Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20261 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20261 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2292/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
RAGIONE_SOCIALE
IN
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA n. 3516/2016 depositata il 13/06/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 26 settembre 2012 l’Agenzia delle Entrate di Milano notificava a NOME COGNOME in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE gli avvisi di accertamento nn. T9D032A04218/2012 e T9D062A04216/2012 relativi agli anni di imposta 2002 e 2003, con i quali rettificava la dichiarazione IVA e IRAP presentata dalla società, dichiarata fallita in data 15 dicembre 2003 con sentenza del Tribunale di Milano n. 751/2003.
In particolare, l’a ccertamento tributario si fondava sulla comunicazione della notizia di reato della Guardia di Finanza, redatta in data 15.10.2007, avente ad oggetto una presunta frode IVA comunitaria posta in essere dalla società RAGIONE_SOCIALE e dalle società che con essa avevano avuto rapporti commerciali, tra le quali figurava la fallita RAGIONE_SOCIALE
All’esito delle indagini preliminari, effettuate nei confronti delle società coinvolte nella presunta “frode carosello”, la posizione della società RAGIONE_SOCIALE veniva poi stralciata a seguito della richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero, esitata nel decreto di archiviazione del G.I.P. presso il Tribunale di Milano del 16.03.2011.
Su queste basi, l’Ufficio procedeva a contestare alla società verificata fatture per operazioni inesistenti per un importo complessivo pari ad euro € 413.123,40 per l’anno 2002 e ad €
487.892,50 per l’anno 2003. Conseguentemente accertava ai sensi dell’art. 41 DPR 600/1973 un maggior reddito d’impresa pari ad € 441.921,08, nonché, ai sensi degli artt. 5 e 11 D.Lgs. 446/97, un maggior valore della produzione netta pari ad € 513.726,08 e, in definitiva, recuperava a tassazione Iva indebitamente detratta pari ad € 81.330,00, nonché maggiori imposte Irpeg e Irap, rispettivamente pari ad € 182.503,26 ed euro 12.215,35, oltre sanzioni.
Il contribuente impugnava l’atto dinanzi alla CTP di Milano che, con sentenza n. 1991/8/2015, accoglieva il ricorso affermando che ‘i fatti sui quali l’avviso di accertamento si fonda sono gli stessi per i quali il PM ha ritenuto l’infondatezza della notizia di reato ed il GIP ha disposto l’archiviazione e che il provvedimento di archiviazione non attiene alla valutazione dell’elemento soggettivo del reato (dolo), eventualmente declinabile in ambito tributario sotto il profilo della colpa, ma all’accertamento negativo del fatto consistente nell’asserito utilizzo di fatture per operazioni inesistenti”.
Avverso tale sentenza l’Ufficio proponeva appello dinanzi alla C TR della Lombardia.
La CTR adita, con sentenza n. 3516/2016 dell’8 giugno 2016, depositata il 13 giugno 2016, respingeva l’appello e condannava l’Ufficio al pagamento delle spese.
Avverso tale sentenza l’ Agenzia propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste il contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 39 D.P.R. 600/1973, 54 D.P.R. 633/1972, 109 D.P.R. 817/1986, 19 D.P.R. 633/1972, 2697, 2727-2729 cod. civ., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) cod. proc. civ., per
aver la CTR violato i principi affermati dalla giurisprudenza in tema di onere probatorio in materia di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 D.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360 , co. 1, n. 4), c.p.c., per aver la CTR reso una pronuncia affetta da un vizio di motivazione apparente, in quanto fondata su affermazioni apodittiche dalle quali non emergono le ragioni per le quali gli elementi indiziari forniti dall’Ufficio siano da palesarsi inidonei a fornire la prova della conoscenza da parte della società dell’inesistenza delle operazioni sottese alle fatture contestate.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la nullità della sentenza per inosservanza dell’art. 3 6 D.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c., per aver la CTR reso una pronuncia affetta da un vizio di motivazione meramente apparente, laddove non esplicita le ragioni giuridiche poste alla base della decisione nella parte in cui ritiene che il decreto penale di archiviazione costituisca elemento che, unitamente ad altri non meglio specificati, contribuisce al formarsi del convincimento del giudice in ordine all’esistenza o meno delle operazioni sottese alle fatture contestate. Preliminarmente rispetto all’esame dei motivi di ricorso necessita rilevare che l’accertamento tributario oggetto del presente giudizio, culminato negli avvisi di accertamento sopra mentovati, ha riguarda to all’evidenza la società di capitali RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, e non il Croce in qualità di persona fisica. Quest’ultimo , infatti, veniva reso destinatario della notifica degli atti impositivi in quanto legale rappresentante della predetta società di capitali, non anche a titolo personale. Pertanto, il controricorso depositato in proprio dal Croce nella presente fase di giudizio va dichiarato inammissibile, al pari della sua costituzione nell’odierno processo, non constando in capo al medesimo quale persona fisica la legittimazione a costituirsi in proprio nel giudizio.
Tanto premesso, il primo motivo è fondato.
La CTR ha escluso sia stata fornita la prova della ‘ connivenza fraudolenta ‘ del cessionario e sulla scorta di ciò ha escluso potesse essere contestata al medesimo l’inesistenza delle operazioni.
In tal modo, la CTR si è posta in urto frontale con il principio affermato da questa Corte, in base al quale ‘ In tema d’IVA, l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo ‘ (Cass. n. 28626 del 2021).
Già in precedenza questa Corte aveva osservato che ‘ In tema d’IVA, l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo ‘ (Cass. n. 18118 del 2016).
La conclusione della CTR si pone in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la quale, in estrema sintesi, ritiene ” di tutta evidenza che -nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti -è escluso in radice che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente, il quale sa bene se una
determinata fornitura di beni o prestazione di servizi l’ha effettivamente ricevuta o meno ” (v. Cass. n. 16437 del 2015 e Cass. n. 12950 del 2007). Solo nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti sorge invece l’esigenza della tutela della buona fede del contribuente, in quanto, conformemente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, il diritto alla detrazione può essere negato solo quando il contribuente sapeva, o avrebbe dovuto sapere con l’uso dell’ordinaria diligenza (disponendo di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto) che con l’emissione della relativa fattura il soggetto formalmente cedente aveva evaso l’imposta o partecipato ad una frode; una volta che l’Amministrazione abbia assolto a tale onere probatorio, spetta al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (v. Cass. n. 24426 del 2013, Cass. n. 23560 del 2012).
Anche il secondo motivo è fondato.
La CTR ha assertivamente obliterato la rilevanza probatoria degli elementi presuntivi forniti dall’Ufficio, valorizzando unicamente e al di fuori di una valutazione di sintesi l’archiviazione ottenuta in sede penale ai sensi dell’art. 654 c.p.p. La parziarietà della valutazione sul compendio di elementi presuntivi compiuta dal giudice d’appello è vistosa. In particolare, non si è in alcun modo apprezzata ex latere judicis la connotazione indiziaria dei profili enucleati dall’Agenzia. La decisione impugnata, in alcuno dei passaggi motivazionali, mostra di aver correttamente vagliato l’esistenza e la pregnanza degli elementi presuntivi addotti dall’Agenzia. Inoltre, ha trascurato interamente di esaminare tali elementi nel loro insieme, l’uno per mezzo degli altri, dal momento che ognuno di essi, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, può rafforzare l’altro elemento o da esso trarre vigore, in un rapporto di vicendevole completamento. Va, al riguardo, ricordato il principio secondo il quale « In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto,
ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi » (Cass. n. 9054 del 2022; v. anche Cass. n. 14151 del 2022, sul giudizio inferenziale). Nello specifico, tali criteri avrebbero dovuto improntare la disamina degli elementi di prova indiziaria volti ad accreditare o ad escludere la ricorrenza dell’inesistenza delle operazioni e a trarne i relativi corollari, per cui il ragionamento svolto dal giudice di appello risulta viziato.
Il terzo motivo è infondato.
La sentenza d’appello lascia cogliere, infatti, la propria ratio decidendi , incardinata sulla valorizzazione in via esclusiva del decreto di archiviazione, che nell’ottica della CTR assurge ad assorbente fulcro probatorio.
Questa Corte ha incisivamente affermato che ‘ In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità
sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia ‘ (Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 7090 del 2022).
Il mezzo di ricorso è, in altri termini, infondato perché l’apparenza della motivazione postula che il fondamento della decisione appaia non percepibile, in quanto recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. n. 21302 del 2022; Cass. n. 6758 del 2022).
In ultima analisi, vanno accolti il primo e il secondo motivo di ricorso, rigettato il terzo. La sentenza di merito va cassata e la causa rinviata, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Lombardia in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso, respinto il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Lombardia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 14/05/2025.