guardia di Finanza di Ravenna nei riguardi della contribuente e confluita nel processo verbale di constatazione del 22 giugno 2012. A propria volta, la verifica scaturiva dalle indagini condotte dalla Guardia di Finanza di San Severo (FG) su delega della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari nell’ambito del procedimento penale n. 14219/09. Più dettagliatamente, la verifica aveva consentito di rilevare che, nel corso di svariati anni, l ‘ Azienda RAGIONE_SOCIALE aveva registrato in contabilità acquisti di mosto provenienti da imprese che, in relazione alle loro caratteristiche ed ai dati rilevati sul conto delle stesse, si configuravano quali “cartiere” o “missing traders”, ossia soggetti economici privi di struttura operativa ed organizzativa, la cui attività consiste esclusivamente nell’emis sione di fatture per operazioni inesistenti, al fine di agevolare la commissioni di frodi fiscali da parte di terzi che, in tal modo, fruiscono dell’indebita deduzione di costi e di indebita detrazione della relativa IVA.
La società impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ravenna.
La Commissione adita, con sentenza n. 12/02/2015 del 14 gennaio 2015, rigettava il ricorso.
-Avverso tale pronuncia la società proponeva atto di appello. Nelle more del giudizio, il Tribunale di Ravenna, con sentenza n. 43/2016, dichiarava il fallimento dell’Azienda RAGIONE_SOCIALE e il processo, interrotto dinanzi alla Commissione tributaria regionale, veniva riassunto dalla curatela fallimentare.
La Commissione tributaria regionale dell’ Emilia-Romagna, con sentenza n. 1068/2019, depositata il 30 maggio 2019, ha accolto l’appello annullando l’accertamento nei limiti dell’I RES e dell’I RAP per l’anno in contestazione.
-L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste la curatela con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
L’Agenzia delle entrate ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-In via preliminare vanno respinte le eccezioni di improcedibilità e inammissibilità prospettate dalla controricorrente.
In merito alla questione delle improcedibilità del ricorso per violazione dell’obbligo di allegazione previsto dall’ art. 369 c.p.c., secondo la consolidata giurisprudenza di questa S.C., in tema di giudizio per cassazione, per i ricorsi avverso le sentenze delle commissioni tributarie, la indisponibilità dei fascicoli delle parti (i quali, ex art. 25, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono restituiti solo al termine del processo) comporta la conseguenza che la parte ricorrente non è onerata, a pena di improcedibilità ed ex art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., della produzione del proprio fascicolo e per esso di copia autentica degli
atti e documenti ivi contenuti, poiché detto fascicolo è già acquisito a quello d’ufficio di cui abbia domandato la trasmissione alla S.C. ex art. 369, comma 3, c.p.c., a meno che la predetta parte non abbia irritualmente ottenuto la restituzione del fascicolo di parte dalla segreteria della commissione tributaria; neppure è tenuta, per la stessa ragione, alla produzione di copia degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda e che siano in ipotesi contenuti nel fascicolo della controparte (Cass., Sez. V, 30 novembre 2017, n. 28695; Cass., Sez. I, 25 marzo 2015, n. 6021; Cass., Sez. VI-5, 24 luglio 2014, n. 16813; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22726).
Riguardo alla eccezione di inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza, ex art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., esso è compatibile con il principio del giusto processo di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza, ritenere rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (Cass., Sez. I, 19 aprile 2022, n. 12481).
Nel caso di specie, il ricorso contiene tutti gli elementi per consentire a questa SRAGIONE_SOCIALE di pronunciarsi sulle questioni prospettate.
2. -Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600/1973, 2697 c.c., 109 T.U.I.R. n. 817/1986, nonché dell’art . 8 d.l. n. 16/2012, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Commissione tributaria
regionale ritenuto l’inesistenza soggettiva delle operazioni contestate, fondando tale convincimento esclusivamente sul dato, irrilevante, dell’avvenuto pagamento delle fatture ad esse relative. Al contempo, pur non dubitando dell’inesistenza sostanziale della ditta fornitrice, non trae da ciò elemento di prova presuntiva dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, né conseguentemente riconosce in capo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. , in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., ove si ritenesse che la Commissione tributaria regionale abbia ritenuto che le operazioni contestate fossero da considerarsi soggettivamente inesistenti sulla base del convincimento dell’interposizione fittizia della ditta cartiera nelle operazioni di vendita di mosto, la pronuncia in ogni caso sarebbe meritori a di censura. Ciò in quanto dall’esame della motivazione che, sul punto si limita ad affermazioni generiche ed ipotetiche, non è dato evincere quale fosse il soggetto fornitore effettivo dei quantitativi di mosto acquistati dalla società. Così facendo, la Commissione tributaria regionale ha violato la disciplina e i principi in materia di criteri di riparto dell’onere probatorio e, al contempo, le norme disciplinanti l’applicazione della prova presuntiva.
2.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono fondati.
Nel caso di specie sono stati contestati alla contribuente costi indeducibili per operazioni oggettivamente inesistenti riguardanti una maggiore IRES dovuta dalla società contribuente per l’anno 2011 (avviso di accertamento n. THQ033I01237/2013).
La questione controversa attiene alla qualificazione giuridica delle fatture, ossia se e quando esse siano soggettivamente od oggettivamente inesistenti e come refluisca la distinzione sull’onere della prova tra le parti (Cass., Sez. V, 11 settembre 2024, n. 24456).
In via generale, sono soggettivamente inesistenti le fatture caratterizzate dalla divergenza tra la rappresentazione documentale e la realtà attinente ad uno dei soggetti che intervengono nell’operazione, che, pur avvenuta, non è realmente intercorsa tra i soggetti che figurano quale emittente e percettore della fattura.
La diversità può riguardare chi abbia emesso il documento ma non abbia in realtà effettuato alcuna prestazione (che è stata fornita da altri), ovvero il caso in cui l’operazione sia stata effettuata non in favore di colui che risulta destinatario del documento fiscale.
Nel primo caso la diversità riguarda l’emittente; il destinatario ha ricevuto comunque la prestazione ma da un diverso soggetto e senza fattura.
Nel secondo caso la diversità riguarda il destinatario della fattura che è non è l’effettivo destinatario dell’operazione, il quale utilizza il documento (la fattura) pur non essendo committente, né beneficiario di alcuna prestazione, annotando nella contabilità i costi sostenuti ed i crediti IVA senza che ciò corrisponda ad una operazione realmente intercorsa tra le parti.
In tale evenienza, la ricezione di una fattura cui non corrisponde alcuna prestazione mira, frequentemente, a dissimulare il compimento di acquisti effettivi ma senza fattura (cd. in nero). L’inesistenza oggettiva si realizza invece quando vi sia l’assolut a mancanza, nella realtà fenomenica, dell’operazione documentata (cd. inesistenza assoluta) oppure una divergenza in termini quantitativi tra la realtà e la rappresentazione documentale (cd. inesistenza relativa). Tale nozione va ulteriormente precisata in relazione all’attività che risulti in concreto realizzata. Rientra nell’inesistenza oggettiva, infatti, anche qualsiasi discrasia tra le dichiarazioni fattuali contenute nel documento e l’operazione effettuata, ossia con causali, modalità, oggetti e luoghi diversi da
quelli indicati nelle fatture: è il caso, ad esempio, della fatturazione di opere edili che si afferma (in fattura) effettuate su un determinato immobile (ad es. presso l’impresa) e, invece, eseguite presso un altro (es. l’abitazione dell’imprenditore).
La specificazione, peraltro, è rilevante anche rispetto ad altre cessioni di beni o prestazioni di servizi: l’acquisto di una pluralità di beni ovvero di una determinata quantità di materiali non corrisponde, automaticamente, alla realizzazione di una pluralità di acquisti ove siano stati effettuati con causali, modalità e in luoghi diversi. In tali evenienze emerge una divergenza non solo soggettiva ma anche oggettiva, sicché l’operazione risulta soggettivamente ed oggettivamente inesistente (v., per una casistica, Cass. 27520 del 2022; Cass. n. 34588 del 2021; Cass. n. 12486 del 2021; v. anche per analoga prospettazione Cass. sez. 3 pen., n. 10916 del 2020).
Le fattispecie più ricorrenti nella giurisprudenza della Corte, in ispecie per le operazioni soggettivamente inesistenti, sono quelle in cui la difformità soggettiva attiene all’emittente della fattura e non al committente: è il caso, tipico, delle frodi carosello (ad esempio nelle cessioni intraunionali di autovetture) in cui il cedente apparente è una cartiera mentre il cessionario è una impresa che ha acquistato il bene da un terzo, ossia l’effettivo vendito re, per poi rivenderlo. In questa ipotesi, non è contestata la realità dell’operazione e si pone la questione della deducibilità dei costi sostenuti. Meno frequente, invece, è l’ipotesi in cui sia il destinatario ad essere fittizio: l’emittente ha emesso la fattura, cui, però, non corrisponde il trasferimento dei beni al destinatario apparente.
In questa evenienza, occorre distinguere due ipotesi: quella in cui l’operazione sia stata realizzata dall’emittente verso un soggetto diverso da quello indicato in fattura e quella in cui, invece, l’emittente non abbia, in realtà, realizzato alcuna operaz ione.
Nel primo caso l’operazione, tanto per l’emittente quanto per il committente, sarà soggettivamente inesistente, con la differenza che per il secondo (frequentemente, una cartiera) non vi sono stati costi reali e, quindi, nulla è suscettibile di deduzione: il dato certo è che l’operazione è stata realizzata ma con un soggetto diverso e le parti hanno partecipato, con una distinzione di ruoli, alla frode.
Nel secondo caso, per l’emittente l’operazione sarà, al contempo, soggettivamente ed oggettivamente inesistente poiché alcuna transazione -e con nessuno – è stata realizzata e lo stesso esito vale anche per il committentedestinatario: l’operazione con l’ emittente non è mai stata effettuata, sicché anche nei suoi confronti essa sarà inesistente sotto entrambi i profili.
Le distinzioni sopra evidenziate spiegano il diverso atteggiarsi dell’onere della prova sulle parti.
Nelle operazioni oggettivamente inesistenti, difatti, l’Ufficio è tenuto solo a dimostrare, anche in base ad elementi indiziari, la mancanza dell’operazione, onere che, una volta soddisfatto, genera sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria che l’operazione, come descritta in fattura, è effettiva ed è realmente avvenuta, anche se, in ipotesi, tra soggetti diversi da quelli indicati nel documento (v. Cass. Sez. V, 18 ottobre 2021, n. 28628).
In quelle soggettivamente inesistenti l’Ufficio deve fornire, pure in base ad elementi presuntivi, l’ulteriore prova che il contribuente, a fonte dell’effettività dell’operazione descritta in fattura ma intercorsa tra soggetti diversi da quelli che risultano cartolarmente, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che non poteva non essere consapevole dell’alterità soggettiva.
A fronte di tale esito, conseguentemente, l’insorgere dell’onere per il contribuente di provare (oltre all’eventuale realità anche soggettiva) la propria incolpevole carenza di consapevolezza ( ex multis Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369).
Concettualmente più complessa è la ripartizione dell’onere della prova ove l’operazione, dal lato dell’emittente, sia soggettivamente ed oggettivamente inesistente.
Come su evidenziato, il dato obiettivo della mancanza, sul piano fenomenico, dell’attività costituisce circostanza idonea a far ritenere, anche per il destinatario, che l’operazione sia oggettivamente (oltre che soggettivamente) inesistente. Spetterà dunque alla parte, secondo gli ordinari criteri di riparto, fornire la prova che, invece, una operazione (omogenea a quella fittizia e ad essa riconducibile) è stata eseguita e che, quindi, per il contribuente l’operazione sia falsa solo sul piano soggettivo. Non va trascurato, sul punto, che la plausibile prevalente funzione di questa condotta illecita è quella di occultare acquisti in nero ricorrendo a false fatturazioni.
A tali principi non si è attenuta la Commissione tributaria regionale che – pur affermando il carattere fittizio delle ditte fornitrici (« stante la comprovata inesistenza sostanziale delle ditte fornitrici »), tra cui la COGNOME di COGNOME COGNOME, risultante una mera ‘ cartiera ‘ nonostante la regolarità formale della documentazione, come accertato in primo grado – ha ritenuto che l’avvenuto pagamento della merce a una ditta ‘cartiera’ facesse ritenere che nel caso di specie si fosse in presenza di fatture per operazioni ‘ soggettivamente ‘ inesistenti, richiamando a tal fine l’accertamento della Guardia di finanza, lì dove ha fatto riferimento al regolare pagamento degli importi riconducibili alle fatture, e la mancata prova della restituzione dei relativi corrispettivi, ipotizzando
-del tutto apoditticamente -una vendita ‘ in nero ‘ da parte del reale fornitore.
In realtà, una volta accertata l’idoneità degli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria in ordine alla fittizietà della cedente e delle operazioni commerciali intercorse con la società contribuente, avrebbe dovuto pretendere da quest’ultima la prova rigorosa e piena dell’effettività di quelle operazioni, ancorché intercorse tra soggetti diversi e, quindi, eventualmente, con l’indicazione del reale contraente/fornitore, ai fini della loro qualificazione come soggettivamente inesistenti, che comunque la Commissione tributaria regionale giammai poteva desumere, come invece erroneamente ha fatto, dall’intervenuto pagamento delle fatture, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., Sez. V, 10 aprile 2024, n. 9723; Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. 28628; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27554; Cass., Sez. V, 5 luglio 2018, n. 17619; Cass., Sez. VI-5, 14 settembre 2016, n. 18118).
Inoltre, ai fini della deducibilità dei costi, posto che solamente per le operazioni soggettivamente inesistenti essa è ammessa, ai sensi dell’art. 8, comma 1, d.l. n. 16 del 2012, il contribuente deve provare per i costi la sussistenza dei requisiti dell’effettività, dell’inerenza, della certezza e della determinabilità (Cass., Sez. V, 11 settembre 2024, n. 24456).
Una volta contestata e dimostrata nei termini dall’Ufficio la inesistenza oggettiva delle operazioni, incombe dimostrare che: a) le operazioni erano solo soggettivamente inesistenti perché in realtà le stesse (i.e. delle operazioni omogenee a quella fittizie e ad esse specificamente riconducibili) erano avvenute con un terzo; b) i costi
indicati nelle fatture false corrispondono ai costi effettivamente sostenuti nella diversa reale operazione. A ciò, poi, si aggiunge la prova della sussistenza degli altri requisiti riconducibili all’art. 109 TUIR. Occorre sottolineare, sul punto, che la prova da fornire non può fondarsi sulla mera esibizione della fattura mentre è (quanto al contenuto in essa rappresentato) l’oggetto da provare (v. anche Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. 28628 , che precisa che l’onere non può «ritenersi assolto con l’esibizione della fattura»).
-Con il terzo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 61 d.lgs. n. 546/1992, 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale reso una pronuncia affetta da vizio di motivazione apparente in ordine al fatto, dirimente per sostenere l’inesistenza soggettiva delle operazioni, relativo alla circostanza che la ditta fornitrice fosse totalmente inattiva e unicamente demandata ad emettere fatture, ricevere il pagamento e stornarlo all’effettivo cedente.
3.1. -Il motivo è infondato.
Deve infatti escludersi che la sentenza impugnata presenti una motivazione ‘ meramente apparente ‘ (Cass., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090), avendo la Commissione tributaria regionale fornito delle ragioni -sia pure non conformi ai principi sul riparto dell’onere della prova, così come esaminati nell’ambito dei precedenti motivi -poste alla base dell’accoglimento dell’appello.
-La sentenza impugnata dev’essere perciò cassata, in relazione ai motivi accolti, e, per l’effetto, va disposto il rinvio alla Corte di giustizia tributaria competente, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, rigetta il terzo; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 aprile 2025.