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Onere della prova: Cassazione su fatture e IVA

Una società si è vista negare la detrazione IVA per fatture relative a operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione dei giudici di merito, chiarendo l’onere della prova: spetta al Fisco dimostrare con presunzioni che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode. A quel punto, l’onere di provare la propria massima diligenza e buona fede passa al contribuente. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture False e Detrazione IVA: La Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta su un tema cruciale per ogni imprenditore: la detrazione dell’IVA in presenza di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. La decisione chiarisce in modo netto la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente, sottolineando l’importanza di una diligenza professionale che va ben oltre la semplice regolarità formale dei pagamenti.

I Fatti del Caso

Una società operante nel commercio di pallet si vedeva recapitare un avviso di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria. L’oggetto della contestazione era l’indebita detrazione dell’IVA relativa all’anno 2008 per un importo di oltre 50.000 euro. Secondo il Fisco, le fatture, emesse da un’altra ditta, si riferivano a operazioni soggettivamente inesistenti: sebbene la merce fosse stata scambiata, il fornitore indicato in fattura era in realtà un soggetto fittizio, inserito in uno schema fraudolento.

La società contribuente impugnava l’atto, ottenendo ragione sia in primo grado (Commissione Tributaria Provinciale) che in appello (Commissione Tributaria Regionale). I giudici di merito avevano ritenuto che l’Amministrazione Finanziaria non avesse fornito la prova del coinvolgimento attivo della società acquirente nella frode, valorizzando elementi come la tracciabilità dei pagamenti e la regolare iscrizione alla Camera di Commercio della ditta fornitrice. L’Agenzia delle Entrate, insoddisfatta, ricorreva quindi in Cassazione.

La Decisione della Corte e l’Onere della Prova

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente la prospettiva dei giudici di merito, accogliendo il ricorso del Fisco. Gli Ermellini hanno riaffermato i principi, consolidati a livello nazionale ed europeo, che regolano l’onere della prova in questi casi.

Secondo la Corte, l’Amministrazione Finanziaria non deve dimostrare un ‘coinvolgimento’ attivo dell’acquirente nella frode. È sufficiente che provi, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza professionale, che l’operazione si inseriva in un contesto di evasione IVA. Una volta che il Fisco ha fornito questi elementi indiziari, la palla passa al contribuente. Spetta a quest’ultimo dimostrare di aver adottato ogni misura ragionevole e di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto, suo malgrado, nella frode.

Le Motivazioni

La Corte ha individuato tre errori fondamentali nel ragionamento dei giudici d’appello.

1. Errata interpretazione del ‘coinvolgimento’: La Commissione Tributaria Regionale ha richiesto al Fisco la prova di un coinvolgimento attivo nella frode, un requisito più stringente di quello previsto dalla legge. La norma, invece, sanziona con l’indetraibilità dell’IVA anche la condotta di chi, pur non partecipando attivamente, avrebbe potuto accorgersi dell’irregolarità con un comportamento diligente.

2. Mancata valutazione degli indizi: I giudici di merito hanno omesso di analizzare adeguatamente il quadro indiziario presentato dall’Ufficio. Elementi come la mancanza di una reale struttura aziendale del fornitore o la conclusione di accordi tramite terzi avrebbero dovuto essere attentamente vagliati, sia singolarmente che nel loro complesso, per valutarne la capacità probatoria.

3. Valorizzazione di elementi irrilevanti: La decisione impugnata ha dato peso a fattori come la regolare iscrizione camerale del fornitore e la tracciabilità dei pagamenti. La Cassazione ha sottolineato come questi elementi siano, in realtà, del tutto compatibili con schemi fraudolenti ben organizzati e, anzi, spesso funzionali a dare una parvenza di legittimità all’operazione. Non sono quindi, di per sé, sufficienti a dimostrare la buona fede dell’acquirente.

Conclusioni

Questa ordinanza è un monito importante per tutte le imprese. La lotta alle frodi IVA richiede un ruolo attivo da parte degli operatori economici. Non è sufficiente limitarsi a un controllo formale dei documenti: è necessario esercitare una diligenza sostanziale, verificando l’affidabilità e la struttura effettiva dei propri partner commerciali. La sentenza chiarisce che la buona fede non si presume, ma va provata con fatti concreti qualora il Fisco presenti un quadro indiziario solido. Ignorare i campanelli d’allarme e non adottare le cautele richieste a un operatore esperto può costare caro, con la perdita del diritto fondamentale alla detrazione dell’IVA.

Chi deve provare la consapevolezza della frode IVA da parte dell’acquirente?
Spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare, anche tramite presunzioni, che l’acquirente era a conoscenza della frode o avrebbe dovuto saperlo usando l’ordinaria diligenza professionale.

Cosa deve dimostrare il contribuente per poter detrarre l’IVA contestata?
Una volta che il Fisco ha fornito elementi presuntivi, il contribuente deve dare la prova contraria, dimostrando di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nell’operazione fraudolenta.

La regolare registrazione delle fatture e i pagamenti tracciabili sono sufficienti a provare la buona fede?
No. Secondo la Corte di Cassazione, questi elementi non sono di per sé sufficienti, in quanto sono spesso presenti anche negli schemi fraudolenti per dare una parvenza di legalità e non escludono la consapevolezza o la colpevole ignoranza dell’acquirente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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