Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33476 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33476 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22102/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato DI LIBERATORE NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. dell’ABRUZZO -L’AQUILA n. 243/2016 depositata il 29/02/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. La Direzione Provinciale di Teramo dell’Agenzia delle entrate, sulla base di PVC della DRE Abruzzo, a seguito di verifica fiscale, emetteva a carico di RAGIONE_SOCIALE avviso di accertamento n. VA99TA9030402589/2013, ‘per l’indebita detrazione di IVA da parte del contribuente per l’anno , in quanto, a fronte della registrazione, sul registro acquisti, di fatture emesse, per euro 250.316,40, dalla ditta RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, la cui imposta era stata portata in detrazione per euro 50.063,28, andava rilevato che quelle fatture fossero da ritenere emesse a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti, perciò irrilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto’ (così si esprime la sentenza in epigrafe, nel riassumere l’insistenza dell’Ufficio appellante, avverso sentenza sfavorevole – come si dirà – del giudice di primo grado, ‘per la ricorrenza dei presupposti’ dell’indebita detrazione).
La contribuente impugnava l’avviso.
2.1. La CTP di Teramo, con sentenza n. 396/02/14, accoglieva il ricorso.
Proponeva appello l’Ufficio, rigettato dalla CTR, con la sentenza in epigrafe, sulla base della seguente motivazione:
La impugnata sentenza è immune da vizi logico -giuridici, e dalla rilettura dell’intero materiale probatorio espletato in primo grado, la stessa non merita censura.
Invero, in punto di fatto, circa la natura dell’attività commerciale svolta dal contribuente, è pacifico che è prassi comune che lo stoccaggio di ‘pallets’ avvenga in luoghi comuni di raccolta, al fine di evitare i costi diseconomici del trasporto, che renderebbe antieconomica la transazione commerciale, e, contrariamente a quanto sostiene l’Agenzia, la mancata conoscenza personale del legale rappresentante
della società fornitrice è irrilevante, e non costituisce una presunzione che i rapporti fossero intrattenuti per il tramite di terze persone.
Invero, rimane ipotizzato ma non dimostrato l’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti, laddove deve essere il fisco a provare il coinvolgimento dell’acquirente cui viene rettificata l’imposta detratta.
La ditta fornitrice era regolarmente iscritta alla Camera di Commercio, e, dall’insieme delle fatture, ritenute soggettivamente inesistenti, si evince che i pagamenti dovevano essere effettuati sulle coordinate bancarie del conto aperto, presso la Banca Popolare di Novara, fil. di Giugliano (Na), sotto la stessa data di emissione della fattura, verosimilmente, alla consegna della fornitura, effettuata dalla ditta di trasporto RAGIONE_SOCIALE, prestazione anche questa regolarmente fatturata (n. 200/07).
Orbene, la circostanza già evidenziata dal primo collegio e condivisa anche in questa sede e risolutiva al fine di ritenere che gli acquisti della LESTI siano stati effettuati dalla NOVI in buona fede, e che le fatture sono state contabilizzate legittimamente, così come legittimamente la detrazione relativa, rimane fissata nel riscontro che i pagamenti sono stati realmente effettuati e con obiettiva tracciabilità, dopo aver eseguito la LENZI tutti gli accertamenti obiettivamente compatibili con la speditezza del commercio.
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con un motivo, cui resiste la contribuente con controricorso.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 19 DPR n. 633/72 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360, 1° co. n. 3 c.p.c.’.
1.1. La CTR ‘malaccortamente’ ‘ha ritenuto rilevante, ai fini del diniego del diritto alla detrazione IVA relativa a fatture soggettivamente inesistenti, la prova del ‘coinvolgimento’ della società lla frode fiscale perpetrata laddove, per costante giurisprudenza , soggiace alla ‘sanzione’ dell’indetraibilità dell’IVA non solo l’autore della frode o il connivente, il quale ultimo è a conoscenza del meccanismo fraudolento ed intende approfittarne , ma anche il soggetto passivo non connivente che, tuttavia, abbia omesso di effettuare i controlli ragionevoli per appurare la regolarità dell’operazione ‘.
La CTR ‘ha omesso di considerare gli elementi presuntivi addotti dall’A.F. senz’altro sufficienti ed adeguati ad escludere l’ignoranza incolpevole e la buona fede della contribuente , quali come esattamente riportato nel p.v.c. regolarmente consegnato (circostanza incontestata) alla parte richiamato nell’avviso .
La CTR ha attribuito rilevanza a circostanze idonee a provare l’esistenza oggettiva dell’operazione (pagamenti, trasporto della merce, luoghi comuni di raccolta per lo stoccaggio dei pallets …)’, senza considerare l”effettivo acquisto della stessa ‘ o meno ‘presso il fornitore indicato in fattura’.
Preliminarmente deve rilevarsi che la contribuente in controricorso ‘contesta la infedele ricostruzione ‘in fatto’ operata dalla ricorrente, la quale ha colpevolmente omesso di riportare le deduzioni e produzioni dell’odierna resistente, adattandosi ad enfatizzare le proprie tesi difensive arrivando persino a ritenere che le forniture dei pallets avvenivano indirettamente per tramite terze persone, quando, per come documentato ed accertato anche dalle sentenze emesse dalle precedenti commissioni tributarie, le forniture sono state effettuate direttamente dalla Novi Legno chi ha provveduto anche al
pagamento dell’autotrasportatore Talamonti chi ha emesso regolare fattura ‘.
La contribuente, inoltre, eccepisce l’inammissibilità del motivo ‘in quanto il vizio motivazionale andava censurato ai sensi del n. 5 e non del n. 3 dell’art. 360 1° c.p.c.’.; in quanto la ricorrente ‘censura, in punto di fatto, le motivazioni addotte dalla CTR per valutare gli elementi indiziari ‘; ed in quanto la ricorrente ‘non ha indicato le norme asseritamente violate’.
2.1. Tutte tali difese della contribuente non colgono nel segno e meritano di essere disattese.
‘La infedele ricostruzione ‘in fatto’ compiuta dalla ricorrente’ costituisce un’allegazione meramente locutoria, priva di ogni supporto dimostrativo e per vero neppure finalizzata a far valere alcuna obietta differente realtà.
L’affermazione secondo cui il motivo sarebbe volto a censurare la motivazione della sentenza impugnata non trova alcun radicamento nella lettera e nel contenuto dello stesso.
L’affermazione secondo cui il motivo non indicherebbe le norme di legge violate è contraddetto sia dalla rubrica, ove è precisamente indicata la violazione di esse, sia dal pedissequo sviluppo argomentativo, ove essa è esplicitata anche alla luce della giurisprudenza interna ed unionale.
Detto ciò, il motivo è fondato in tutte le sue articolazioni e merita accoglimento.
3.1. In un coerente quadro d’insieme, la giurisprudenza unionale e quella interna hanno fatto chiarezza sul riparto degli oneri probatori tra Amministrazione e contribuente in caso di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti.
L’insegnamento della prima – a termini della quale, dinanzi ad operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione dell’IVA, ma non anche la par –
tecipazione all’evasione stessa (cfr. Corte Giust Ppuh, C -277/14; Corte Giust. COGNOME, C -285/11) – è invero recepito dalla seconda, in seno alla quale trovasi costantemente ripetuto il principio secondo cui, ‘in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in ba -se ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a cono -scenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesi -stenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto in -combente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto’ (Sez. 5, n. 15369 del 20/07/2020, Rv. 658429 -01, cui ‘adde’, da ultimo, in ipotesi di ‘re -verse charge’, Sez. 5, n. 4250 del 10/02/2022, Rv. 663882 -01). Donde, ancor più esplicitamente, ‘in tema di IVA, in virtù degli artt. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 17 della Direttiva UE 17 maggio 1977, n. 388, osta al riconoscimento del diritto alla relativa detrazione da parte del cessionario, non soltanto la prova del suo coinvolgimento nella frode fiscale, ma anche quella della mera conoscibilità dell’inserimento dell’operazione in un fenomeno criminoso, volto all’evasione fiscale, la quale sussiste ove il cessionario, pur essendo estraneo alle condotte evasive, ne avrebbe potuto acquisire consapevolezza mediante l’impiego della specifica diligenza professionale richiesta all’operatore economico, avuto riguardo alle concrete modalità e alle condizioni di tempo e di luogo in cui si sono svolti i rapporti commerciali, mentre non
occorre anche il conseguimento di un effettivo vantaggio’ (Sez. 5, n. 13803 del 18/06/2014, Rv. 631554 -01, ribadita da Sez. 6 -5, n. 13545 del 30/05/2018, Rv. 648691 -01).
Rispetto a tale consolidato stato della giurisprudenza, sia unio -nale che interna, deve soltanto precisarsi che la prova gravante sull’Amministrazione ben può consistere in attendibili indizi, anche tratti da indagini penali, siccome idonei ad integrare finanche una presunzione semplice, in conformità a quanto, per l’IVA, espressamente prevede l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (cfr ., da un lato, Corte Giust. COGNOME e NOME, C -80/11 e C -142/11 e Corte Giust. Kittel, C -439/04; dall’altro, ‘ex multis’, Sez. 6 -5, n. 14237 del 07/06/2017, Rv. 644435 -01).
Sotto altro profilo, in tema di prova per presunzioni, cui, come appena visto, l’Amministrazione è abilitata, vige il principio a termini del quale ‘il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche
singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento’ (Sez. 3, n. 9059 del 12/04/2018, Rv. 648589 -01.
In specificazione del principio di cui innanzi s’è ulteriormente precisato che ‘il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei
paradigmi della norma’ (Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 -01).
La CTR ha palesemente inosservato tutti i superiori principi, sotto plurimi punti di vista.
In primo luogo, la CTR ha errato nel sostenere che ‘deve essere il fisco a provare il coinvolgimento dell’acquirente nella frode. Siffatto ‘coinvolgimento dell’acquirente nella frode’ non è affatto elemento costitutivo ai fini della configurabilità di una fattispecie di indebita detrazione dell’IVA, poiché è sufficiente che l’acquirente fosse consapevole, o finanche potesse semplicemente esserlo, sulla base di esigibili misure di diligenza professionale, della frode, sì da mettersi nelle condizioni di non essere affatto convolto in essa, pur agita da altri. È per tale ragione che, ben lungi dal dovere l’Amministrazione finanziaria ‘provare il coinvolgimento dell’acquirente nella frode’, è invece proprio costui a dover offrire la prova rigorosa di aver osservato tutte le misure di diligenza proprie di un operatore esperto ed accorto del settore, onde prevenire anche solo l’eventualità di una sua partecipazione alla frode.
In secondo luogo, la CTR ha errato nello squalificare aprioristicamente il compendio indiziario offerto dall’Ufficio, omettendo di valutare sia l’obiettiva idoneità degli indizi singolarmente considerati (con particolare riguardo alla mancanza di un’effettiva struttura aziendale dell’impresa fornitrice, all’indisponibilità in capo a questa delle merci ed alla conclusione degli accordi con soggetti ad essa estranei) sia la finale conducenza del loro insieme (in un’ottica di coerenza storico -ricostruttiva).
Infine, la CTR, onde ritenere comunque indimostrata la tesi dell’Ufficio, ha errato nel dare rilevanza ad elementi fattuali (quali, in particolare, l’iscrizione camerale dell’impresa fornitrice, la regolare contabilizzazione delle fatture e l’effettuazione dei pagamenti) che invece non la possiedono affatto, per essere
compatibili, ed anzi funzionali, con un’ipotesi di inesistenza soggettiva delle operazioni.
Ne consegue che, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame e per la definitiva regolazione tra le parti delle spese, comprese quelle del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 21 novembre 2024.